dipinto di Steve Goad
da “Nel giardino del diavolo” - Stewart Lee Allen
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Nel frattempo i loro confratelli inserivano il pomodoro nel libro nero
dei “cibi riprovevoli”. “Non c’è niente di più malefico,” scriveva
l’abate Chiari, il noto moralista cattolico, verso la metà del
Settecento, all’epoca della nascita della salsa di pomodoro
“dell’abitudine (sempre crescente) di fare uso di cibi ricoperti di
droghe (spezie) provenienti dalle
Americhe.” Il fatto che il pomodoro, almeno inizialmente, godesse di
ampio credito come salsa, costituì un ulteriore smacco nei confronti del
pomodoro come frutto. E a rincarare la dose fu il fatto che la salsa
veniva usata solo per guarnire un piatto. “L’uomo, per natura, non è un
mangiatore di salse” scriveva l’autorevole Clemente di Alessandria nel
III secolo, e non si riferiva certo alla mancanza di cucchiai. Le salse
venivano considerate un’insidia di Satana, perché esaltavano l’atto del
mangiare, che era il primo passo verso il peccato di gola, che portava a
sua volta ai vizi capitali di lussuria, superbia, avarizia, ecc. La
brillantezza quasi soprannaturale del pomodoro, il suo gusto penetrante,
la sua succulenza incredibilmente sensuale, per il clero
rappresentavano delle maledizioni. Esso “accendeva le passioni”, cosa di
cui difficilmente si sarebbe potuta accusare la patata, scura e sporca
di terra. La natura pudica della patata era ulteriormente dimostrata dal
metodo asessuato con cui si riproduceva: non aveva semi, ma i frutti
nascevano direttamente dal suo corpo. L’immacolata concezione della
botanica, insomma. Il pomo dell’amore, morbido e delizioso, stracolmo di
densi succhi, che invitava l’eventuale malcapitato ad affondare i denti
nella sua pelle scarlatta e nella sua polpa sensuale per farne uscire
tutti gli umori, era un essere completamente differente: immorale,
lascivo e decisamente pagano. All’epoca non era cosa da poco. Nell’XI
secolo, in occasione della visita di una principessa straniera che
introdusse l’uso della forchetta a Venezia, i capi religiosi locali
invocarono la maledizione divina per questa raffinatezza. Quando più
tardi la damigella morì per un male incurabile, i prelati conclusero che
si era trattato della “punizione divina”, per il modo in cui aveva
tentato di esaltare l’atto del mangiare “portando alle labbra il cibo
per mezzo di uno strumento dotato di due denti”.
Alla fine sia il pomodoro sia la forchetta riuscirono a spuntarla. Ironicamente l’ultimo paese ad accettare il pomodoro fu proprio l’America, la patria del ketchup. Il paladino del pomodoro fu un certo Robert Johnson, un cittadino del New Jersey. Quando, nel 1820, annunciò che avrebbe mangiato pubblicamente uno di quei frutti diabolici, la gente si precipitò da ogni parte degli Stati Uniti, convinta di assistere a una morte in diretta. Il pomeriggio del giorno fatidico Johnson salì le scale davanti casa sua e si rivolse alla folla. “Cosa temete, poveri sciocchi?” sbraitò. “Ora vi dimostrerò che questi frutti sono buoni da mangiare!” E così dicendo addentò il pomodoro. Semi e succo schizzarono fuori. Qualche spettatore svenne. Ma Johnson sopravvisse e, secondo una leggenda locale, aprì una fabbrica di conserve di pomodoro.
Alla fine sia il pomodoro sia la forchetta riuscirono a spuntarla. Ironicamente l’ultimo paese ad accettare il pomodoro fu proprio l’America, la patria del ketchup. Il paladino del pomodoro fu un certo Robert Johnson, un cittadino del New Jersey. Quando, nel 1820, annunciò che avrebbe mangiato pubblicamente uno di quei frutti diabolici, la gente si precipitò da ogni parte degli Stati Uniti, convinta di assistere a una morte in diretta. Il pomeriggio del giorno fatidico Johnson salì le scale davanti casa sua e si rivolse alla folla. “Cosa temete, poveri sciocchi?” sbraitò. “Ora vi dimostrerò che questi frutti sono buoni da mangiare!” E così dicendo addentò il pomodoro. Semi e succo schizzarono fuori. Qualche spettatore svenne. Ma Johnson sopravvisse e, secondo una leggenda locale, aprì una fabbrica di conserve di pomodoro.
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