Carola Rakete
Carola Rackete come
Antigone, «prima delle leggi» - Raffaeke K. Salinari
Carola
Rackete, Comandante della Sea Watch 3, è certamente una figura che si può
definire «tragica» . La memoria torna all’Antigone di Sofocle, che scelse la
pietà verso il corpo del fratello insepolto e per questo fu condannata dalle
leggi che il nuovo sovrano aveva promulgato. Eppure, esiste qualcosa oltre le
leggi, anzi, esiste qualcosa prima delle leggi, ed è ciò che ci fa avvertire
nel profondo il senso di appartenenza alla stessa specie: quella umana. Quando
le leggi sconvolgono quest’ordine superiore, immutabile perché ancorato al
senso stesso della vita, ecco che si perdono i punti di riferimento più saldi,
e si corre il rischio di scivolare sul piano inclinato delle distinzioni
gerarchiche: nascono così le norme razziste, la xenofobia, il nazionalismo
becero; a norma di legge si alzano i muri e si abbattono i ponti, si chiudono i
porti ed i produttori di filo spinato vedono alzare il prezzo del loro classico
prodotto. Il rifiuto di accogliere i naufraghi della nave della Ong da parte
del Ministro degli Interni, si colloca esattamente da questa parte dello
spartiacque tra giustizia e legge del più forte, cercando così,
strumentalmente, di erodere una altro tassello di quella diga a protezione dei
Diritti Umani fondamentali eretta dalla Nazioni Unite dopo la tragedia del
secondo conflitto mondiale.
Questa
è la posta in gioco, niente di meno, e bene lo ha colto il Presidente della
Repubblica quando, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, ha
riaffermato la necessità che l’Italia adempia ai suoi doveri di solidarietà,
assistenza e accoglienza, così come previsto dalla Costituzione Italiana e dal
diritto internazionale. E pretendere di trattare le questioni globali, come
quelle migratorie, spesso legate alla povertà, alle guerre, o ai cambiamenti
climatici, a livello nazionale, o addirittura regionale, rileva di una miopia
che le ondate di calore di questa torrida estete tropicalizzante dovrebbero
invece inquadrare in una scenario rovesciato: quello della cooperazione
internazionale, a partire dalla lotta ai cambiamenti climatici e la ricerca
della pace. Anche su questo il Governo a trazione leghista sta cercando di
imporre la sua visione strumentale e stravolgente della cooperazione
interazionale. Mentre in Libia, infatti, si combatte apertamente, e dunque in
nessun modo questo Paese può essere considerato un porto sicuro, il Decreto
sicurezza bis istituisce presso il Ministero degli Affari Esteri e della
Cooperazione Internazionale un «Fondo di premialità per le politiche di
rimpatrio», che lega gli interventi di cooperazione italiani con i Paesi
partner ad una «particolare collaborazione» di questi ultimi nei rimpatri di
soggetti irregolari. Ora, dato che ci si appella alle leggi, ma evidentemente a
corrente alternata, cioè solo a quelle create da questo Governo tralasciando le
precedenti, bisogna ricordare che la legge riconosce alla cooperazione allo
sviluppo gli obiettivi di: sradicare la povertà e ridurre le disuguaglianze;
tutelare e affermare i diritti umani; prevenire i conflitti e rafforzare le
istituzioni democratiche.
Il
Fondo proposto, dunque, snatura le finalità ultime della cooperazione allo
sviluppo, introducendo per la prima volta in modo formale un principio di
condizionalità sugli aiuti, che risponderebbero a interessi nazionali italiani
più che ad obiettivi di sviluppo. E allora, mentre da una parte si accusano le
Ong di essere dalla parte dei trafficanti di esseri umani, dall’altra si decide
di foraggiare l’apertura di un “mercato dei rimpatri” in cui i Paesi partner
possono aspettarsi di incassare un prezzo per politiche di riammissione
collaborative. Ecco perché, in una recente lettera aperta, oltre 40 sigle di Ong
hanno chiesto al premier Conte di ricorrere alle sue responsabilità per fare sì
che le operazione di sbarco dei naufraghi delle Sea Watch 3 possano essere
condotte nelle prossime ore, assicurando l’opportuna immediata presa in carico
dei minori ancora a bordo e di tutte le altre persone bisognose di cure e
supporto. Restare umani significa anche questo.
Raffaeke
K. Salinari da "il Manifesto" del 28 giugno 2019
Nessun commento:
Posta un commento