dipinto di Andre Kohn
Da Il talento del cuoco – Martin Suter
(…)
Andrea abitava più o meno nella zona dove Maravan sognava di vedere il furgoncino giallo curcuma con la scritta Catering Maravan. L’appartamento si trovava al terzo piano di un signorile condominio anni Venti. Tra grandi camere, un giardino d’inverno, un bagno in stile retrò, un WC con cassetta dell’acqua installata quasi a livello del soffitto e una cucina spaziosa con fornelli a gas e lavastoviglie nuova, a sé stante, che scaricavano nel lavandino.
Era il tipo di appartamento che si otteneva solo con molta fortuna e buone conoscenze e per cui bisognava sempre mettere in conto la possibilità che l’edificio fosse venduto e ristrutturato e che l’affitto salisse alle stelle.
Fino alla fine dell’ultima relazione Andrea ci aveva vissuto in coppia e ora si sentiva un po’ persa tra le mura domestiche. Usava la camera e la cucina, a volte anche il giardino d’inverno, ma sfruttava poco il soggiorno-sala da pranzo. Nella camera vuota di Dagmar non metteva mai piede.
La sala da pranzo era illuminata da una marea di candele. Al centro era sistemato il tavolino di Maravan con i cuscini. Anche la tovaglia era sua. Andrea era riuscita a farsi prestare addirittura l’altarino con la dea Lakshimi e la lampada di terracotta. Aveva rinunciato solo ai bastoncini d’incenso e al flauto indiano da meditazione.
gli attrezzi da cucina, il tavolino, i cuscini, gli ingredienti e tutto quello che il cuoco aveva potuto preparare in anticipo erano stati trasportati con la Golf di Andrea.
Maravan era già stata da lei il giorno prima e aveva preparato i gelati su stecco alla liquirizia. Aveva anche portato e messo nel frigorifero gli intrecci di pasta
di lenticchie dalla doppia consistenza, seguendo l’ispirazione,aveva chiamato “uomo e donna”
Per tutto il resto – le sfere di mandorle e zafferano semighiacciate, i cilindri trasparenti di ghee con i filamenti di zafferano e le palline lucide a basse di ghee, pepe lungo, cardamomo, cannella e zucchero dio palma – usò la cucina di Andrea. Aveva deciso di fare all’ultimo momento anche i dolcetti da tè: i cuoricini glassati di rosso e gli asparagi gelatinizzati. C’erano anche i soliti mothagam. Andrea aveva dovuto effettuare personalmente la consegna al tempio perché lui si era rifiutato di fare il suo indirizzo al corriere.
L’evaporatore rotante era in funzione dalle dieci di mattina. Dopo una lunga ricerca Andrea l’aveva avuti in prestito non da una delle sue conoscenze nella ristorazione, bensì da una corteggiatrice che stava preparando la tesi di dottorato in chimica lavorando come assistente all’università.
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Andrea abitava più o meno nella zona dove Maravan sognava di vedere il furgoncino giallo curcuma con la scritta Catering Maravan. L’appartamento si trovava al terzo piano di un signorile condominio anni Venti. Tra grandi camere, un giardino d’inverno, un bagno in stile retrò, un WC con cassetta dell’acqua installata quasi a livello del soffitto e una cucina spaziosa con fornelli a gas e lavastoviglie nuova, a sé stante, che scaricavano nel lavandino.
Era il tipo di appartamento che si otteneva solo con molta fortuna e buone conoscenze e per cui bisognava sempre mettere in conto la possibilità che l’edificio fosse venduto e ristrutturato e che l’affitto salisse alle stelle.
Fino alla fine dell’ultima relazione Andrea ci aveva vissuto in coppia e ora si sentiva un po’ persa tra le mura domestiche. Usava la camera e la cucina, a volte anche il giardino d’inverno, ma sfruttava poco il soggiorno-sala da pranzo. Nella camera vuota di Dagmar non metteva mai piede.
La sala da pranzo era illuminata da una marea di candele. Al centro era sistemato il tavolino di Maravan con i cuscini. Anche la tovaglia era sua. Andrea era riuscita a farsi prestare addirittura l’altarino con la dea Lakshimi e la lampada di terracotta. Aveva rinunciato solo ai bastoncini d’incenso e al flauto indiano da meditazione.
gli attrezzi da cucina, il tavolino, i cuscini, gli ingredienti e tutto quello che il cuoco aveva potuto preparare in anticipo erano stati trasportati con la Golf di Andrea.
Maravan era già stata da lei il giorno prima e aveva preparato i gelati su stecco alla liquirizia. Aveva anche portato e messo nel frigorifero gli intrecci di pasta
di lenticchie dalla doppia consistenza, seguendo l’ispirazione,aveva chiamato “uomo e donna”
Per tutto il resto – le sfere di mandorle e zafferano semighiacciate, i cilindri trasparenti di ghee con i filamenti di zafferano e le palline lucide a basse di ghee, pepe lungo, cardamomo, cannella e zucchero dio palma – usò la cucina di Andrea. Aveva deciso di fare all’ultimo momento anche i dolcetti da tè: i cuoricini glassati di rosso e gli asparagi gelatinizzati. C’erano anche i soliti mothagam. Andrea aveva dovuto effettuare personalmente la consegna al tempio perché lui si era rifiutato di fare il suo indirizzo al corriere.
L’evaporatore rotante era in funzione dalle dieci di mattina. Dopo una lunga ricerca Andrea l’aveva avuti in prestito non da una delle sue conoscenze nella ristorazione, bensì da una corteggiatrice che stava preparando la tesi di dottorato in chimica lavorando come assistente all’università.
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