Parcheggiano i loro
camper e i loro furgoncini laggiù, proprio sulla rientranza che va a lambire la
baia, quindi si siedono su seggiole pieghevoli a chiacchierare di marche di
cordami, convention di aquilonisti, o di come possono mettersi meglio tra i
coglioni, magari proprio mentre cerchiamo di fare un lancio, così
da farci incazzare per bene. Quando andiamo a quel parco preghiamo sempre che
non ci siano, ma questa volta, come del resto la maggior parte delle volte, sono
al loro posto. Parcheggiamo e lasciamo le scarpe in macchina, quindi prendiamo
la nostra roba, Toph con il suo…
«Ehi, un momento, non
puoi indossare quel berretto.»
«Come sarebbe a
dire?» dice.
«Abbiamo lo stesso
berretto. Devi togliertelo.»
«Toglitelo tu.»
«No, tu. I miei
capelli sono più strani dei tuoi.»
«Non è vero.»
«E invece sì. Tu hai
i capelli lisci. Lo sai che faccia mi viene con i capelli schiacciati.»
«Peggio per te.»
«Cosa?»
«No.»
«Eddai. Per piacere.»
«No.»
«Toph.»
«Va bene.»
«Grazie.»
«Mongoloide.»
Arriviamo preparati,
con una quantità di cose da tirarci avanti e indietro. Prima di tutto la palla
da rugby, anche se il divertimento dura poco, perché Toph ha ancora le mani
troppo piccole per maneggiarla come si deve. Poi è il turno della palla da
baseball, con cui dobbiamo esercitarci parecchio perché la squadra in cui è
adesso Toph è migliore dell’altra, e lui gioca con parecchi ragazzi più grandi,
alti e forti, e così comincia a essere a mal partito, si ritrova indietro,
ficcato in qualche punto estremo del campo, magari a destra, il che è
un’umiliazione per entrambi, dopo tutti questi anni di lavoro. Perciò adesso
proviamo a fare degli spioventi, anche se non troppo, per evitare di colpire
gli aquiloni cancellandoli una volta per tutte dal cielo sopra di noi nel quale
ballonzolano e svolazzano, le corde che fischiano sopra le nostre teste.
Toph manca la palla,
e la manca perché sta facendo strani esperimenti e tenta dei giochetti.
«Ehi, lascia perdere
le prese da basket, elegantone.»
«Lascia perdere le
prese da basket, elegantone.»
«Succhiami.»
«Succhiami.»
Oggi giochiamo a
imitarmi.
Posiamo i guantoni e
giochiamo a frisbee, in attesa che una folla in delirio si raccolga intorno a
noi. Qui non c’è lo spazio che c’è di solito in spiaggia o al parco su in
collina, e il campo corto richiede una certa delicatezza per attenuare la forza
bruta che solitamente imprimiamo ai nostri lanci, per cui ci diventano
impossibili quegli alti, profondi, epici lanci per cui andiamo famosi e siamo
giustamente acclamati. A ogni modo ce la caviamo, lanciando il frisbee tra i
fili diagonali degli aquiloni, facendolo girare attorno ai passanti, ovviamente
acchiappandolo in un numero imprecisato di modi, uno più fantastico dell’altro:
tra le gambe (ma non come certi principianti), dietro la schiena (mentre
saltiamo girando su noi stessi da sinistra a destra) e, dopo averlo fatto
saltellare due, tre, quattro volte sulla punta di un dito, domandolo e
facendolo rallentare fino alla presa con un dito solo. Siamo talmente bravi.
Tutti concordano.
Di fronte a noi una
coppia, lui nero e lei bianca, sta passeggiando assieme alla loro bambina di
circa quattro anni dalla pelle color nocciola. La pelle della bambina ha una
sfumatura assai più bella di quella sia della mamma sia del papà, ed è notevole
per come è palesemente il risultato del mescolamento della pigmentazione dei genitori.
Marrone e bianco fa marroncino, come se mescolare le pelli fosse un po’ come
mescolare i colori.
«Lancia, sfigato.»
«Ecco.»
Il lancio di Toph
vira verso la famigliola e per poco non decapita le creatura. Il frisbee viene
raccolto dal padre che lo rilancia come se fosse un ferro di cavallo.
Poveraccio.
Il parco dà ricetto a
combinazioni davvero innovative di persone. Ancor più di Berkeley in generale,
è una specie di laboratorio, e si ha l’impressione che quest’area erbosa sia
una specie di centro per lo sviluppo di tecniche sperimentali di creazione
della gente, una sorta di capitale mondiale della coppia mista. Probabilmente
metà delle coppie presenti è in qualche modo incrociata, perlopiù neri e
bianchi ma anche asiatici e bianchi (anche nella versione meno comune di uomo asiatico-donna
bianca) duetti bianco-latini, o asiatico-latini o neroasiatici, con una
spruzzata di lesbiche. Sembra di essere in un casting per la pubblicità di una
banca - si prende uno di questo, due di quello, più una figura non
tradizionale… «Dammi gli anni Novanta! Dammi il futuro!»
Incidentalmente, io e
Toph, quanto a repertorio di battute, siamo nel bel mezzo di una fase sulla
dubbia importanza delle razze. Non siamo sicuri di come sia cominciata, anche
se di certo non a causa del maggiore e più responsabile di noi due, ma più o
meno funziona così.
Io dico: Il tuo
berretto puzza di piscia.
E lui: Dici così
solo perché sono negro.
Segue risata.
Questo schema
funziona adattato a qualunque situazione, per esempio con la sessualità (“Mi
stai dando noia solo perché sono gay?”) o con la religione (“È perché sono
ebreo? È per quello?”). Oh, ci divertiamo un mondo, o almeno io sì, anche
perché lui sa a malapena quello che sta dicendo. Ovviamente io sto bene attento
a fare in modo che questi pezzi di bravura restino tra noi, e che ce li godiamo
solo a casa, dato che tutta la vis comica andrebbe persa con i suoi compagni, i
loro genitori, o ancora peggio, con la signora Richardson.
Traduzione di
Giuseppe Strazzeri
Nessun commento:
Posta un commento