dipinto di Sally Storch
da "Kitchen" - Banana
Yoshimoto
(…)
Prima
del funerale della nonna praticamente non lo conoscevo. Fu quel giorno che
Yuichi Tanabe fece la sua apparizione. Ricordo che mi chiesi seriamente se non
fosse l’amante della nonna. Al momento di bruciare l’incenso chiuse gli occhi
gonfi di lacrime, e la mano gli tremava. Poi, quando vide la foto della nonna
riprese a pingere senza freno.
Non
potei fare a meno di pensare che il suo amore per la nonna doveva essere più
forte del mio. Sembrava proprio disperato.
Premendosi
il viso con il fazzoletto, mi chiese:
“Ti
prego, lascia che faccia qualcosa”.
E
poi dette aiuto in molti modi.
Yuiki
Tanabe.
Dovevo
essere molto confusa se mi ci volle un bel po’ per ricordarmi di quando avevo
sentito il suo nome dalla nonna.
Lavorava
part-time dal fioraio da cui la nonna si serviva.
Molte
volte le avevo sentito dire: “Sai, c’è un ragazzo molto caro… si chiama Tanabe…
anche oggi è stato lui a servirmi…” Alla nonna piacevano molto i fiori e per
non farli mai mancare in cucina passava dal fioraio almeno due volte la
settimana. Ricordavo vagamente che un giorno lui l’aveva accompagnata a casa
portando una grande pianta.
Era
un ragazzo alto e snello, dai bei lineamenti. Di lui non sapevo niente. Avevo
la sensazione di averlo visto dal fioraio lavorare con molto impegno. Anche
dopo averlo conosciuto un pochino, chissà perché l’impressione di un tipo un
po’ ‘freddo’ non cambiò. Il suo modo di fare e di parlare erano gentili, ma
ugualmente avvertivo una distanza. La nostra conoscenza era tutta qui, In
pratica, un perfetto estraneo.
Pioveva.
Seguendo la mappa camminavo nell’umida sera di primavera sotto la pioggia
tiepida e leggera che avvolgeva le strade.
Rispetto
alla mia casa il palazzo dove abitavano i Tanabe si trovava dall’altro lato del
parco. Attraversando il parco, il profumo del verde era quasi soffocante.
Camminavo attraverso i riflessi iridescenti che emanavano dal vialetto bagnato
e luccicante.
Andavo
dai Tanabe solo perché me l’avevano chiesto. Ci andavo senza pensare niente.
L’edificio
era alto e imponente. Guardando il nono piano, dov’era il loro appartamento,
pensai che lassù di notte la vista doveva essere magnifica.
Uscii
dall’ascensore, attraversai il corridoio notando come risuonava il rumore dei
miei passi, e suonai il campanello. Subito Yuiki aprì la porta.
“Ciao,
accomodati,” disse.
“Permesso.”
Entrai. Era
davvero uno strano appartamento.
Nel
soggiorno, che era tutt’uno con la cucina, l’occhio correva subito a un immenso divano. Di fronte ai mobili che
contenevano gli arnesi da cucina non
c’era né un tavolo né un tappeto, solo il divano. Aveva un rivestimento beige e sembrava uscito da
uno spot pubblicitario. Veniva da pensare a una famiglia al completo seduta a
guardare la tivù e disteso accanto un cane di quelli enormi che in Giappone
non esistono. Insomma era un divano
fantastico.
Davanti alla
grande finestra che dava sulla veranda c’era una vera giungla di piante, dentro vasi o in spaziose
fioriere, ma anche all’interno la casa era piena di fiori. In ogni angolo si
vedevano composizioni di fiori di stagione.
“Fra poco
mia madre farà un salto dal lavoro. Intanto, se vuoi, guardati pure in giro. Ti
faccio strada io? Tu da quale stanza giudichi?” disse Yuichi, che aveva cominciato a preparare il
tè.
“Cosa?” feci
io, che mi ero seduta su quel soffice divano.
“La casa e i
gusti dei suoi abitanti. Si dice spesso che per capirli basta guardare il bagno, no?”
Era uno che
parlava sempre in tono calmo e con quel sorriso un po’ distante.
“Dalla
cucina,” dissi io.
“Bene. Guarda
pure tutto quello che vuoi.”
Così, mentre
preparava il tè, io alle sue spalle esploravo la cucina.
La graziosa
stuoia sul parquet, la buona qualità delle pantofole che Yuichi portava ai piedi, gli arnesi da cucina,
solo quelli essenziali, che avevano
l’aria di essere usati spesso, appesi in fila ordinatamente... C’era anche una
padella in silverstone e lo stesso pelapatate che avevamo noi in casa.
La nonna,
che era pigra, provava un gran gusto a usarlo, sbucciava tutto senza fatica.
Illuminati
da un piccolo neon vari tipi di piatti tranquillamente in attesa del loro turno
e bicchieri scintillanti. Si capiva al primo sguardo che, nonostante un po’ di
disordine, avevano solo cose di primissima qualità. C’erano stoviglie per usi
specifici: grandi scodelle per zuppe, pirofile per gratin, piatti di misura
extra, boccali di birra col coperchio. Chissà perché, mi sembrò un buon segno.
Anche nel frigorifero, che Yuichi mi invitò ad aprire, se volevo, tutto era
sistemato con cura e si vedeva che niente era lì da troppo tempo.
Giravo e
osservavo tutto, approvando. Era una buona cucina. Me ne ero innamorata a prima
vista
(…)
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