dipinto di Joan Longas
da “Crocevia” - Mario
Vargas Llosa
(…)
Giovedì,
esattamente una settimana dopo quello che forse era accaduto e forse no,
Enrique tornò dall’ufficio prima del solito. Stavano bevendo un whisky seduti
sul terrazzo, guardando il mare di Lima pieno di lucine sotto di loro e
parlando, ovviamente, dell’argomento che ossessionava tutte le famiglie in quei
giorni, gli attentati e i rapimenti di Sendero Luminoso e de Movimento
Revolucionario Tùpac Amaru, i black-out serali quasi quotidiani dovuti ai
sabotaggi dei tralicci elettrici che lasciavano al buo interi quartieri della
città, e le esplosioni con le quali terroristi svegliavano nel cuore della
notte e all’alba gli abitanti di Lima. Ricordavano che qualche mese prima, da
quello stesso terrazzo, avevano visto accendersi nel buio, su una collina ai
margini della città, delle torce che facevano una falce e un martello, una
sorta di profezia su ciò che sarebbe accaduto se i senderistas avessero vinto la guerra. Enrique diceva che la
situazione stava diventando insostenibile per le aziende, che le misure di
sicurezza portavano i costi alle stelle, che le compagnie assicurative
continuavano ad aumentare i premi e, se quei delinquenti avessero continuaton a
fare i loro comodi, presto il Perù sarebbe diventato come la Colombia dove, a
quanto pareva, gli imprenditori, messi in fuga dai terroristi, si stavano
trasferendo in massa a Panama e a Miami, per seguire i loro affari da lì. Con
tutte le complicazioni, i costi extra e le perdite che una cosa del genere
comportava. Stava dicendole - forse anche noi dovremmo andare a Panama o Miami,
amore, - quando uscì sul terrazzo Quintanilla, il maggiordomo: - La signora
Chabela al telefono, signora.
-
Passami la telefonata in camera da letto, - disse lei e, mentre si alzava, udì
Quiche che le diceva: - Dì a Chabela che uno di questi giorni chiamo Luciano
per vederci tutti e quattro, gringuita.
(…)
Traduzione di
Federica Niola
Giulio Einaudi
Editore s.p.a. Torino 2016
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