Statua di Diomede
Aristobulo – Costantino KavafisPiange tutta la reggia, piange il re.
Erode, il re, si lagna inconsolabile,
e la città lamenta Aristobulo
che per sorte – una beffa! – s’è annegato
mentre giocava con gli amici in acqua.
E quando lo sapranno altrove, quando
dilagherà la nuova nella Siria,
anche s’affliggeranno molti Greci,
s’accorreranno scultori e poeti:
gran fama ebbe tra loro Aristobulo:
e quale efebo della fantasia
attinse la beltà di quel ragazzo? E quale
simulacro divino in Antiochia
spiccò come quel figlio d’Israele?
Geme e piange la Prima Principessa,
la Grande fra le donne ebree, la madre.
geme e piange Alessandra la sventura.
Ma quand’è sola, il suo dolore muta:
impazza, mugghia, ingiuria, maledice.
Come l’hanno giocata, e come illusa!
Come l’hanno raggiunto il loro scopo!
L’hanno tutto spianato, ora, il casato degli Asamonei.
E come c’è riuscito, il re perverso,
lo scellerato, l’assassino, il vile.
Oh, come c’è riuscito. E quale piano subdolo,
diabolico! Neppure Mariamme lo capì.
Se Mariamme capiva, o sospettava,
certo trovava il modo di salvarlo, il fratello:
è regina, alla fine; qualcosa avrebbe fatto.
E adesso, che trionfo, quale gioia segreta
per quelle donne infami, per Cipro e Salomè,
per Cipro e Salomè, donne da trivio.
Ed essere così impotente, lei, costretta
a fingere di credere alle loro menzogne!
E non potere uscire nelle piazze,
e rivolgersi al popolo, gridare
agli ebrei, dire, dire come fu, l’omicidio.
Trad. Filippo Maria Pontani
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