Maria Agamben
Maria Agamben
nasce a l’Aquila il 19 settembre 1899. Dopo la laurea in lettere
intraprende la carriera dell’insegnamento, è autrice di testi per la
scuola e collabora con alcune testate giornalistiche. A Roma conosce il
commediografo, critico e poeta Mario Federici con cui si sposa nel 1926.
Durante gli anni del fascismo si trasferiscono all’estero, dove Maria
continua il suo lavoro di insegnante montessoriana presso gli istituti italiani di cultura di Parigi e Sofia e in Egitto.
Torna a Roma nel 1939. Dopo l’8 settembre 1943, giorno della firma dell’armistizio con cui l’Italia di Badoglio si arrende agli Alleati, Maria Federici entra nella Resistenza e diviene membro dell’associazione Piazza Bologna, che fornisce assistenza ai perseguitati politici. In questi anni, in quanto membro dell’UDACI (Unione donne dell’Azione cattolica), Maria organizza un piano di assistenza per le impiegate statali rimaste disoccupate.
Dal 1944 e fino al 1950 è la prima presidentessa del neonato Centro Italiano Femminile (CIF), associazione nata come distaccamento “cristiano” dell’Unione Donne Italiane (UDI), più vicina ai comunisti: qui i suoi impegni riguardano in particolare il fornire assistenza all’infanzia e all’adolescenza (attraverso asili, scuole, refettori) nonché aiuti a emigranti, reduci e persone sfollate.
Candidata della Dc per la Costituente, durante la campagna elettorale la Federici denuncia più volte “la disapprovazione, il divieto, l’intollerabilità dell’uomo” nei confronti della cittadinanza femminile.
Una coercizione della coscienza che poggia sul principio di autorità per cui non è immaginabile che una donna possa, sia pure per un istante, affermare o esprimere con il voto una tendenza in contrasto con quella dell’uomo di casa, marito, fratello o padre che sia. Si tratterebbe di una minuscola bomba atomica scagliata contro l’unità domestica.
Il 2 giugno 1946 Maria è eletta alla Costituente e, insieme a Teresa Noce, Nilde Iotti, Lina Merlin e Angela Gotelli è una delle cinque donne che entrano a far parte della Commissione dei Settantacinque.
Molto attiva durante i lavori dell’Aula, Maria Federici Agamben entra a far parte della III Sottocommissione sui diritti e doveri economico-sociali: tramite un’accurata relazione sostiene l’importanza di uno Stato che elimini gli ostacoli economici che impediscono ai cittadini di sposarsi. Ribadisce inoltre la necessità di una riforma agraria che promuova il miglioramento delle condizioni sia morali che economiche dei ceti contadini.
Discutendo sul Titolo IV (quello dedicato ai rapporti politici), si batte per evitare che la donna sia relegata in settori limitati, che le precludano uffici pubblici e cariche elettive, ribadendo più volte il suo diritto di accedere alla magistratura. Un impegno, dunque, sempre volto a tutelare e a difendere le cittadine italiane.
Con l’approvazione dell’ordine del giorno da me presentato, e sottoscritto da molti colleghi, si è chiuso il dibattito sull’accesso della donna alla magistratura. L’ordine del giorno, rifacendosi all’articolo 48, ha portato l’assemblea a riconoscere che “per quanto riguarda l’accesso della donna alla magistratura l’articolo 48 contiene le garanzie necessarie per la tutela di questo diritto. Abbiamo con questo ultimo atto assolto a uno dei compiti che ci eravamo assunti, entrando a far parte dell’Assemblea Costituente. Giustizia per la donna.
(Dall’articolo “Vittoria del diritto” di Maria Federici, «Il Popolo», a. 1947, n. 281, (27 novembre), p. 1).
Nel 1947 Maria Federici Agamben fonda l’ANFE (Associazione Nazionale Famiglie Emigrati), di cui sarà presidente fino al 1981. Nel 1948 è nuovamente eletta alla Camera, è membro di diverse commissioni ed è relatrice del disegno di legge sulla “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri”, che diverrà la famosa legge n. 860 del 1950. Lo stesso anno, insieme a Lina Merlin, Angela Guidi Cingolani e Maria De Unterrichter Jervolino, Maria fonda il CIDD (Comitato italiano di difesa morale e sociale della donna), inizialmente volto ad appoggiare politicamente l’approvazione della proposta Merlin sulla chiusura delle case chiuse e, successivamente, comitato dedicato al sostegno e al reinserimento sociale delle donne che vogliono abbandonare la prostituzione.
Maria dedica gli ultimi anni soprattutto all’impegno assistenziale e culturale nell’ambito dell’ANFE, interessandosi ai problemi delle donne italiane nei Paesi di emigrazione, all’adempimento dell’obbligo scolastico per gli emigranti all’estero, nonché al mantenimento dei loro contatti con il Paese di origine, per favorirne in qualsiasi momento il rientro.
