foto di Jan Masny
Lilith
- Katia Sebastiani
A tutti gli uomini
della mia vita.
A mia madre.
“Son ben
rare le donne che non sono essenzialmente vacche o sguattere – ma allora si
tratta di streghe o di fate…”
(Louis
Ferdinand Céline)
I – La Dea Steatopigia
La madre di
tutte le madri era anziana-
avrà avuto
tra sessanta e sessantacinque.
O madre
dimmi la storia che perdura
quando tu
eri signora
adorata e ci
si amava a frotte
nelle
caverne odorose di muschio
e acqua
limpida e le bimbe
crescevano
adorate.
Tutto era
pace nel nostro sabba primordiale,
noi abituate
a affondare
le mani in
ogni brodo,
melma o
salsa.
Questo
pomeriggio la madre
affondava i
piedi nella sabbia
le cosce
sfatte come pilastri l’onda
del mare le
cingeva il polpaccio.
Intorno i
figli
e i figli
dei figli a giocare
che
spruzzavano acqua
e lei.
Mammelle morbide piene di latte un tempo
e se anche
una ferita mortale
il bisturi
il tumore
mi
strappasse via un seno io sarei
per sempre
la tua madre fatale.
II – Mia madre
Strega un
po’
e un po’
anche fata
sguattera e
puttana.
Con i suoi
sogni
di bimbi che
non nascono
le lenzuola
fresche di bucato
le mani
deformate che nasconde.
Mani di
fata,
di madre che
nutre
la terra che
ci nutre.
A farle
festa un tripudio d’insalata
fiori
bianchi di patata
e pomodori
da mettere in dispensa.
Perché
l’inverno arriva,
madre,
e tu lo sai.
E bisogna
stare sempre pronte
contare
sulle proprie forze, lasciare
che quel
fondo di freddo
di tristezza
di rancore
- perché le
cose, madre
non vanno
sempre nella giusta
direzione –
lasciare che
quel gelo passi
o vada a
incistarsi
nel fondo
del fondo
più buio del
cuore.
III
E io guardo
le madri.
Senza fretta
le guardo
senza
rancore senza
gelosia.
Le guardo
così con gratitudine perché
noi siamo
tutte uguali
streghe e
puttane
sguattere e
un po’ fate.
Siamo
bionde, ricciute ossigenate
siamo
sformate e rese sacre dal post partum
e siamo
senza figli
perché si è
fatto tardi
o per
mancanza di allegria.
Siamo madri
a cui ci strappano il clitoride
perché non
c’è
estasi
migliore di una mano
come lo
strano ululare del gabbiano.
Siamo le
figlie che ci fasciano i piedi.
E in
ginocchio
o sullo
scranno ci porteranno all’altare.
Ma noi
avremmo voluto solo correre
felici e
libere sui prati.
Amina anche
lei era una madre-
ammazzata a
sassate.
E così sia.
IV- Tiresia
Che
avrebbe detto Tiresia,
vecchio con
le mammelle raggrinzite?
Avrebbe
presofferto tutto?
La paura,
l’impegno, la fatica
e il lamento
senza fine dei gabbiani?
C’era anche
lui, oggi,
sulla sabbia
– ad annodare reti.
Ma non mi ha
detto niente –
infastidito/imbarazzato.
Il suo
silenzio ci ha fatto
molto male.
V
Non
dirmi che ore sono
non che si è
fatto tardi.
Il tempo,
quello che manca,
mi spaventa.
I vicini
sono ancora alzati -
sento la
televisione
e motorini
in strada.
No dirmi che
non c’è più tempo
che ormai le
cose
si sono
messe così
come si sono
messe
e che il
mondo, quello umano,
non si può
cambiare.
Non dirmi
che le poesie,
le nostre,
non cambieranno il mondo.
Io il mondo
lo voglio cambiare.
Voglio un
mondo vecchio,
facile
facile, un mondo
del passato.
Quello che c’era prima
dell’arco e
delle frecce
dove le
madri si accoppiavano
con il più
forte prima,
e poi con il
più debole.
E le madri
godevano felici
insieme ai
padri. E nascevano figli
tutti
uguali.
E a nessuno,
uomo o donna interessava
un fico
secco di cosa
Tiresia
avrebbe presofferto.
VI
Non ti
deve spaventare
questa carne
bianca sopra
il letto.
Sono mazzi
di vaniglia
le mie
braccia
tese che ti
chiamano.
E tu sarai
in me.
Donna dentro
immenso
corpo di
donna.
La parola
oscenità
per sempre
messa al bando.
Navigheremo
così,
comprese per
l’Eternità.
A tutte le
donne,
con Amore.
VII- Jusuf
Mariama ha
quattro figli.
La Grande
Madre è così triste
che non
riesce a piangere.
Prendimi la
cardioaspirina il caffè
del bar non
piace
quando eri
piccolo
piangevi?
Jusuf, Jusuf
è mio marito.
Jusuf
cacciato, Jusuf ferito.
La Grande
Madre non sa più
piangere,
lacrime seccate aghi di pino
che
gracchiano graffiano sotto le suole.
(Non è
razzismo questo).
Ti sono
grata vecchia megera.
