Sì, sì, –
sono io. Siediti un po’. Non viene più nessuno. Sto quasi
per
scordarmi le parole. E del resto non servono. Credo si avvicini l’estate;
si muovono
diversamente le tende – vogliono dire qualcosa – sciocchezze. Una di esse
è già uscita
fuori dalla finestra, tira, vuole rompere gli anelli,
fuggire
sugli alberi – forse cerca addirittura di trascinare
altrove
tutta la casa – ma la casa resiste con tutti i suoi angoli
e assieme ad
essa anch’io, benché mi senta, da mesi, affrancata
dai miei morti
e da me stessa; e questa mia resistenza,
inconcepibile,
involontaria, estranea, è l’unica cosa che ho – il mio legame
con questo
letto, con questa tenda; – ed è la mia paura, come se mi reggessi
tutta a
quest’anello dalla pietra nera che porto all’indice.
Esamino
questa pietra adesso, per interminabili ore, nella notte –
nera, priva
di riflessi – si ingrandisce, si ingrandisce, si riempie
di acque
nere – le acque esondano, crescono; sprofondo,
non in un
fondale basso, ma in un fondale alto; e da lassù
distinguo
sotto la mia stanza, me stessa, l’armadio, le ancelle
che litigano
senza voce; ne vedo una in piedi
su uno
sgabello che pulisce il vetro del ritratto di Leda
con
espressione dura, vendicativa; vedo lo straccio lasciarsi dietro
una coda polverosa
di minuscole bollicine che salgono e scoppiano
con un
mormorío silenzioso intorno alle mie caviglie o alle ginocchia.
(...)
da Elena -
Traduzione di Nicola Crocetti - Quarta dimensione
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