foto da extra.cz
da Elena – Ghiannis Ritsos
(…)
Non che
abbia perso la memoria – ricordo ancora; soltanto che i ricordi
non hanno
più commozione – non ci commuovono – impersonali, sereni,
lindi fin
nei recessi più insanguinati. Uno solo
conserva
ancora un’aura intorno a sé, respira.
Quella sera,
circondata
dalle grida interminabili dei feriti,
dalle
imprecazioni sussurrate dei vecchi e dalla loro ammirazione,
nell’odore
di morte generale che, in certi istanti, scintillava
su uno scudo
o sulla punta di una lancia o sulla metopa
di un tempio
abbandonato, o sulla ruota di un carro – salii da sola
sulle alte
mura e passeggiai,
sola, completamente sola, in mezzo
ai troiani e
agli achei, sentendo il vento incollarmi addosso
i pepli
sottili, tastarmi i capezzoli, sorreggere tutto il mio corpo
vestito e
denudato, appena una larga cintola d’argento
che
sollevava in alto i seni –
così bella, intatta, provata,
nell’istante
in cui i miei due rivali in amore si battevano a duello e si giocava il destino
di
quell’annosa guerra; –
non vidi neanche rompersi il
legaccio
dell’elmo di
Paride – forse scorsi un bagliore del rame,
un bagliore
rotondo, quando il suo avversario lo fece roteare – con rabbia
sopra il suo
capo – uno zero di luce.
Non valeva la pena di guardare; –
l’esito lo
avevano fissato in anticipo le volontà degli dèi; e Paride,
privo dei
suoi sandali impolverati, si sarebbe presto ritrovato sul letto,
lavato dalle
mani della dea, ad aspettarmi sorridente,
magari
nascondendo con un cerotto rosa una ferita immaginaria sul fianco.
Non guardai più;
non udivo quasi i loro gridi di guerra –
io, lassù,
sulle mura, sopra le teste dei mortali, aerea, carnale,
senza
appartenere a nessuno, senza avere bisogno di nessuno,
come se
fossi (nella mia indipendenza) tutto quanto l’amore – libera
dal timore
della morte e del tempo, con un fiore bianco tra i capelli,
con un fiore
tra i seni, e un altro tra le labbra per nascondere
il sorriso
della libertà.
Avrebbero potuto
colpirmi da
entrambi i lati con le frecce.
Mi offrivo a bersaglio
camminando
lentamente sulle mura, stagliandomi
nel cielo
porpora e oro della sera.
Tenevo gli occhi chiusi
per
agevolare un gesto di ostilità da parte loro – ben sapendo in fondo
che nessuno
lo avrebbe osato. Le loro mani tremavano per il bagliore
della mia
bellezza e immortalità –
(forse ora posso aggiungere:
non la
temevo la morte, perché la sentivo così lontana).
Allora
gettai i due
fiori dai seni e dai capelli; – il terzo
lo tenevo
ancora tra le labbra; – li gettai ai due lati delle mura
con gesto
d’assoluta degnazione.
E allora gli uomini, dentro e fuori
le mura,
si gettarono
l’uno sull’altro, avversari e alleati, per conquistare
quei fiori e
offrirmeli – i miei fiori. Non vidi
nient’altro
dopo – soltanto schiene curve, come se tutti
fossero
inginocchiati a terra, dove seccava al sole il sangue; – forse calpestavano già
quei fiori.
Non vidi.
Avevo mosso le mani,
mi ero
sollevata sulle punte dei piedi, e ascesi al cielo
lasciandomi
cadere di bocca anche il terzo fiore.
(…)
da Elena -
Traduzione di Nicola Crocetti - Quarta dimensione
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