Priamo
E tutti videro il re
rotolarsi nel fango, impazzito dal dolore. Vagava dall'uno all'altro a supplicare
che lo lasciassero andare alle navi degli Achei a riprendersi il corpo del figlio.
Con la forza, dovettero tenerlo fermo, il vecchio pazzo. Per giorni rimase seduto
in mezzo ai figli, chiuso nel suo mantello. Solo pena e lamenti, intorno a lui.
Piangevano, uomini e
donne, tutti, ripensando agli eroi perduti. Il vecchio aspettò che il fango si
indurisse tra i suoi capelli e sulla sua pelle bianca. Poi, una sera, si alzò. Andò
nel talamo e fece chiamare la sua sposa, Ecuba. E quando l'ebbe di fronte le disse:
"Io devo andare laggiù. Porterò doni preziosi che addolciranno l'animo di Achille.
Io devo farlo" . Ecuba prese a disperarsi. "Mio dio, dov'è finita la
saggezza per cui andavi famoso? Vuoi andare alle navi, tu, da solo, vuoi finire
davanti all'uomo che tanti figli ti ha ucciso? Quello è un uomo spietato, cosa
credi, che avrà pietà di te, e rispetto? Stattene qui a piangere nella tua
casa, per Ettore noi non
possiamo fare più
niente, era il suo destino farsi divorare dai cani lontano da noi, preda di
quell'uomo a cui strapperei il fegato a morsi." Ma il vecchio re le
rispose: "Io devo andare laggiù. E non sarai tu a fermarmi. Se è destino
che io muoia presso le navi degli Achei, ebbene, morirò: ma non prima di aver
stretto tra le braccia mio figlio, e pianto tutto il mio dolore su di
lui".
Così disse, e poi
fece aprire tutti gli scrigni più preziosi. Scelse dodici pepli bellissimi, dodici
mantelli, dodici coperte, dodici teli di lino candido, e dodici tuniche. Pesò dieci
talenti d'oro, e prese due tripodi lucenti, quattro lebeti e una coppa meravigliosa,
dono dei Traci. Poi corse fuori e a tutta quella gente che piangeva in casa sua
si mise a gridare, furibondo "Andatevene via, miserabili, infami, non
avete una casa vostra dove andare a piangere?, dovete proprio stare qui a
tormentarmi, non vi basta che Zeus mi abbia tolto Ettore, che di tutti i miei
figli era il migliore, sì, il migliore, mi avete sentito bene, mi hai sentito,
Paride?, e tu, Deifobo, e voi Polite, Agatone, Eleno, lui era il figlio
migliore, miserabili, perché non siete morti voi al posto suo? eh? io li avevo
figli valorosi, ma tutti li ho perduti, e mi sono rimasti i peggiori, i vanitosi,
i bugiardi, quelli buoni solo a danzare e a rubare. Cosa aspettate, infami,
uscite da qui e andate a preparare un carro, subito, io devo mettermi in cammino".
Tremavano tutti, davanti alle grida del vecchio re. E dovevate vederli, come
corsero via, a preparare un carro e a caricarlo con tutti i doni, e poi i muli
e i cavalli, tutto... Nessuno discuteva più. Quando tutto fu pronto arrivò
Ecuba. Teneva nella mano destra una coppa piena di dolce vino. Si avvicinò al
vecchio re e gliela porse. "Se proprio vuoi andare", gli disse,
"Contro il mio volere, brinda almeno a Zeus, prima, e pregalo di farti
tornare vivo." Il vecchio re prese in mano la coppa e poiché la sua sposa
glielo chiedeva la alzò al cielo e pregò Zeus di avere pietà, e di fargli
trovare amicizia e compassione là dove sarebbe andato. Poi salì sul suo carro. Tutti
i doni li avevano caricati su un secondo carro, guidato da Ideo, l'araldo pieno
di saggezza. Se ne partirono, il re e il fedele servitore, senza scorta, senza
guerrieri, soli, nel buio della notte.
(…)
Nessun commento:
Posta un commento