30 novembre 2014

... Penelope in viaggio.



da "I viaggi di Penelope" di Juana Rosa Pita

VIII
Non credano che ti aspetto
perché so che verrai a liberare la tua casa
dagli avidi torrenti
o dai miei pretendenti

Ti aspetto perché ci sei:
non sei mai andato via per stupidi doveri
(nelle stanze più silenziose
i muri conservano la tua voce)
e tutte le orme si sottomettono
al ritmo dei tuoi passi
persino la solitudine si mostra col tuo viso
accanto al mio cuscino


IX
Penelope tra le grate
d'Itaca
piegate come spighe
all'aria libera dei tuoi occhi:
addomestichi il mare
(cucciolo di tormenta)
e quanti ciclopi non avrai
già accecato
senza staccare i piedi dalla spiaggia
che rotola nei secoli!


XLIII
Ogni odissea
ha un finale felice
se Penelope
sopravvive al terrore
del silenzio di Ulisse


LIV
Ci vuole della musica per tanta leggenda:
questo compito assurdo mi redime
dal vizio dei numeri
e redime te
benché ti ecciti misurarti con gli dei

Da uno all'infinito
mi basterebbe Ulisse
(dovunque sia che egli impegni le spalle)
per legare ogni filo del poema:
uno solo tra quelli destinati a morire
sarebbe sufficiente perché io non li sleghi
o tu stesso
che in un angolo del tempo oggi mi leggi

... e Penelope.

 
La disperazione di Penelope - Ghiannis Ritsos

Non è che non lo riconobbe alla luce del focolare;
non erano
gli stracci da mendicante, il travestimento – no;
segni evidenti:
la cicatrice sul ginocchio, il vigore, l'astuzia nello
sguardo. Spaventata,
la schiena appoggiata alla parete, cercava una scusa,
un rinvio, ancora un po' di tempo, per non rispondere,
per non tradirsi. Per lui, dunque, aveva speso vent'anni,
vent'anni di attesa e di sogni, per questo miserabile
lordo di sangue e dalla barba bianca? Si accasciò muta
su una sedia,
guardò lentamente i pretendenti uccisi al suolo, come
se guardasse
morti i suoi stessi desideri. E "Benvenuto" disse,
sentendo estranea, lontana la propria voce. Nell'angolo
il suo telaio
proiettava ombre di sbarre sul soffitto; e tutti gli uccelli
che aveva tessuto
con fili vermigli tra il fogliame verde, a un tratto,
in quella notte del ritorno, diventarono grigi e neri
e volarono bassi sul cielo piatto della sua ultima rassegnazione.

...e un'altra Penelope

Edward Hopper - Cape Cod Morning

Penelope - Carol Ann Duffy
 
All’inizio, guardavo la strada
sperando di vederlo arrivare
camminando disinvolto tra gli ulivi,
un fischio al cane
che lo piangeva col muso caldo sulle mie ginocchia.
Sei mesi di questa storia
poi ho capito che passavano giornate intere
senza che me ne rendessi conto.
Presi ago e filo, forbici e tela;
pensando di distrarmi,
invece mi ritrovai l’industria di una vita.
Ricamai una ragazza
sotto una sola stella – punto a croce, seta argento –
che rincorre la palla saltellante dell’infanzia.
Per l’erba scelsi tre toni di verde;
un rosa antico, un grigio ombra
per mostrare una bocca di leone che gargarizza un’ape.
L’albero lo ricamai col filo nocciola,
il mio ditale come una ghianda
spuntava dalla terra bruna.
Nell’ombra
avvolsi una fanciulla in un profondo abbraccio
col ragazzo-eroe
e mi smarrii del tutto
in un folle ricamo d’amore, desiderio, perdita e rimpianto;
poi guardai lui salpare
nei lenti punti d’oro del sole.
E quando gli altri vennero a prendergli il posto,
a disturbare la mia pace,
presi tempo.
Misi su una faccia da vedova, tenni la testa bassa,
facevo il lavoro di giorno e lo disfacevo di notte.
Sapevo a che ora della sera la luna
cominciava a sfilacciarsi,
la rammendai.
Fili grigi e marroni
inseguivano il pesce guizzante del mio ago
a formare un fiume che mai avrebbe raggiunto il mare.
Lo ingannai. Mi stavo disegnando
il sorriso di una donna al centro
del mondo, indipendente, intenta, soddisfatta,
e certamente non in attesa,
quando fuori dalla porta – troppo tardi – udii un passo ben
noto.
Inumidii il mio filo scarlatto
e ancora una volta infilai il centro della cruna.


