dipinto di Victor Vasarely
La città dell’oro – Lino Curci
Ho sognato, ma esiste, una città su un fiume,
verde e lento con motoscafi alla fonda,
e una chiesa con vetrate raggianti dipinte da Chagall
che parlano inutilmente di resurrezione
tra immagini di crolli e cattedrali disfatte,
evangelisti e dèmoni. Nessuna risorge, nessuna
risorgerà di queste facce spente,
maschere grigie nei paesi della pioggia.
Ho sognato, ma esiste, la città dell'oro
con le sue grandi banche dai corridoi inaccessibili,
gli abitanti hanno il volto duro dei servitori dell'idolo
e da ogni parte vengono tributi.
Date al dio delle nuove cattedrali,
la persuasione striscia dai mezzi pubblici
"preferite la nostra Banca, la Banca per tutti".
Date al dio delle nuove cattedrali,
la bellezza delle guglie e delle ogive è morta,
architetture quadrate premono sulla terra,
fortezze del potere, casseforti del mondo.
Il fiume pigro tra le sue anse tace
e con lui la coscienza. Ma tu, sangue
di tante guerre, sale delle lagrime
cristallizzato in oro
nella città che non conosce guerre
da secoli; sudore di tante genti
cristallizzato in oro, deposto per sempre
nei grandi labirinti; se poteste
sciogliervi, scorrere e parlare,
una voce si alzerebbe sul silenzio del fiume
con il tuono e il tumulto delle rapide,
cadrebbe su questi che camminano,
sprezzanti sentinelle,
ai confronti dell'altrui dolore.
"Guardano il sangue della storia passare
con vite divelte come tronchi.
Ascoltateci, ascoltatemi,
ascoltate il vento.
Non conobbero il dolore, il prezzo di essere uomini.
Non vedo le loro cicatrici.
Nell'unico destino, nel comune pericolo
appartati, in silenzio.
Ma nessuno può salvarsi solo.
Adorano un metallo sui loro altari
e camminano nel tempo con facce di schiavi,
sebbene assoldino per le fatiche più umili
lavoratori stranieri".
Sognando mi scoteva questa voce.
Ma è vivo, è vero il ragazzo di Trento
che suda sulle strade
dipingendo le strisce pedonali
del colore dell'oro, con la sua faccia aperta
e il nudo ampio torace d'uomo dei monti.
È viva, è vera la donna di Brescia
che lavora negli ospedali e si lamenta:
"siete, ci dicono, come i negri d'America".
Basta, gridavo in sogno,
impareremo l'importanza dei poveri,
sapremo trattenere i nostri figli,
e la pace non avrà frontiere.
L'oro ritornerà
fra i metalli più semplici.
E la pace non sarà privilegio
Ma un bene comune, indivisibile.
Uomini camminavano sul lungofiume e sui ponti,
lo sguardo indifferente e le labbra strette.
Mostruose banche proliferanti crescevano
chiudendo gli orizzonti,
abbattendosi su di me come bunker.
Nei sotterranei il sangue e il sudore dei secoli
tacevano nell'oro, nel suo colore spento.
Me ne sentivo responsabile, smaniando e piangendo.
Una strana apocalisse di evangelisti e di santi
usciva dalle vetrate con i suoi raggi e le sue rovine,
abbandonava la città, lasciando
l'estate faticosa e il cielo pallido.
Ho sognato, ma esiste, una città su un fiume,
verde e lento con motoscafi alla fonda,
e una chiesa con vetrate raggianti dipinte da Chagall
che parlano inutilmente di resurrezione
tra immagini di crolli e cattedrali disfatte,
evangelisti e dèmoni. Nessuna risorge, nessuna
risorgerà di queste facce spente,
maschere grigie nei paesi della pioggia.
Ho sognato, ma esiste, la città dell'oro
con le sue grandi banche dai corridoi inaccessibili,
gli abitanti hanno il volto duro dei servitori dell'idolo
e da ogni parte vengono tributi.
Date al dio delle nuove cattedrali,
la persuasione striscia dai mezzi pubblici
"preferite la nostra Banca, la Banca per tutti".
Date al dio delle nuove cattedrali,
la bellezza delle guglie e delle ogive è morta,
architetture quadrate premono sulla terra,
fortezze del potere, casseforti del mondo.
Il fiume pigro tra le sue anse tace
e con lui la coscienza. Ma tu, sangue
di tante guerre, sale delle lagrime
cristallizzato in oro
nella città che non conosce guerre
da secoli; sudore di tante genti
cristallizzato in oro, deposto per sempre
nei grandi labirinti; se poteste
sciogliervi, scorrere e parlare,
una voce si alzerebbe sul silenzio del fiume
con il tuono e il tumulto delle rapide,
cadrebbe su questi che camminano,
sprezzanti sentinelle,
ai confronti dell'altrui dolore.
"Guardano il sangue della storia passare
con vite divelte come tronchi.
Ascoltateci, ascoltatemi,
ascoltate il vento.
Non conobbero il dolore, il prezzo di essere uomini.
Non vedo le loro cicatrici.
Nell'unico destino, nel comune pericolo
appartati, in silenzio.
Ma nessuno può salvarsi solo.
Adorano un metallo sui loro altari
e camminano nel tempo con facce di schiavi,
sebbene assoldino per le fatiche più umili
lavoratori stranieri".
Sognando mi scoteva questa voce.
Ma è vivo, è vero il ragazzo di Trento
che suda sulle strade
dipingendo le strisce pedonali
del colore dell'oro, con la sua faccia aperta
e il nudo ampio torace d'uomo dei monti.
È viva, è vera la donna di Brescia
che lavora negli ospedali e si lamenta:
"siete, ci dicono, come i negri d'America".
Basta, gridavo in sogno,
impareremo l'importanza dei poveri,
sapremo trattenere i nostri figli,
e la pace non avrà frontiere.
L'oro ritornerà
fra i metalli più semplici.
E la pace non sarà privilegio
Ma un bene comune, indivisibile.
Uomini camminavano sul lungofiume e sui ponti,
lo sguardo indifferente e le labbra strette.
Mostruose banche proliferanti crescevano
chiudendo gli orizzonti,
abbattendosi su di me come bunker.
Nei sotterranei il sangue e il sudore dei secoli
tacevano nell'oro, nel suo colore spento.
Me ne sentivo responsabile, smaniando e piangendo.
Una strana apocalisse di evangelisti e di santi
usciva dalle vetrate con i suoi raggi e le sue rovine,
abbandonava la città, lasciando
l'estate faticosa e il cielo pallido.
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