29 febbraio 2020

L’angelo impuro – Pier Paolo Pasolini

dipinto di Viktor Sheleg
L’angelo impuro – Pier Paolo Pasolini

Eccomi dunque in piena
eccelsa confidenza
con la mia presenza,
angelo impuro ch'amo.

Quanto sterile orrore
urge se tocco il corpo
che da ragazzo amavo
perché certo d'amore.

Ma non so inorridire,
non so abbandonarmi...
Al Dio che non dà vita
chiedo di non morire.

da Pier Paolo Pasolini, Versi dal paese dell’anima.
Corriere delle Sera - Un secolo di poesia, a cura di Nicola Crocetti

da Un borghese piccolo piccolo – Vincenzo Cerami

da Un borghese piccolo piccolo – Vincenzo Cerami

«Che ora è?» domandò il padre.
«E’ ancora presto!»
«Ci conviene andare a piedi!»
«A piedi?»
«Non è molto lontano e ti farà bene e poi non si sa mai con questo schifoso traffico di Ro-ma…» Bevvero il caffè e con la lingua che ancora scottava uscirono dal bar e intrapresero la marcia verso il Palazzo degli Esami, in viale Trastevere.
La città si andava sempre più animando, le automobili già intasavano gli incroci. Giovanni e Mario non avevano più niente da dirsi e non dicevano più niente neanche a se stessi, forse perché erano troppo vicini a quella tappa così importante o forse perché si erano re-almente svuotati per la tensione che stava lì lì per culminare. Come due spaventapasseri, il figlio dietro al padre, vedevano la terra roteare sotto i loro piedi e avvicinarli implacabil-mente all’esame.
Dimentichi quasi di tutto tiravano su il naso, pronunciavano all’unisono i nomi delle strade e proseguivano in silenzio. E come prima, quando le automobili scortavano il tram, così ora i pedoni li affiancavano, tutti con loro verso il Palazzo degli Esami, come i pesciolini che inseguono la balena nelle avventure degli Oceani.
Piazza Indipendenza, via Nazionale, via Quattro Novembre, piazza Venezia, poi piazza del Gesù con la chiesa barocca, la sede Dc, il palazzo della Massoneria e l’istituto per i sordomuti e infine piazza Argentina.
«Mi fanno male le scarpe», ripeteva ogni tanto Mario. Ma il padre niente, procedeva dritto dritto davanti a sé.
Di lì a poco sbucarono in una piazzetta quadrata dove successe quello che successe.
Fu insieme un batter d’occhio e un’eternità. Non aveva finito di dire: «Mamma» che già Mario era morto.
Un attimo prima o un secolo prima l’urlo di una donna, di quelli che si possono fare solo in falsetto, a spaccagola. Il sangue usciva dai calzoni del ragazzo come da rubinetti lasciati aperti. A ucciderlo furono alcuni colpi d’arma da fuoco (più tardi si venne a sapere che si trattava di fucili mitragliatori in dotazione ai fanti dell’Esercito). Cosa successe?
Una rapina al Monte di Pietà, alla luce del giorno.
E quel giorno toccò a Mario e ci lasciò le penne. Un occhio immerso nella pozza di sangue e l’altro spalancato a fissare ancora il padre. Giovanni si ritrovò in ginocchio sopra di lui con i circuiti elettrici completamente interrotti.
Tre giovanotti mascherati avevano sparato all’impazzata per farsi largo e raggiungere un’automobile che li aspettava col motore acceso.
Se qualcuno del Monte dei Pegni non avesse tentato di fermare i malviventi, forse Mario non sarebbe stato ucciso. Ma in quel momento chi poteva pensare a Mario?
Nella mente di Giovanni restò tutto e nulla di quella tragedia.
Incredibile, ma non udì gli spari. Per molto tempo gli rimase addosso l’odore del sangue e la sensazione di avere miele tra le dita. L’urlo della donna martellò a lungo le sue tempie e sulle pupille gli si stampò l’immagine di uno dei tre delinquenti che, cadutagli la benda dalla faccia, incurante gridava ai compagni di correre.
Mario morì ancora prima di crollare a terra. Nella caduta, infatti, la mano del giovane urtò contro le mani del padre e le colpì come se fosse stata di legno.
Giovanni viveva un fatto di cronaca nei panni di protagonista, un fatto simile a quelli che era abituato a commentare in ufficio o a letto, alla sera, con la signora Amalia.
Mario era morto e questo avvenimento non fu preso subito di petto da Giovanni, alle prime battute della tragedia, e forse proprio per questo non lo fu mai più. Con le ginocchia immerse nel sangue del figlio era bombardato da sensazioni quasi cosmiche, alla velocità della luce.

