1 settembre 2018

da “Gli amori difficili” – Italo Calvino

Fernando Botero - Rosita, 1973. Museo Antioquia di Medellin  
da “Gli amori difficili” – Italo Calvino
L'avventura di un bandito, (1949)
(…)
- Vuol dire che Lilin andrà sul sofà; su, Lilin, dài, Lilin bello, và via.
Lilin mosse le lunghe mani in aria, cercò il tabacco sul tavolino, si tirò su mugolando, uscì dal letto senza quasi aprire gli occhi, prese il guanciale, la coperta, le cartine, i fiammiferi, - Vai, Lilin bello, - andò via trascinando la coperta per il corridoio. Soddu si rigirava già tra le lenzuola.
Di là Gim guardava dai vetri del finestrino il cielo diventare verde. Aveva dimenticato le sigarette sul comodino, questo era il guaio. E adesso quell'altro si metteva a letto e lui doveva restar rinchiuso fino a giorno tra quel bidè e quelle scatole di borotalco senza poter fumare. S'era rivestito in silenzio, s'era pettinato a puntino guardandosi nello specchio del lavabo, oltre la siepe di profumi e colliri e perette e medicine e insetticidi che guarniva la mensola. Lesse qualche etichetta alla luce del finestrino, rubò una scatola di pastiglie, poi continuò il giro della toilette. Non c'erano molte scoperte da fare: panni in un catino, altri stesi. Si mise a provare i rubinetti del bidè; l'acqua schizzò con rumore. E se Soddu sentiva? Al diavolo Soddu e la galera. Gim era annoiato, tornò al lavabo, si profumò di Colonia la giacca, si mise della brillantina. Certo, se non l'arrestavano oggi l'arrestavano domani, ma la flagranza non c'era, se tutto andava bene lo mandavano fuori subito. Aspettare lì ancora due, tre ore senza sigarette, in quello sgabuzzino... chi glie lo faceva fare?
Certo: l'avrebbero messo fuori subito. Aperse un armadio: cigolò. Al diavolo l'armadio e tutto il resto.
Dentro c'erano vestiti d'Armanda appesi. Gim mise la sua rivoltella in tasca a una pelliccia. «Passerò a prenderla, - pensò, - tanto questa fino all'inverno non la mette». Tirò fuori la mano bianca di naftalina. «Meglio: non si tarla», rise. Andò ancora a lavarsi le mani, poi le salviette d'Armanda gli facevano senso e s'asciugò in un cappotto dell'armadio.
Soddu coricato aveva sentito rumore di là. Posò una mano su Armanda. - Che c'è? - Lei gli si voltò addosso, gli girò un suo braccio grande e molle intorno al capo: - Niente... Che vuoi che sia... – Soddu non voleva liberarsi, pure sentiva muovere di là e chiedeva, come giocando: - ...Che c'è, eh?... eh, che c'è?
Gim aprì la porta. - Andiamo, maresciallo, non far lo scemo, arrestami.
Soddu allungò la mano alla rivoltella nella giacca appesa, ma senza scostarsi da Armanda. - Chi va là?
- Gim Bolero.
- Alto le mani.
- Son disarmato, maresciallo, non far lo scemo. Mi costituisco.
Era in piedi a capo del letto, con la giacca sulle spalle e le mani alte a mezz'aria.
- O Gim, - fece l'Armanda.
- Tra qualche giorno ripasso a trovarti, Anda, - fece Gim.
Soddu s'alzava lamentandosi, s'infilava i calzoni. - Maledetto servizio... Non puoi stare mai in pace...
Gim prese le sigarette dal comodino, accese, mise il pacchetto in tasca.
- Fammi fumare, Gim, - disse Armanda, e si protese alzando il molle petto.
Gim le mise una sigaretta in bocca, le accese, aiutò Soddu a mettersi la giacca. - Andiamo, marescià.
- Vuol dire che sarà per un'altra volta, Armanda, - fece Soddu.
- Arrivederci, Angelo, - lei disse.
- Arrivederci, neh, Armanda, - disse ancora Soddu.
- Ciao Gim.
Andarono. Nel corridoio Lilin dormiva abbarbicato al ciglio dello sfiancato sofà; non si mosse neanche.
Armanda fumava seduta nel gran letto; spense l'abatjour perché una luce grigia entrava già nella camera.
- Lilin, - chiamò. - Vieni, Lilin, vieni a letto, su, Lilin bello, vieni.
Lilin già raccoglieva il guanciale, il portacenere.

Nessun commento:

Posta un commento