opera di Victor Vasarely
da “Le città invisibili” – Italo Calvino
Le città e i segni. 1.
L’uomo cammina per giornate tra gli alberi e le pietre. Raramente l’occhio si ferma su una cosa, ed è quando l’ha riconosciuta per il segno d’un altra cosa: un’impronta sulla sabbia indica il passaggio della tigre, un pantano annuncia una vena d’acqua, il fiore dell’ibisco la fine dell’inverno. Tutto il resto è muto e intercambiabile; alberi e pietre sono soltanto ciò che sono.
Finalmente il viaggio conduce alla città di Tamara. Ci si addentra per vie fitte d’insegne che sporgono dai muri. L’occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose: la tenaglia indica la casa del cavadenti, il boccale la taverna, le alabarde il corpo di guardia, la stadera l’erbivendola. Statue e scudi rappresentano leoni delfini torri stelle: segno che qualcosa – chissà cosa – ha per segno un leone o delfino o torre o stella. Altri segnali avvertono di ciò che in un luogo è proibito – entrare nel vicolo con i carretti, orinare dietro l’edicola, pescare con la canna dal ponte – e di ciò che è lecito – abbeverare le zebre, giocare a bocce, bruciare i cadaveri dei parenti. Dalla porta dei templi si vedono le statue degli dei, raffigurati ognuno coi suoi attributi: la cornucopia, la clessidra, la medusa, per cui il fedele può riconoscerli e rivolgere loro le preghiere giuste. Se un edificio non porta nessuna insegna o figura, la sua stessa forma e il posto che occupa nell’ordine della città bastano a indicarne la funzione: la reggia, la prigione, la zecca, la scuola pitagorica, il bordello. Anche le mercanzie che i venditori mettono in mostra sui banchi valgono non per se stesse ma come segni d’altre cose: la benda ricamata per la fronte vuol dire eleganza, la portantina dorata potere, i volumi di Averroè sapienza, il monile per la caviglia voluttà. Lo sguardo percorre le vie come pagine scritte: la città dice tutto quello che devi pensare, ti fa ripetere il suo discorso, e mentre credi di visitare Tamara non fai che registrare i nomi con cui essa definisce se stessa e tutte le sue parti.
Come veramente sia la città sotto questo fitto involucro di segni, cosa contenga o nasconda, l’uomo esce da Tamara senza averlo saputo. Fuori s’estende la terra vuota fino all’orizzonte, s’apre il cielo dove corrono le nuvole. Nella forma che il caso e il vento dànno alle nuvole l’uomo è già intento a riconoscere figure: un veliero, una mano, un elefante...
L’uomo cammina per giornate tra gli alberi e le pietre. Raramente l’occhio si ferma su una cosa, ed è quando l’ha riconosciuta per il segno d’un altra cosa: un’impronta sulla sabbia indica il passaggio della tigre, un pantano annuncia una vena d’acqua, il fiore dell’ibisco la fine dell’inverno. Tutto il resto è muto e intercambiabile; alberi e pietre sono soltanto ciò che sono.
Finalmente il viaggio conduce alla città di Tamara. Ci si addentra per vie fitte d’insegne che sporgono dai muri. L’occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose: la tenaglia indica la casa del cavadenti, il boccale la taverna, le alabarde il corpo di guardia, la stadera l’erbivendola. Statue e scudi rappresentano leoni delfini torri stelle: segno che qualcosa – chissà cosa – ha per segno un leone o delfino o torre o stella. Altri segnali avvertono di ciò che in un luogo è proibito – entrare nel vicolo con i carretti, orinare dietro l’edicola, pescare con la canna dal ponte – e di ciò che è lecito – abbeverare le zebre, giocare a bocce, bruciare i cadaveri dei parenti. Dalla porta dei templi si vedono le statue degli dei, raffigurati ognuno coi suoi attributi: la cornucopia, la clessidra, la medusa, per cui il fedele può riconoscerli e rivolgere loro le preghiere giuste. Se un edificio non porta nessuna insegna o figura, la sua stessa forma e il posto che occupa nell’ordine della città bastano a indicarne la funzione: la reggia, la prigione, la zecca, la scuola pitagorica, il bordello. Anche le mercanzie che i venditori mettono in mostra sui banchi valgono non per se stesse ma come segni d’altre cose: la benda ricamata per la fronte vuol dire eleganza, la portantina dorata potere, i volumi di Averroè sapienza, il monile per la caviglia voluttà. Lo sguardo percorre le vie come pagine scritte: la città dice tutto quello che devi pensare, ti fa ripetere il suo discorso, e mentre credi di visitare Tamara non fai che registrare i nomi con cui essa definisce se stessa e tutte le sue parti.
Come veramente sia la città sotto questo fitto involucro di segni, cosa contenga o nasconda, l’uomo esce da Tamara senza averlo saputo. Fuori s’estende la terra vuota fino all’orizzonte, s’apre il cielo dove corrono le nuvole. Nella forma che il caso e il vento dànno alle nuvole l’uomo è già intento a riconoscere figure: un veliero, una mano, un elefante...
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