Muore a Roma il 28 luglio 1984.
fonte ilviggiodellacostituzione
Torna a Roma nel 1939. Dopo l’8 settembre 1943, giorno della firma dell’armistizio con cui l’Italia di Badoglio si arrende agli Alleati, Maria Federici entra nella Resistenza e diviene membro dell’associazione Piazza Bologna, che fornisce assistenza ai perseguitati politici. In questi anni, in quanto membro dell’UDACI (Unione donne dell’Azione cattolica), Maria organizza un piano di assistenza per le impiegate statali rimaste disoccupate.
Dal 1944 e fino al 1950 è la prima presidentessa del neonato Centro Italiano Femminile (CIF), associazione nata come distaccamento “cristiano” dell’Unione Donne Italiane (UDI), più vicina ai comunisti: qui i suoi impegni riguardano in particolare il fornire assistenza all’infanzia e all’adolescenza (attraverso asili, scuole, refettori) nonché aiuti a emigranti, reduci e persone sfollate.
Candidata della Dc per la Costituente, durante la campagna elettorale la Federici denuncia più volte “la disapprovazione, il divieto, l’intollerabilità dell’uomo” nei confronti della cittadinanza femminile.
Una coercizione della coscienza che poggia sul principio di autorità per cui non è immaginabile che una donna possa, sia pure per un istante, affermare o esprimere con il voto una tendenza in contrasto con quella dell’uomo di casa, marito, fratello o padre che sia. Si tratterebbe di una minuscola bomba atomica scagliata contro l’unità domestica.
Il 2 giugno 1946 Maria è eletta alla Costituente e, insieme a Teresa Noce, Nilde Iotti, Lina Merlin e Angela Gotelli è una delle cinque donne che entrano a far parte della Commissione dei Settantacinque.
Molto attiva durante i lavori dell’Aula, Maria Federici Agamben entra a far parte della III Sottocommissione sui diritti e doveri economico-sociali: tramite un’accurata relazione sostiene l’importanza di uno Stato che elimini gli ostacoli economici che impediscono ai cittadini di sposarsi. Ribadisce inoltre la necessità di una riforma agraria che promuova il miglioramento delle condizioni sia morali che economiche dei ceti contadini.
Discutendo sul Titolo IV (quello dedicato ai rapporti politici), si batte per evitare che la donna sia relegata in settori limitati, che le precludano uffici pubblici e cariche elettive, ribadendo più volte il suo diritto di accedere alla magistratura. Un impegno, dunque, sempre volto a tutelare e a difendere le cittadine italiane.
Con l’approvazione dell’ordine del giorno da me presentato, e sottoscritto da molti colleghi, si è chiuso il dibattito sull’accesso della donna alla magistratura. L’ordine del giorno, rifacendosi all’articolo 48, ha portato l’assemblea a riconoscere che “per quanto riguarda l’accesso della donna alla magistratura l’articolo 48 contiene le garanzie necessarie per la tutela di questo diritto. Abbiamo con questo ultimo atto assolto a uno dei compiti che ci eravamo assunti, entrando a far parte dell’Assemblea Costituente. Giustizia per la donna.
(Dall’articolo “Vittoria del diritto” di Maria Federici, «Il Popolo», a. 1947, n. 281, (27 novembre), p. 1).
Nel 1947 Maria Federici Agamben fonda l’ANFE (Associazione Nazionale Famiglie Emigrati), di cui sarà presidente fino al 1981. Nel 1948 è nuovamente eletta alla Camera, è membro di diverse commissioni ed è relatrice del disegno di legge sulla “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri”, che diverrà la famosa legge n. 860 del 1950. Lo stesso anno, insieme a Lina Merlin, Angela Guidi Cingolani e Maria De Unterrichter Jervolino, Maria fonda il CIDD (Comitato italiano di difesa morale e sociale della donna), inizialmente volto ad appoggiare politicamente l’approvazione della proposta Merlin sulla chiusura delle case chiuse e, successivamente, comitato dedicato al sostegno e al reinserimento sociale delle donne che vogliono abbandonare la prostituzione.
Maria dedica gli ultimi anni soprattutto all’impegno assistenziale e culturale nell’ambito dell’ANFE, interessandosi ai problemi delle donne italiane nei Paesi di emigrazione, all’adempimento dell’obbligo scolastico per gli emigranti all’estero, nonché al mantenimento dei loro contatti con il Paese di origine, per favorirne in qualsiasi momento il rientro.
Muore a Roma il 28 luglio 1984.
fonte ilviggiodellacostituzione
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