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Stufato afrodisiaco
della zia Burgel – O semplicemente Curanto in pentola
Il
curanto è polinesiano. L’ho mangiato per la prima volta sull’isola di Pasqua
dove, al grido di “curanto”, accorrono sulla spiaggia con i loro strumenti
musicali e le loro ghirlande di fiori tutti gli abitanti, compresi i pochi
lebbrosi ancora rimasti. La festa inizia a metà mattina, con l’accensione di un
falò destinato a riscaldare delle grandi pietre. Gli uomini più giovani scavano
una fossa larga due metri e profonda altrettanto accumulando nei pressi la
terra estratta; nel frattempo le donne preparano il cibo, i bambini lavano le
foglie di banano e tutti schiamazzano e fanno baldoria. Su alcuni banconi di
legno vengono ammucchiati gli ingredienti. un agnello intero tagliato a
pezzetti e marinato, salsicce e costolette di maiale, file di pollo fatti macerare
con erbe e limone, pesci di ogni genere, aragoste solo stordite, frutti di
mare, patate e mais. Quando le pietre sono sufficientemente calde, più o meno a
metà pomeriggio, vengono gettate in fondo alla fossa; si collocano poi dei
grandi recipienti di coccio, in cui si raccoglieranno il brodo e i sughi della
cottura, entro cui vengono ammassati gli ingredienti del portentoso curanto. Il
tutto viene coperto da panni puliti e bagnati, sormontati da vari strati di
foglie di banano che emergono dall’orifizio come una sorta di coperta. Sulle
foglie viene rovesciata la terra scavata e da quel momento la gente si siede ad
aspettare che il calore paziente compia a poco a poco il miracolo. Non si
tratta di un’attesa noioso perché gira da bere, pisco con succo d’ananas o Coca-cola tiepida con rum, , si suonano
strumenti a corda o a percussione. si canta, si raccontano storie e si civetta
senza limiti d’età, mentre gli sparuti turisti tedeschi o giapponesi
fotografano il fumo nella fossa, e con discrezione, i lebbrosi. no so come
facciano, ma il punto esatto della cottura del curanto viene calcolato in modo
che coincida con il tramonto…. Al tramonto i moais, giganti di pietra vulcanica scolpiti da antichi stregoni, si
tingono di rosso. A quell’ora i giovani tolgono la terra con le pale e le
ragazze sollevano con cura le foglie di banano. Appaiono i panni, bianchi,
senza un granello di terra, e quando li si alza una potente folata dall’aroma
meraviglioso si spande per la spiaggia. Intorno alla fossa si produce un
istante di silenzio; ma quando sale il vapore e appaiono le conchiglie aperte
dei molluschi e i rosso crostacei, allora un enorme clamore festeggia il
curanto. Le anziane, grasse, solenni, possenti, estraggono i tocchi e li
collocano nei piatti. I primi sono per i lebbrosi, che aspettano a una certa
distanza. E così, da quella fossa, emergono gradualmente, a strati, i tesori: i
frutti di mare, la carne, le verdure e in ultimo, per finire, il brodo raccolto
nelle marmitte di coccio che viene servito bollente in bicchierini di carta. Un
sorso equivale a mezza bottiglia di vodka liscia. Chi ha assaggiato questo
brodo, un essenza concentrata di tutti i sapori della terra e del mare, no
potrà più rassegnarsi ad altri afrodisiaci. Nessuno può descriverne il sapore;
si può solo parlare del suo effetto: un’esplosione di dinamite nel sangue.
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