Il
28 aprile (1925) era nuovamente in Italia. Il governo aveva preparato un
disegno di legge che la relazione ministeriale diceva rivolto prevalentemente a
colpire la massoneria, il progetto era però formulato per il più generico fine
di “disciplinare le attività delle associazioni, enti ed istituti, e l’appartenenza
ad esse dei pubblici impiegati”: nel che era facile indovinare la vera
intenzione dei prepotenti, decisi a darsi uno strumento per colpire, con l’apparenza
di operare in regime di legalità, tutte le organizzazioni antifasciste (…). Il
16 maggio 1925 Gramsci andò alla Camera per denunziare lo spirito sopraffattore
della legge. Era il suo debutto in parlamento. Il giovane capo dell’opposizione
di sinistra (Gramsci aveva allora trentaquattro anni) e quegli che sino al ’14
era stato direttore dell’”Avanti!” e leader della giovane generazione rivoluzionaria
e adesso, a quarantadue anni, si faceva chiamare duce dalle forze d’assalto
della borghesia reazionaria stavano infine l’uno di fronte all’altro. ben si
conoscevano anche se, prima d’allora, non c’erano mai state occasioni d’incontro.
Parlando il 1° dicembre 1921 dai banchi dell’opposizione, Mussolini aveva detto
alla Camera: “Gli anarchici definiscono il direttore dell’”Ordine Nuovo” un
finto stupido, finto veramente perché si tratta di un sardo gobbo e professore
di economia e filosofia, di un cervello indubbiamente potente”. E Gramsci aveva
scritto il 15 marzo 1924 su “L’Ordine Nuovo” quindicinale:
“Abbiamo
in Italia il regime fascista, abbiamo a capo dei fascisti Benito Mussolini,
abbiamo un’ideologia ufficiale in cui il ‘capo’
è divinizzato, è dichiarato infallibile, è preconizzato organizzatore e
ispiratore di un rinato Sacro Romano Impero. Vediamo stampare nei giornali,
ogni giorno, diecine e centinaia di
telegrammi di omaggio delle vaste tribù locali al ‘capo’. Vediamo le fotografie: la maschera più indurita di un viso
che già abbiamo visto nei comizi socialisti. Conosciamo quel viso: conosciamo
quel roteare degli occhi nelle orbite che nel passato dovevano, con la loro
ferocia meccanica, far venire i vermi alla borghesia e oggi al proletariato.
Conosciamo quel pugno sempre chiuso alla minaccia. Conosciamo tutto questo
meccanismo, tutto questo armamentario e comprendiamo che esso possa
impressionare e muovere i precordi alla gioventù delle scuole borghesi; esso è
veramente impressionante anche visto da vicino….”
Ma
chi era in realtà Mussolini? Era “il tipo concentrato del piccolo-borghese
italiano, rabbioso, feroce, impastato di tutti i detriti lasciati sul suolo
nazionale da vari secoli di dominazione degli stranieri e dei preti: non poteva
essere il capo del proletariato; divenne dittatore della borghesia, che ama le
facce feroci quando ridiventa borbonica, che spera di vedere nella classe
operaia lo stesso terrore che essa sentiva per quel roteare degli occhi e quel
pugno chiuso teso alla minaccia”. Ora per la prima volta i due leaders si
fronteggiavano nell’aula di Montecitorio. Due personalità opposte, due
temperamenti l’uno il rovescio dell’altro.
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