La Grande
Madre ti ringrazia,
io umile
Sacerdotessa dirò.
Le mie
poesie cambieranno il mondo.
La macarena
non mi fa allegria.
La figlia,
la madre, la madre della madre.
Un’intera
genealogia distrutta…conviene
tirarsi una
rivolverata tirare
una
rivolverata.
Cosa posso
io, Lilith, cosa posso
in questa
pineta, domenica pomeriggio,
schiacciata
dal dolore, dal male?
Guardo mio
figlio guardo
lo stringo
con gli occhi mi tengo
alle sue
mani
alla
racchetta al sudore che gronda.
Per non
cadere, per non potere parlare.
Per non
morire grondando
dolore.
Jusuf il
nome
è di
convenzione
ma mi è caro
perché
anche tu,
ipocrita lettore,
dovrai
schioccare un bacio
in punta di
labbra se vorrai
dirlo.
Jusuf il
marocchino, il venditore abusivo,
l’immigrato
irregolare, il senegalese il nero
di merda,
Jusuf si è avvicinato
a una
famiglia che di sera guarda il tg locale.
La madre, la
figlia coi cleanex
La madre della
madre tutte
Dee
Steatopigie, Lilith,
grandi culi
morbidi, seni a cascate.
Così ho
creduto io, Lilith
e le ho
salutate.
La megera,
la madre di mezzo dice vattene
via urlando
tante,
tante, tante, tante, tante volte…
Jusuf alto,
fatto basso da peccato
se ne è
andato. In silenzio.
Amen.
VIII
Ho fatto
l’amore con il mare.
Ho fatto
l’amore con l’amore mio.
Meduse
morbide respirando sono venute
nella
dolcezza della luce.
I
pipistrelli- che non fanno male
Hanno
riconosciutola nostra voce
allegro ululare
di gabbiani innamorati.
Mare, tu,
profondo e passionale. A tratti
trattieni la
bonaccia.
Io fata
pettinata
luccicante
nella notte come
la perla più
preziosa,
una piccola
cometa.
IX- Lo Stupratore
Non temo gli
uomini
intenti a
lavorare.
Mi fanno
paura quando
siedono
pigri sfaccendati
dentro e
fuori dei bar.
Quando passo
bella come
una cometa a primavera
lanciano
occhi e parole ad infilzarmi.
Come Tom
Crusoe infilzava
pesci nella
fiocina.
Lo
Stupratore è
Un bambino
cresciuto male.
Io a mio figlio-
il padre
lontano come un pescatore in mare
insegno
tutto quanto,
dal corpo
fino al cuore.
In questo
modo spero,
qualsiasi
lavoro lui farà
pittore,
imbianchino
meccanico
cuoco e scienziato,
starà seduto
al bar con
dignità.
Ed una
donna, dirà tu la non puoi toccare
neanche con
un fiore.
E se ne
branco,
fra le carte
e il vino ci sarà
lo
Stupratore che protesterà,
lui gli
domanderà-
ridendo
dolcemente, chi è
l’essere
umano
che ami più
al mondo?
Lo
Stupratore-
la bocca
spalancata presa all’amo
dirà (sarà
costretto a dire):
mia madre.
E così sia.
X
Tutto è
cominciato con la morte.
La morte ci
ha fatto incontrare.
La madre
lacrimosa il figlio.
Il figlio
liscio, morbido l’abbraccio
fra la madre
e il figlio.
Io so di
cosa stiamo parlando. Mi senti?
Vuoi
ascoltare finalmente? Rilassati,
lasciati
andare alla morte. La morte gioiosa,
la morte che
non fa male, la morte che
ci ha fatto
incontrare.
Se infatti
credi nelle guerre puniche,
nella
Rivoluzione
non è perché
hai messo la tua mano
nel sudore, dentro
le piaghe.
Credi perché
qualcuno te
lo ha detto, di milionesima mano.
Mia zia mi
ha detto che
nei prati
fra i frutti del mercato
ha sentito
sua zia scalpicciare
i piedi fra
le foglie e l’erba rinsecchita.
La zia morta
a
proteggerla.
Allora dammi
una ragione
plausibile,
una sola,
ma fallo
seriamente. Non mi prendere in giro perché
non ho tempo
da perdere.
Perché non
dovrei credere a mia zia,
la prima
testimone?
Ecco, vedi:
la morte non c’è, o come
diceva
Sant’Agostino è
tutto un
restare lì, nella camera a fianco.
E allora,
amore, chiamami per nome,
non arginare
la nostra dolcezza,
usami lo
stesso affetto di sempre.
Perché io
sono qui.
E lì al
camposanto vieni a cercare
fra i fiori,
i sassi, le conchiglie il mio
corpo che
cresce;
guarda quel
filo d’erba, la formica che si scava
il nido.
Ecco, io sono lì, dentro e sopra la nostra
Madre Terra.
L’anima no,
amore figlio mio,
l’anima è
vento, è luce.
L’anima è
veloce. Dentro il frusciare fresco dei rami,
le foglie
nel verde mi devi chiamare.
Io ti sento, io ci sono.
Io ti sento, io ci sono.
E con mani e
voce di vento ti tengo.
Ti
abbraccio.
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