... e un'altra moglie.

Penelope - Dante Gabriel Rossetti

Penelope - Pandelìs Bukalas 
  Lui nel suo mondo aperto
tra i suoi omicidi e le gozzoviglie
tra intrighi e assalti
- a tramare, sempre a tramare,
il senza ritorno.
E tra le sue donne,
mica una o due.
Tutte a soccorrere il poveraccio -
quasi che l'esilio lo avvelenasse
e fosse in balìa del mare.
A seminare bastardi, ché non scompaia la sua stirpe.
Macché moli
macché rimedio divino
contro le magie di Circe.
Superfluo.
Il maiale non si trasforma in maiale.
Lo è già.
Perfino agli inferi è sceso
pur di ritardare.
A imparare, dice, dalle ombre dei morti.
Palamede, lui,
non l'ha mai interrogato né visto.
Aveva mica fegato, il divino,
per sopportare il sangue di chi ha subìto l'ingiustizia.

E io chiusa, reclusa,
con un moccioso che mi striscia ai piedi,
tutto il veleno del mondo striscia
come un serpente a divorarmi.
Allora decisi di mettere in pratica
ciò che la loro perfida lingua
pronunciava.
Questa la mia perfidia.
La mia trama.
Una notte conquistarono tutti
il mio corpo vuoto,
che, impartecipe, ingannava la fame dei pretendenti,
i loro fiati puzzavano di vino e di sconfitta.
Pan venne, nacque.
Nel suo nome era nascosta
la mia vendetta fredda, gelida,
come io, per vent'anni,
mi nascondevo nel mio nome
a tessere, a disfare il mio rifiuto,
io, la rifiutata.

Un giorno ritornò, il satollo,
e non si sognò neppure di cercare
il neo sui miei seni
né l'ulivo del letto.
Queste cose le dicono i poeti.
Ma come può avvertire il dolore di una donna
o angustiarsene, lui, l'estraneo.

Traduzione di Nicola Crocetti

Ancora una moglie.

Paride e Elena - Jaques-Louis David

Elena - Enzo Montano

“Platres! Cos’è? Quest’isola chi la conosce?
Ho vissuto una vita udendo nomi inauditi:
luoghi nuovi, follie nuove degli uomini

o degli dei.”
Giorgos Seferis – Per un'Elena


Tutti hanno genitori per maestri
io un capriccio della confusione
mia madre partorì un uovo superiore
di un cigno vile ingannatore
poi Elena dalle parvenze irresistibili;
per l'universo un mito: per me un calvario

Leda Zeus Tindaro Oceano Afrodite o Nemesi
vanto altissimo lignaggio fin sulla vetta dell'Olimpo
eppure imprigionata in archetipo di bellezza.
Desiderio mai appagato dell'intera altra metà
ancora fanciulla rapita da Teseo ma...
interminabile è la lista dei miei corteggiatori
veri finti e d'interesse militare
e ogni scelta apparentemente mia
origina conflitti talvolta di decenni.
Piccole parvenze sconosciute di capi e principi
da ogni angolo di Grecia pretendenti mai cercati
anelava desiderio di volermi in sposa
chi mi condanna all’espiazione, e cosa?

