A Saffo – Ugo Foscolo
Tu che pietosi gomiti
Spargesti ognor cantando,
Che per garzone indocile
Di te vivesti in bando,
Tu che fra meste tenebre
ore di duol passavi
Allor che il sonno, o il giovane
Ahi lassa! invan chiamavi,
Tenera Saffo! un flebile
Poeta a te sen viene
A raccontarti il misero
Le sue amorose pene.
Te su le corde lidie
Talor piangendo invoco,
Acciò mio fiamme estinguere
Io possa almen per poco.
E te ne' carmi, o tenera
Fanciulla, ognor io chiamo,
Che al par di te fra lagrime
Son disprezzato, ed amo.
Amo: la nostra Venere
Non odo i voti miei,
Pur troppo è ver; son perfidi
Con l'infelice i Dei.
Ma che mai dissi? e Cipria
Da te invitata un giorno
Con i giojosi passeri
Posò sul tuo soggiorno;
E a te tergea benefica
L'occhio dai pianti stanco
E ti porgeva ambrosia
Sedendosi al tuo fianco.
E a noi de' Numi il braccio
Aita dee prestare,
Che a noi son venerabili
Dei numi i riti e l'are,
Tu pur se' Dea: memoria
Amor dei fidi serba,
E lor fa lieta l'anima
Dopo una vita acerba.
Ma di'? Cessi di piangere
Là negli elisii campi?
O con le piante candide
Orme solinghe stampi?
Ah! benchè spenta, o Lesbia,
Ancor sospiri ed ami,
E ancor l'ingrato giovane
Su l'arpa eolia chiami.
Me pur tra poco scendere
Fra tetre ombre vedrai;
Ma amante ancor; non spegnesi
Un vivo amor giammai.
Funerei fiori e nenie
Dell'infelice madre
Me seguiran già cenere
Fra sorde pietre ed adre,
Ma amore, amor indomito,
Sia con quest'alma insieme;
Forse sarà più orribile,
Chè allor fura ogni speme.
Pur morirò: tu tenera
Fanciulla a me ti mostra;
Noi piangerem dicendoci
La mutua doglia nostra.
Noi piangerem, e i queruli
Pianti saran soavi;
Fra gl'infelici sembrano
Le pene assai men gravi.
Tu che pietosi gomiti
Spargesti ognor cantando,
Che per garzone indocile
Di te vivesti in bando,
Tu che fra meste tenebre
ore di duol passavi
Allor che il sonno, o il giovane
Ahi lassa! invan chiamavi,
Tenera Saffo! un flebile
Poeta a te sen viene
A raccontarti il misero
Le sue amorose pene.
Te su le corde lidie
Talor piangendo invoco,
Acciò mio fiamme estinguere
Io possa almen per poco.
E te ne' carmi, o tenera
Fanciulla, ognor io chiamo,
Che al par di te fra lagrime
Son disprezzato, ed amo.
Amo: la nostra Venere
Non odo i voti miei,
Pur troppo è ver; son perfidi
Con l'infelice i Dei.
Ma che mai dissi? e Cipria
Da te invitata un giorno
Con i giojosi passeri
Posò sul tuo soggiorno;
E a te tergea benefica
L'occhio dai pianti stanco
E ti porgeva ambrosia
Sedendosi al tuo fianco.
E a noi de' Numi il braccio
Aita dee prestare,
Che a noi son venerabili
Dei numi i riti e l'are,
Tu pur se' Dea: memoria
Amor dei fidi serba,
E lor fa lieta l'anima
Dopo una vita acerba.
Ma di'? Cessi di piangere
Là negli elisii campi?
O con le piante candide
Orme solinghe stampi?
Ah! benchè spenta, o Lesbia,
Ancor sospiri ed ami,
E ancor l'ingrato giovane
Su l'arpa eolia chiami.
Me pur tra poco scendere
Fra tetre ombre vedrai;
Ma amante ancor; non spegnesi
Un vivo amor giammai.
Funerei fiori e nenie
Dell'infelice madre
Me seguiran già cenere
Fra sorde pietre ed adre,
Ma amore, amor indomito,
Sia con quest'alma insieme;
Forse sarà più orribile,
Chè allor fura ogni speme.
Pur morirò: tu tenera
Fanciulla a me ti mostra;
Noi piangerem dicendoci
La mutua doglia nostra.
Noi piangerem, e i queruli
Pianti saran soavi;
Fra gl'infelici sembrano
Le pene assai men gravi.
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