opera di Fernando de Szyszlo
da “Gabriella garofano e cannella” – Jorge Amado
Dopo molti ritardi, finalmente, arrivarono a termine i lavori del porto. Un nuovo canale, profondo e rettilineo, era stato creato. Vi potevano passare senza pericolo di incagliamenti i piroscafi del Lloyd, dello Ita, della Bahiana, e, soprattutto, potevano entrare nel porto di Ilhéus le grandi navi da carico per ritirare direttamente sul posto i sacchi di cacao.
Come spiegò l’ingegnere, il ritardo nella conclusione dei lavori era dovuto ad innumerevoli difficoltà ed intralci. Non si riferiva alla confusione nata con l’arrivo dei rimorchiatori, delle draghe, dei tecnici, a quelle notti di bottigliate in testa nei locali notturni, alle minacce di morte. Si riferiva alle incostanti sabbie del fondale: con la marea, i venti, le bufere, si spostavano, coprivano e distruggevano in poche ore il lavoro di settimane intere. Bisognava cominciare e ricominciare, pazientemente, cambiando venti volte il tracciato del canale, cercando i punti più stabili. Ad un certo momento, i tecnici avevano dubitato del successo, erano stati assaliti dallo sconforto, proprio mentre i più pessimisti della città andavano ripetendo lo slogan della campagna elettorale: “L‘entrata del porto di Ilhéus è un problema insolubile, non c’è niente da fare”.
Partirono draghe e rimorchiatori, ingegneri e tecnici. Una draga rimase permanentemente nel porto, pronta ad intervenire contro i movimentati fondali, per tenere il nuovo canale sempre aperto al transito delle navi di maggior tonnellaggio. Ci fu una grande festa d‘addio (bevuta d’acquavite monumentale), iniziata al Ristorante Commercio, chiusa all’Eldorado, per esaltare la tenacia degli ingegneri, la loro bravura, le loro capacità professionali. Il dottore fu all’altezza della sua fama, nel discorso di commiato. Paragonò l‘ingegnere-capo
a Napoleone, ma “un Napoleone di battaglie di pace e progresso, vincitore del mare apparentemente indomabile, del fiume traditore, delle sabbie nemiche della civiltà, dei venti tenebrosi"; adesso si poteva orgogliosamente contemplare, dall’alto del faro dell’isola di Pernambuco, il porto di Ilhéus ”liberato dalla schiavitù del suo ingresso, aperto a tutte le bandiere, a tutte le navi, per la genialità, l’intelligenza, la dedizione, dei nobili signori ingegneri e tecnici esperti”.
Dopo molti ritardi, finalmente, arrivarono a termine i lavori del porto. Un nuovo canale, profondo e rettilineo, era stato creato. Vi potevano passare senza pericolo di incagliamenti i piroscafi del Lloyd, dello Ita, della Bahiana, e, soprattutto, potevano entrare nel porto di Ilhéus le grandi navi da carico per ritirare direttamente sul posto i sacchi di cacao.
Come spiegò l’ingegnere, il ritardo nella conclusione dei lavori era dovuto ad innumerevoli difficoltà ed intralci. Non si riferiva alla confusione nata con l’arrivo dei rimorchiatori, delle draghe, dei tecnici, a quelle notti di bottigliate in testa nei locali notturni, alle minacce di morte. Si riferiva alle incostanti sabbie del fondale: con la marea, i venti, le bufere, si spostavano, coprivano e distruggevano in poche ore il lavoro di settimane intere. Bisognava cominciare e ricominciare, pazientemente, cambiando venti volte il tracciato del canale, cercando i punti più stabili. Ad un certo momento, i tecnici avevano dubitato del successo, erano stati assaliti dallo sconforto, proprio mentre i più pessimisti della città andavano ripetendo lo slogan della campagna elettorale: “L‘entrata del porto di Ilhéus è un problema insolubile, non c’è niente da fare”.
Partirono draghe e rimorchiatori, ingegneri e tecnici. Una draga rimase permanentemente nel porto, pronta ad intervenire contro i movimentati fondali, per tenere il nuovo canale sempre aperto al transito delle navi di maggior tonnellaggio. Ci fu una grande festa d‘addio (bevuta d’acquavite monumentale), iniziata al Ristorante Commercio, chiusa all’Eldorado, per esaltare la tenacia degli ingegneri, la loro bravura, le loro capacità professionali. Il dottore fu all’altezza della sua fama, nel discorso di commiato. Paragonò l‘ingegnere-capo
a Napoleone, ma “un Napoleone di battaglie di pace e progresso, vincitore del mare apparentemente indomabile, del fiume traditore, delle sabbie nemiche della civiltà, dei venti tenebrosi"; adesso si poteva orgogliosamente contemplare, dall’alto del faro dell’isola di Pernambuco, il porto di Ilhéus ”liberato dalla schiavitù del suo ingresso, aperto a tutte le bandiere, a tutte le navi, per la genialità, l’intelligenza, la dedizione, dei nobili signori ingegneri e tecnici esperti”.
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