Infine gli dei scelsero il re di Sparta e mia sorella suo fratello
novella sposa venne il bel Paride di Ilio
ennesimo strumento dei capricciosi abitatori dell'olimpo
e mi rapì ....
e via alla guerra interminabile tra le scee e lo Scamandro.
Fonte di dolore e tomba degli eroi
ma inesauribile fontana di quei preziosi versi
costruiti nei millenni che colmano i cassetti dei cervelli.
Di tutti i poeti e letterati che si sono cimentati
con immane lavoro delle muse nel narrare le gesta
di achei troiani tra clangori grida e sangue in piena
nessuno ha mai raccolto un mio punto di vista.

molti hanno cantato del mio sballonzolare
costretta per il Mediterraneo sui legni tra le onde
dallo spasimante scelto dalla cima sacra
sempre indicata alle folle ignare
unico motivo di lutti sacrificio di eroi
ma io suprema vittima non causa
indicibili patimenti senza il vero amore
ripagata da dileggio e odio di greci troiani e tutti gli altri
facile bersaglio delle sconfitte di vinti e vincitori
abbagliati dalla mia bellezza poi dall'ira
hanno sognato di essere il mio boia
grandi eroi o presunti tali anche Oreste ed il padre di Anchise
fino a quando è stato messo il punto alla mia infelicità.

Impiccata da Polisso per vendetta?
O forse ha ucciso un mio avatar ingannatore?
Sono solo due possibilità come altre mille
mio malgrado un mito e come tale mistero.

Nel mio destino tragico ho anche avuto miei pensieri
e anche amore vero e mia consapevolezza
ma non conta!
Finalmente libera da poemi e letterati
io che con un battito di ciglia scatenavo putiferi
se veramente fossi stata come dicono
con un centimetro di coscia offerta alla vanagloria
avrei ottenebrato la mente di qualunque saggio
e tutti gli indovini: avrei avuto il mondo nelle mani
ma io sono Elena la saggia;
e adesso libera!

29 novembre 2014

La signora Mida - Carol Ann Duffy

foto di Richard Tuschman - Woman at Window

La signora Mida - Carol Ann Duffy

Settembre inoltrato. M'ero appena versata un bicchiere di vino,
cominciavo a rilassarmi, mentre la verdura cuoceva. Era quieta
la cucina, satura del suo stesso odore, il suo vapore
lieve imbiancava, le finestre. Una la aprii,
l'altra l'asciugai con la mano come una fronte.
Lui, sotto il pero, stava spezzando un ramoscello.

Il giardino era lungo, è vero, la visibilità scarsa, come se
l'oscurità del terreno bevesse la luce del cielo,
ma quel ramoscello era d'oro. Poi lui staccò
una pera dal ramo - noi coltiviamo le William -
e quella sul suo palmo sembrava una lampadina. Accesa.
Non starà addobbando l'albero? Mi chiesi.

Entrò in casa. Le maniglie luccicavano.
Abbassò le persiane. Avete intuito; mi vennero in mente
il Campo del Drappo d'Oro e la signorina Macready.
Sedette sulla sedia come un re su un trono rilucente.
Aveva un'aria strana, spiritata, vana. Dissi,
Santiddio, cosa succede? Si mise a ridere.

Servii la cena. Per antipasto, pannocchia di granturco.
Un attimo dopo si mise a sputare i denti dei ricchi.
Giocherellò col suo cucchiaio, poi col mio, con coltelli e forchette.
Chiese del vino. Versai col tremor nella mano
un bianco secco, fragrante, italiano; lo guardai
alzare il bicchiere, una coppa, un calice d'oro, bere.

