R.
Luperini - F. Leonetti - R. Di Marco - A. Macchiorro - E. Fiorani - L. Geymonat
Il
1945 (o meglio la Resistenza) non produce una radicale rottura né sul piano
economico né su quello istituzionale (nonostante l’effettiva svolta della
caduta della dittatura fascista e della instaurazione della repubblica) né su
quello culturale. Ciò non significa sottovalutare l’importanza della irruzione
delle masse nella vita pubblica, della
affermazione della democrazia politica, dell’inserimento del marxismo nella
cultura nazionale (seppure a piccolissime dosi e con notevoli edulcorazioni).
Significa invece cogliere anzi tutto la continuità nella gestione del potere
delle medesime forze capitalistiche e conservatrici che dominavano sul piano
economico e su quello politico nell’epoca fascista (il nuovo stato democratico
mantenne sostanzialmente inalterato l’apparato coercitivo del passato, oltre al
rapporto privilegiato con la chiesa definito dal Concordato); e, in secondo
luogo, la permanenza di modi di organizzazione della cultura e della società
civile ereditati dal fascismo (si pensi alla struttura della scuola, la cui
riforma si farà attendere sino agli inizi degli anni Sessanta; ma anche a
quella della radio e del cinema) e di posizioni culturali e di atteggiamenti
ideologici che tendevano a riproporre visioni del mondo di tipo idealistico
(seppure talvolta frettolosamente verniciate con una mano di marxismo) e una
concezione del ruolo degli intellettuali e dei loro rapporti con le masse, con
la cultura e con la politica, risalente agli anni Trenta o addirittura all’età
liberale. Il fatto è che l’organizzaazione capitalistica fu ricostruita, a
partire da 1945, tale e quale come nel passato. Lo stato, ben presto
interamente controllato da un nuovo partito di massa, la Dc, mantenne un ruolo
centrale, sia allargando la classe di servizio e di burocrati di stato che il
fascismo aveva creato, sia promuovendo un tipo di sviluppo dominato da grandi
gruppi privati che venivano a esercitare un potere pubblico sottratto a ogni
controllo di parte popolare. La “ricostruzione” fu in realtà la ricostruzione
del capitalismo. I consigli di gestione (che avrebbero dovuto costituire la
novità più risolutiva permettendo il controllo democratico sulla produzione)
ebbero scarso potere reale e non furono sufficientemente sostenuti dai partiti
di sinistra, cosicché scomparvero rapidamente. Sino agli inizi del anni
Cinquanta, quando il processo di accumulazione gettò le basi di un nuovo balzo
in avanti, la struttura del capitalismo restò sostanzialmente quella degli anni
Trenta…
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