2 settembre 2018

da "Le città invisibili" - Italo Calvino

dipinto di Berardino Totaro - Olio cm 80x80
da "Le città invisibili" - Italo Calvino

– Sire, eri distratto. Di questa città appunto ti stavo raccontando quando m’hai interrotto.
– La conosci? Dov’è? Qual è il suo nome?
– Non ha nome né luogo. Ti ripeto la ragione per cui la descrivevo: dal numero delle città immaginabili occorre escludere quelle i cui elementi si sommano senza un filo che li connetta, senza una regola interna, una prospettiva, un discorso. È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.
– Io non ho desideri né paure, – dichiarò il Kan, – e i miei sogni sono composti o dalla mente o dal caso.
– Anche le città credono di essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o le settantasette me raviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.
– O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere, come Tebe per bocca della Sfinge.

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