Fu allora che mi misi a strillare. Cadde in ginocchio.
Ci calmammo, il vino lo finii da sola,
mentre lo ascoltavo. Lo feci sedere
in fondo alla stanza, mani sotto controllo.
Chiusi il gatto in cantina. Spostai il telefono.
Il cesso lo lascia stare. Non credevo alle mie orecchie:

Aveva espresso un desiderio. E chi non ne ha, vero?
Ma quale di questi si avvera davvero? Il suo. Avete presente l'oro?
Non sfama nessuno; aurum, malleabile, inossidabile; non sazia
la sete. Cercò di accendere una sigaretta; io guardavo, incantata,
mentre la fiamma bluastra danzava sul suo luteo stelo. Almeno,
dissi, smetterai di fumare per sempre.

Letti separati. Misi anche una sedia contro la porta,
ero quasi impietrita. Lui era giù, a trasformare la camera degli ospiti
nella tomba di Tutankhamun. Sì, perché eravamo appassionati allora,
in quei giorni felici; ci spogliavamo svelti, come si scarta
un regalo, o il fast food. Ma ora temevo il suo dolce abbraccio,
il bacio che delle mie labbra avrebbe fatto un'opera d'arte.

E, in fondo in fondo, chi può vivere
con un cuore d'oro? Quella notte sognai di dare
alla luce il suo bambino, le membra d'oro puro,
la piccola lingua un chiavistello prezioso, gli occhi d'ambra
che come mosche racchiudevano le pupille. Il latte del sogno
mi brucia nel petto. Mi svegliai col sole che m'inondava.

Dovette andarsene. Avevamo una roulotte
in aperta campagna, un terreno isolato. Ve lo portai
al calar della notte, seduto sul sedile posteriore.
E poi tornai a casa, la donna che aveva sposato il fesso
che voleva l'oro. All'inizio l'andavo a trovare, a ore strane,
lasciavo la macchina molto lontano, poi andavo a piedi.

Si capiva che si stava per arrivare. Trote d'oro
sull'erba. Un giorno, da un larice pendeva una lepre,
un bell'errore color limone. E poi le sue impronte,
che brillavano sul sentiero lungo il fiume. Era magro,
delirava; sentiva, diceva, la musica di Pan
provenire dal bosco. Credetemi. Fu l'ultima goccia.

Ciò che mi irrita ora non è l'idiozia né la cupidigia
ma il non aver pensato a me. Puro egoismo. Ho venduto
gli arredi della casa e mi sono trasferita qui.
Con una certa luce lo penso, all'alba, al tramonto,
e una ciotola di mele un giorno mi ha gelato il sangue. Più di tutto,
anche ora, mi mancano le sue mani, le sue mani calde, il tocco
sulla mia pelle.


La moglie di Pilato - Carol Ann Duffy

 Ecce Homo dipinto di Antonio Ciseri

La moglie di Pilato - Carol Ann Duffy

Prima di tutto, le mani – mani da donna. Più delicate delle mie,
con unghie iridescenti, come conchiglie di Galilea.
Mani indolenti. Mani effeminate che schioccavano per ordinare l’uva.
Il loro tocco pallido, molliccio mi faceva trasalire. Ponzio.
Avevo voglia di Roma, di casa, di qualcun altro. Quando il Nazareno
entrò a Gerusalemme, la mia cameriera e io uscimmo furtive,
annoiate a morte, travestite tra la folla in delirio.
Inciampai, mi attaccai alla briglia d’un somaro, alzai gli occhi
e lo vidi. La faccia? Brutta. Ispirata.
Mi guardò. Dico guardò me. Mio Dio.
Per occhi così si può anche morire. Poi se ne andò,
i suoi rozzi seguaci si aprirono un varco fino alle porte.
La notte prima del processo, lo sognai.
Le sue mani scure mi toccarono. Sentii male.
Sangue. Vidi che ogni rude palmo era trafitto
da un chiodo. Mi svegliai tutta un sudore, eccitata, atterrita.
Lascialo in pace, lo avvertii in un messaggio. Poi in fretta mi vestii.
Quando arrivai, il Nazareno aveva una corona di spine.
La folla ululava il nome di Barabba. Pilato mi vide,
distolse gli occhi, poi si arrotolò le maniche con cura
e lentamente si lavò quelle mani futili, profumate.
Presero il profeta e lo trascinarono via,
sul Golgota. La mia cameriera sa tutto il resto.
Era Dio? Certo che no. Pilato credeva di sì.

