23 novembre 2018

da “Il figlio maschio” – Giuseppina Torregrossa

Fernando Botero - The Maid
da “Il figlio maschio” – Giuseppina Torregrossa

Concettina fin da piccola a letto non ci stava volentieri, e anche ora che era cresciuta prima che il sole sorgesse stava già in piedi.
«Il materasso è cosa per gli ammalati, e io grazie a Dio sono in buona salute!» era solita ripetere.
«Ma chi te lo fa fare?» le chiedeva polemico il fratello Filippo. La domanda rimaneva senza risposta, perché lei non aveva tempo da perdere in chiacchiere. C’era da riordinare la cucina, fare il bucato e subito dopo la spesa, ché bisogna pure mangiare, e poi c’era da stirare le camicie di Filippo, abituato a girare come un gagà, le scarpe da lucidargli e infine trovare un posto per tutti quei libri che affollavano ogni angolo della casa.
Intelligente e determinata, aveva ereditato dalla madre il nome e il carattere volitivo, dal padre le fattezze fisiche e il cognome. Non era stata fortunata. Bassa e tracagnotta, con una personalità spigolosa e respingente, ancora a vent’anni si trovava senza marito e i rari pretendenti, appena ne intuivano l’indole, sparivano dall’oggi al domani senza una parola di spiegazione.
La ragazza sembrava in apparenza non prendersela troppo: conosceva i propri limiti. Sapeva per esempio di essere goffa. I grossi fianchi basculanti le rallentavano i movimenti; mentre i piedi larghi e le caviglie tozze, che, come pane lievitato, sbuffavano dagli scarponcini di cuoio, la facevano assomigliare a uno di quegli elfi che sbucavano dalle illustrazioni dei libri per l’infanzia. Ma che doveva fare? Chiudersi in convento perché era brutta? C’erano già le sue sorelle, Vita e Filippina, che da anni se ne stavano nascoste dietro le mura umide della clausura e, intabarrate nelle lunghe vesti nere, tenevano a distanza quei demoni che ai più rendono divertente l’esistenza.
Concettina invece amava la vita e avrebbe voluto godersela, ma le mancava il coraggio. «Ah, fossi nata maschio» si ripeteva rabbiosa, «avrei spaccato le balate!» E di forza ne aveva per rompere le pietre. I suoi bicipiti tesi premevano contro la stoffa leggera della camicetta fino a sgranare le cuciture.
«Fossi nata maschio!» le aveva fatto spesso eco il padre con un’ammirazione intrisa di rammarico. Ma era nata femmina e brutta: doppia disgrazia. Come se non bastasse, in famiglia di soldi ne erano sempre girati pochi e, da che mondo è mondo, i maschi stanno alla larga dalle donne povere e intelligenti. Da picciridda sognava di gestire un emporio: “Voglio fare la traffichedda” aveva scritto una volta in un tema. Da adulta avrebbe venduto l’anima al diavolo pur di poter disporre di un po’ di denaro per sé e non dover dipendere da nessuno.

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