da Sensi di viaggio –
Marco Aime
Una strada in Marocco
Il
sole è basso. Spruzza luce rossa sul parabrezza. Acceca, confondendo lo
sguardo, esplodendo la linea dell’orizzonte in una macchia rossa. Forse
gialla. La polvere sul vetro diventa
nebbia. Le rocce viola del Dadés sono alle spalle. Ouarzazate è forse là in
fondo, in quella fornace. Ti fanno male gli occhi, ma non smetti di guardare
laggiù, quel riverbero che chiude un’altra giornata. La strada, grigia, si
sforza di luccicare tra la sabbia rossa. Non è una giornata che sta per finire.
È un’emozione che inizia con la sera.
Ouarzazate, dicembre
1987
Luce che non fa
ombra. È così quando la terra è avvolta dall’harmattan. Il vento molle solleva silenziosa sabbia fine. Un alito appena
accennato, impercettibile. La polvere appanna il mondo. Tutto perde
nitidezza, i bordi diventano smorti, i
confini meno netti, le figure opache. Una leggere confusione che lascia spazio
all’immaginazione, alla speranza, a una nuova visione.
Soffiasse sempre,
ovunque, quel vento di polvere ad attutire, ad ammorbidire le frontiere fra le
cose, tra gli uomini, delle menti e degli occhi.
Le
luci dell’Hoggar
Con
il primo arrossire del giorno, le rocce eccitano la fantasia con le loro forme
bizzarre. Uscire dalla tenda è un sacrificio, il freddo gela mani e orecchie.
sul telo esterno c’è un sottile strato di brina. Al riparo dietro un masso
rossastro, i tre cammellieri sembrano vibrare nei riflessi del fuoco. Il più
anziano dei tre sorride sotto la coperta che tiene sulla testa. Fa cenno con la mano di avvicinarmi.
È
il quinto giorno che camminiamo attraverso gli oued, scavati tra le rocce. Accade una o due volte l’anno che nell’Hoggar
la pioggia riempia questi canali sassosi per poi scomparire in pochi giorni,
divorata dal sole. Le hanno chiamate Dolomiti
del deserto quelle torri di roccia che dominano all’orizzonte di
Tamanrasset. Via via che ci si allontana dalla città, la caratteristica forma
dell’Ilamane, la montagna sacra ai tuareg, diventa più chiara e nitida contro
il cielo azzurro.
Narra
un’antica leggenda che l’Ilamane si fosse innamorato dell’Ahmer, una
montagna-femmina, della quale si era però invaghito anche un’altra
montagna-uomo. Quest’ultima sfidò a duello l’Ilamane e lo ferì profondamente
con la spada (le spaccature sono ben visibili sul profilo del monte), poi un grande cataclisma scaraventò lontano l’innamorato
sconfitto, fino a farlo precipitare nel luogo in cui ora si trova.
I
cammellieri mi invitano a sedere tra di loro sorridendo. L’anziano si
accovaccia vicino al mucchietto di braci e con la mano callosa le raduna al
centro. prende da dietro la schiena una radice nodosa, quasi quanto le sue dita
e soffia sui tizzoni, fino a far
riprendere le fiamme. Si muove con dolcezza. L’acqua bolle in fretta bella
piccola teiera smaltata blu. L’atmosfera rarefatta si scioglie come una nenia
di tempi andati, mentre l’uomo travasa il
tè da una teiera all’altra passandolo più volte in un bicchierino di
vetro colorato.
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