28 novembre 2014

America - Enzo Montano


America - Enzo Montano

Io che mai avevo visto il mare
in una folla grande come il mare
su questa enorme città fatta di ferro
galleggiante chissà per quale sortilegio
su questo azzurro che chiamano oceano
nel nulla mai neanche sognato
acqua cielo tempo e spazio si confondono
lentamente muovo verso l'ignoto buio
un corpo abbandonato da anima e cuore
rimasti là dove è forte l'odore del basilico.

Ogni dialetto un gruppo di amici nuovi
compagni occasionali lungo altri destini
dove ancorare la solitudine atroce dello strappo
illusione in cui perpetuare un'esistenza intera
casa affetti strade rumori e suoni
rubati dalla miseria nera fino alla fame dolorosa
la vita mi conduce oltre l'immaginabile
dicono che dopo chissà quanti orizzonti
nella magica terra che si chiama America
si possono realizzare addirittura i sogni.

Tra muri d'acqua innalzati all'improvviso
giorni di brezza lieve tra i delfini
passano giorni sospesi non so dove
qualcuno a prua grida: America!
Una sentinella gigantesca ci saluta
firmamenti di occhi lucidi osservano la baia
luogo di arrivo senza più un ritorno
lentamente la nave ferma a Ellis Iland
prima stazione dell'umiliazione antica
la stessa inconsapevoli era sulla stessa nave.

In fila tra persone austere di metallo
la terza classe si riversa nel grigio
nome e provenienza su grandi registri
da una parte il sud dall'altra il nord
marchi di gesso bianco sulla schiena
per chi i sogni s'infrangevano prima
per anarchici comunisti finivano all'istante
terra dei sogni che somiglia a una prigione
uomini separati dalle donne bambini da una parte
vecchi dall'altra ancora e i malati ripugnanti via.

Brusche parole poco magnanima è questa terra
al termine della lunga notte di giorni
fame sporcizia ingiurie truffatori e ladri
liberi nello spazio immane di Colombo
minatori sguatteri barbieri fruttivendoli
muratori lustrascarpe qualcuno anche bandito
sterminata città case alte fino al cielo
metallo sferragliante in ogni dove
zolfo catrame sfiati di cucine e fogna
il sogno è la menta e il suo profumo.

America!

27 novembre 2014

Euridice - Carol Ann Duffy




Euridice - Carol Ann Duffy


Ragazze, ero morta e sepolta
nell'oltretomba, uno spettro,
un'ombra di quel che ero stata, fuori dal tempo.
In quel luogo il linguaggio si fermava,
un punto nero, un buco nero
dove le parole erano destinate a finire.
Altroché se finivano,
le ultime parole,
famose o meno.
Ci stavo bene sottoterra.

Dunque immaginatemi laggiù,
inavvicianabile,
fuori dal mondo,
poi figuratevi la mia faccia in quel luogo
di Eterno Riposo,
nell'unico posto, direste, dove una ragazza sarebbe al sicuro
da quel tipo d'uomo
che ti segue dappertutto
scrivendo poesie,
gironzolando impaziente
mentre gliele leggi,
che ti chiama la sua Musa,
e una volta ti ha tenuto il muso per un giorno intero
perché gli hai fatto notare il suo debole per i nomi astratti.
Provate a immaginarvi la mia faccia
quando sentii,
dei del cielo!
un toc-toc familiare alla porta della Morte.

Lui.
Il grosso O.
Più grande del normale.
Con la sua lira
e i suoi versi da intonare, e io ero il premio.

