11 luglio 2017

da Elena – Ghiannis Ritsos

foto di Martino Zegwaard - da picssr.com
da Elena – Ghiannis Ritsos

(…)
Questo mi resta ancora – una sorta di ricompensa, di giustificazione a distanza, e forse
questo rimarrà, mi dico, in qualche parte al mondo – una libertà momentanea,
immaginaria, naturalmente, anch’essa – un gioco del destino e della nostra ignoranza. È  proprio in questa posa
(per quanto mi ricordo) che gli scultori tentavano di modellare
le mie ultime statue; – si trovano ancora in giardino;
entrando le avrai viste. A volte anch’io (quando le ancelle sono di buonumore
e sorreggendomi per le ascelle mi portano su quella sedia
davanti alla finestra) le vedo. Splendono al sole. Un calore bianco
sale dai loro marmi fin quassù.  Non riesco a pensare più a lungo. Mi stanco
presto anche di questo. Preferisco guardare una parte della strada
dove due o tre bambini giocano con una palla di stracci, o una ragazza
cala un paniere legato a una corda dal balcone di fronte.

A volte le ancelle mi dimenticano lì. Non vengono a riportarmi sul letto.
Resto tutta la notte a guardare una vecchia bicicletta, appoggiata
davanti alla vetrina illuminata di una nuova pasticceria,
finché si spengono le luci, o io mi addormento sul davanzale. Ogni tanto
ho l’impressione che mi svegli una stella che cola nello spazio
come la bava dalla bocca sdentata e aperta di un vecchio.
Ora 
è tanto che non mi portano alla finestra. Resto qui sul letto
seduta o stesa – questo lo sopporto. Per far passare il tempo
mi prendo il viso tra le mani – un viso estraneo; – lo tocco, lo tasto, conto
i peli, le rughe, i grossi nei; – chi c’è all’interno di questo viso?
Qualcosa di aspro mi sale alla gola – la nausea e la paura,
la stupida paura, mio Dio, di perdere anche questa nausea. Rimani ancora –
entra un po’ di luce dalla finestra – avranno acceso i lampioni sulla strada.
(…)

da Elena - Traduzione di Nicola Crocetti - Quarta dimensione

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