Venere Callipigia (Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Collezione Farnese)
A Venere – Ugo FoscoloE te, leggiadra Venere,
Te canteremo ancora,
O Dea, più fresca e rosea
Della serena Aurora.
Te, cui le Grazie morbide
Sieguon coi biondi Amori,
Te, che tra Giuno e Pallade
Avesti i primi onori.
Ma non avrai di giubilo
Canti, vezzosa Dea;
Suoni giocosi ed ilari
La cetra un dì spargea;
Or già non più: chè scorsero
Que' sì beati giorni,
Sacri ad amor purissimo,
Da mutua pace adorni.
Me di fanciulla instabile
Arde l'incerta fede;
Mal possono le lagrime
Di cui le bagno il piede.
A te ricorro io supplice,
O tra la belle bella,
Almen tu, piega l'anima
Della mia rea donzella.
Te di Neera il tenero
Cantor chiamar solea
Quando fra voti flebili
All'are tue sedea;
E con fragranti aromati,
Con fiori al suol, dispersi
Su la gemente cetera
A te innalzava i versi.
L'aitasti, o Dea? le lagrime
Tergesti a lui pietosa?
Tornò per te a quel misero
La ninfa sua ritrosa?
Ah no! tu, Diva idalia
Che in ogni dove imperi
Sull'infelice giovane
Giravi i lumi alteri.
Nè Adon membrasti, e i gemiti,
E il ripercosso petto,
Allor che in sè porgeati
De' mali suoi l'aspetto.
Te pure Amor con l'aureo
Dardo, te pur ferìo;
Lo sa il tuo cor medesimo
Quanto è tiran quel Dio.
Pianti d'amor sgorgarono
Dal tuo beante ciglio;
Eppur, ch'il crede? piacquero
Quei pianti al crudo figlio
Pietà, gran Dea: d'un misero
Alleggia i tristi affanni,
Che di sua, età più florida
Consacra a te i begli anni.
Pietà!... La mesta effigie
Del volto mio tu mostra,
Tra le sognate immagini
A la fanciulla nostra.
Fa' che il suo cor le palpiti
Con moto non più inteso,
Fa' che di fiamma ingenua
Sentasi il core acceso;
Ah! se da quel di porpora
Labbro suonar io sento,
T'amo, per me nettareo
Per me beato accento,
Sacerdotessa, o Venere,
Sempre farò che sia
Attenta ai tuoi misterii
Questa fanciulla mia.
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