Un tempo le cose erano diverse.
Per gli uomini, in fatto di poesia,
Grosso O era il migliore. Leggendario.
I risvolti di copertina dei suoi libri sostenevano
che gli animali,
dall'armadillo alla zebra,
s'accalcavano al suo fianco quando cantava,
i pesci guizzavano fuori dal banco
al suono della sua voce,
persino le mute, aride pietre ai suoi piedi
piangevano minuscole lacrime d'argento.

Balle. (Non lo saprò io,
che ho battuto a macchina tutto quanto),
E se mi venisse restituito il tempo,
state tranquille che preferirei parlare per me stessa
piuttosto che essere Cara, Tesoro, Dama Bruna, Dea Bianca, ecc.

In realtà, ragazze, preferisco essere morta.

Ma gli dei sono come gli editori,
maschi, di solito,
e quello che certamente sapete della mia storia
è il patto.

Orfeo avanzava tronfio declamando la sua roba.

Gli spettri esangui si sciolsero in lacrime.
Sisifo si sedette sulla pietra per la prima volta in tanti anni.
A Tantalo fu concesso di farsi un paio di birre.

La sottoscritta non credeva ai suoi orecchi

Volente o nolente,
lo dovevo seguire alla vita precedente-
Euridice, moglie di Orfeo -
e restare prigioniera delle sue immagini, metafore, similitudini,
ottave e sestine, quartine e distici,
elegie, limerick, villanelle,
storie, miti ...

Gli avevano detto che non doveva guardare indietro
né voltarsi,
ma camminare deciso verso l'alto,
con me alle sue calcagna,
fuori dall'Oltretomba
in quell'aria lassù che per me era il passato.
Lo avevano avvertito
uno sguardo e mi avrebbe perduta
per l'eternità.

Così camminammo, camminammo.
Non parlammo.

Ragazze, dimenticate quello che avete letto.
È andata così:
feci tutto quanto in mio potere
per farlo voltare.
Cosa dovevo fare, mi dicevo,
per fargli capire che tra noi era finita?
Ero morta. Deceduta.
Riposavo in pace. Defunta. Buonanima.
Da lungo tempo scaduta...
Allungai la mano
per toccarlo una volta
sul retro del collo.
Ti prego, fammi restare.
Ma la luce era già incupita dal porpora al grigio.

Quanta fatica quella salita
dalla morte alla vita
e ad ogni passo
cercavo di farlo voltare.
Pensai di fregargli la poesia
da sotto il mantello,
quando infine mi venne l'ispirazione.
Mi fermai, in fibrillazione.
Era un metro davanti a me.
La mia voce tremava quando parlai -
Orfeo, la tua poesia è un capolavoro.
Fammela sentire ancora...

Sorrideva con modestia
quando si voltò,
quando si voltò e mi guardò.

Che altro?
Notai che non si era fatto la barba.
Gli feci ciao con la mano e me ne andai.

Quanto talento hanno i morti.
I vivi camminano ai bordi di un vasto lago
vicino al silenzio saggio, sommerso, dei morti.

26 novembre 2014

Voci - Costantino Kavafis

Voci - Costantino Kavafis

Voci ideali e amate
di quanti sono morti, di quanti
sono per noi perduti come i morti.

A volte ci parlano nei sogni,
a volte le ode la mente tra i pensieri.

Col loro suono riemergono un istante
suoni della poesia prima della vita -
come di notte una misica che in lontananza muore.

25 novembre 2014

Mediterraneo - Derek Walcott

Mediterraneo - Derek Walcott

Sono nata per vagare, senza riposo
in vesti cerulee sfrangiate di bianco
che roteano sotto uccelli di mare a cui ho insegnato
le grida.

Napoli e natiche, con lunghe alghe per capelli,
viaggiatore che sul mio petto sollevo
oltre il sapere mortale, la nostra vita un lungo sonno
finché ci si sveglia a Itaca sotto le lunghe lance
del sole.


23 novembre 2014

Lucius Atherton - Edgar Lee Masters

 Cobb's Barns, South Truro - Edward Hopper
Lucius Atherton - Edgar Lee Masters

Quando avevo i baffi ricci,
e i capelli neri,
e portavo i calzoni stretti
e un diamante sullo sparato,
ero un gran bel fante di cuori e ne combinavo delle belle.
Ma quando cominciò a vedersi il grigio dei capelli -
to'! le ragazze della nuova generazione
mi risero in faccia, senza paura,
e finirono le avventure eccitanti
quando a momenti mi sparavano come a un demonio senza cuore,
ma solo amori squallidi, avanzi riscaldati
d'altri tempi e altri uomini.
Col tempo andai a pensione al Mayer's restaurant
mangiavo alla tavola calda, un grigio, sciatto,
sdentato, smesso Don Giovanni di campagna...
C'è qui una grande ombra che canta
d'una certa Beatrice;
ora capisco che la stessa forza che fece lui grande
ha ridotto me alla feccia della vita.

22 novembre 2014

Il sole in danza - Enzo Montano

Il sole in danza - Enzo Montano 

Arriva il sole in danza con l’amore
colme brocche reca.
Coppe di attesa dolce bevo e osservo il cancello
imperiosa illumina la stanza
denso si respira il desiderio e poi si vive il brivido
fugaci gli attimi scolpiti in avidi cuori
la voluttà è palpabile.
Gioielli puri offre: amore e dedizione
raccolgo in ogni momento
Io ricambio con partenze dolorose
e colpevoli incomprensioni ancora prima.
Oggi è solo festa
ti voglio e ancora ti voglio e poi ancora ti voglio
tra i fiori e i limoni
dell’angusta via dove è difficile il passaggio
ma lì vive l’amore e noi viviamo
le pause dolci rubate
a colpe immani da espiare.
In ogni foglia del piccolo giardino
scolpito è il tuo sigillo ed il mio amore.
Vieni!

19 novembre 2014

Tu - Vladimir Majakovskij


Tu - Vladimir Majakovskij

Sei venuta
a cercare il mio ruggito,
la mia corporatura:
hai guardato,
ed hai visto
che sono solo un ragazzo.
Hai preso,
hai tolto il cuore
e così semplicemente
ti sei messa a giocare,
come una bambina a palla.
E tutte,
come davanti a un miracolo:
"Amare uno così?
Ma quello ti si avventa contro!
Sarà una domatrice.
una che viene da un serraglio!"
Io, invece, esulto.
No,
niente giogo!
impazzito di gioia,
saltavo,
come un indiano a nozze, saltavo
tanto mi sentivo allegro,
tanto leggero!

16 novembre 2014

Sublime armonia - Saffo

 Frederick Leighton – The Bath of Psyche
Sublime armonia - Saffo

Sublime armonia
di mistici accordi
sfumati colori
di antichi ricordi
atavico soffio
su polvere nera
svanisce in un lampo
la magica sfera.

Pessoa & Wtewael

 Joachim Anthonisz Wtewael - Il giudizio di Paride
Incontro - Fernando Pessoa

Dubiti Amore Mio?
Temi forse che la mia timidezza
che viene dall’Amore, io non so come, sia
indifferenza.. NO.. ah, non pensarlo!
Io non ho l’osare ne’ l’ardore
di certe donne, tremo di me stessa
e del mio amore, e non lo so perchè….
Ma ti amo…
Se ti amo perchè dubiti di me?
Ah Faust, se le parole
possono portare in sè l’anima,
se l’amore questo amore come io lo sento,
lo si può dire senza tentennamenti,
se quello che sento nell’animo a vederti
nell’avvertire i tuoi passi, nel pensare
a te, amore, a te; se gli sguardi, i baci
possono palesare l’amore, tutto l’amore:
devi credere che le mie parole, i miei baci,
il mio sguardo hanno quell’amore.
Se non riesco a gridare:
amore, amore, ardentemente e smisuratamente,
con la voce in fuoco,
è perchè dentro di me nasce un pudore
di dirlo troppo forte. (ma non credere
che sia perchè ti amo poco, che invece
è l’amarti molto, così come ti amo)
Se non lo faccio, non dubitare, no..
E più non so dire; non l’ho imparato,
perchè l’amore non parla, non può
raccontare se stesso, chè non sarebbe
amore, o almeno questo amore che sento.
Non so, non so dirtelo… Non dubitare!
Forse fredda sembro agli occhi tuoi;
ma non dubitare che soffra molto, molto
perchè tu dubiti.

13 novembre 2014

Ho ancora la lingua - Ines Cergol


 foto di Heinrich Zille
Ho ancora la lingua - Ines Cergol

ho ancora
la lingua
di terra d'acqua di erbe
dai continui mutamenti
che tace nel silenzio
che genera nel buio
segni invisibili
sigilli di bava
e di inalterabile
corno
di giorni antidiluviani
del vuoto del principio
della pienezza della fine

10 novembre 2014

Sogno - Enzo Montano

Sogno - Enzo Montano 

Attendere il sogno una vita intera
inseguirlo fino al sangue delle unghie,
impervi i muri aguzze le stelle e nere le tormente;
scovarlo nei recessi del pensiero, leggerne i segni:
accenni impercettibili inesistenti quasi,
pennellate in aria del destino.
Attendere raccogliere e decifrare
poi inseguirne l’esistenza dubbia
scandagliando i grani;
coltivarlo scrutarlo da lontano,
nel silenzio immobile
e immobile il presente denso del sogno ricorrente;
sfiorarlo, assaporarlo
quando si spalanca l’estasi di averlo.
Una sola virgola di inatteso tempo,
e perderlo per sempre
nell’eterna notte, inafferrabile.
È già carpito da un ladro incredulo
posto dal beffardo caso
sotto l’attimo del mio cielo dello stesso attimo; proprio quello
di un capriccio del tempo dello spazio e degli dei
proprio lì quando il sogno sfugge.

Tu costruisci intorno le impalcature al vero,
ponti strade e funivie;
chi misura i sentimenti e la potenza?
Chi stabilisce gli sconfitti e incorona chi trionfa?
Uno è il sogno uno è quello che perde
e quello che vince è uno:
l’amore lo misura la distanza ed io sono lontano;
sono io il pensiero effimero e chi perde la mano.
E se l’amore è puro solo tra individui soli,
lo è anche quello con data di scadenza?
Il metallo invalicabile esiste o noi lo costruiamo?
Un’altra mano ancora e sono io chi ancora perde,
non assi ma nervi e battiti del cuore nelle mani
e con quelli non si vince.

Uno è il teschio che contro l’acciaio cento volte sbatte 
e cento volte ancora ad ogni rintocco di campana
si rompe il cranio e restituisce il volo a chi lì non ha paese.
Cadono cocci di ossa vetri rotti e schizzi di cervello
ti accorgi del ritardo quando è già svanito l’ultimo alito,
dissolto dalla durezza del metallo nella dimensione vana del sogno.
Sogno è quello rotto ma anche quello è rubato
se non c’è più una strada dove farlo viaggiare
oltre l’ipocrisia del paravento di misericordia,
lì è posato, nell’angolo nel buio della cantina,
e quel sogno lo rivedi:
sei costretto dal solenne desiderio.

Nella corona non più tua, tra i panni stesi ai fili
assieme alla passione amore ed egoismo,
tu non puoi più abitare.
Lo sguardo vòlto all’orizzonte conosciuto:
il ritorno al nulla dalla strada che divide e ancora,
al consueto nulla oltre la soglia del suo oblio.
.... e lì attendere il mio.