Pane e latte - Stefano Rosso

dipinto di Kenne Gregoire
Pane e latte - Stefano Rosso

E distillando le rassegnazioni a casa mia producevamo sogni
babbo e mamma dirigenti, io coi miei fratelli semplici operai
e una mattina, mi svegliai da ragioniere
e affogando il pane dentro il latte cominciai a pensar così:
ma chi mi ferma più
al vicino con la topolino passerò vicino col sorriso in faccia
ma chi mi ferma più
la domenica a mangiare fuori
e a chi mi sorpassa le corna farò
E all'ombra di un garzone semianalfabeta
il tempo andava e l'anno incominciava
"guarda un po' che casa hanno i Donati e invece noi col bagno per le scale"
e una mattina, mi svegliai capitalista
e affogando il pane dentro il latte, cominciai a pensar così:
ma chi mi ferma più
anch'io voglio dentro il portafoglio quel che vale come il principale
ma chi mi ferma più
m'ha fermato un calcolo sbagliato, due occhi neri e una pancia così
E distillano le rassegnazioni a casa mia noi produciamo sogni,
io e mia moglie dirigenti, i miei bambini semplici operai
e ogni mattina, tutti intorno al tavolino
affoghiamo il pane dentro il latte e anche quello che non c'è

Non Gioco Più - Stefano Rosso

dipinto di Kenne Gregoire
Non Gioco Più - Stefano Rosso

La luna che guardava
due matti ad ascoltare
l'amico che cantava
quel caro vecchio frac
e il vicolo era stretto
la povertà' era grande
buttandosi dal letto
qualcuno disse basta

E fra gli artisti e le puttane
nei caffè turno di notte
noi da buoni vecchi ladri
rubavamo frasi fatte

La la la pallina gira e va
ma il croupier lui dice "Rien va plus"
la la la lasciatemi giocar
ma mi fanno segno d'aspettar

E un libro di poesie
rubò i pensieri miei
e un impegnato ambiguo
rubò l'ingenuita'
le scarpe sono strette
come la povertà
ma con un cacciavite
smantelli una città

E la casa popolare
con una medaglia d'oro
fra i tuoi panni stesi al sole
cavaliere del lavoro

La la la pallina gira e va
ma il croupier lui dice "Rien va plus"
la la la lasciatemi giocar
ma mi fanno segno di aspettar

E il medico di guardia
che sta al pronto soccorso
mi dice che il collega
e' urgente più di te
poi al cinema dossier
col caso Matteotti
che ho visto già sei volte
lui si commuoverà

E la storia e' stata scritta
certo col sangue dei vinti
e qualcuno l'ha già detto
ma c'e' ancora chi ci scrive
e ci veste una canzone
per far prendere coscienza
evitando così i rischi
di cantare e prender fischi

La la la pallina ferma sta
e il croupier non dice "Rien va plus"
la la la fortuna vuoi tentar
mi dispiace ma non gioco più

Bestemmia – Pier Paolo Pasolini

dipinto di Kenne Gregoire
Bestemmia – Pier Paolo Pasolini

Ah, non è dolce forse
nascondermi il virile
impegno a riparare
l’incuria giovanile?

Ed approfittarne
per non disprezzare
la mia paradisiaca
immortale gaiezza?

(Sì, sono animato
dalla felicità
di sentir l’ardore
che fa di me un NATO.

E il giorno roseo fa
ch’io non creda al passato:
mi separa ugual passo
dalla Valle di Giosafat!)

da Pier Paolo Pasolini, Versi dal paese dell’anima.
Corriere delle Sera - Un secolo di poesia, a cura di Nicola Crocetti

da La finestra – Ghiannis Ritsos

Carla Badiali - Composizione n.128, 1937
da La finestra – Ghiannis Ritsos

Su questi vetri, d’inverno, il vento piega le ginocchia
e lo vedo andarsene infuriato, voltando le ampie spalle.
Altre volte da qui, le sere primaverili, come oggi, sento
le conversazioni dei marinai da una nave all’altra
come se mi rivelassero la correlazione delle stelle; come se mi spiegassero
quei numeri incomprensibili sulle fiancate delle navi. D’improvviso
sento il rumore di un’ancora che cade in acqua
come qualcosa offerto esclusivamente a me,
come qualcosa che mi autorizza a dimostrarlo.

da Quarta dimensione, Crocetti Editore, Milano 2013

da La finestra – Ghiannis Ritsos

opera di Carla Badiali
da La finestra – Ghiannis Ritsos

Quanto a quello che ti dicevo: “pressato tra la parete e il vetro”,
era un’esagerazione primaverile, un’esagerazione
dovuta alla profusione carnale delle foglie verdi. La finestra
è una calma, una limpidezza utile, quadrata.

Quando i muri si offuscano di sera, questa finestra
risplende ancora, come da sola; conserva e prolunga
l’ultimo bagliore del sole che declina,
getta il suo riflesso sull’ombra della strada,
illumina i visi dei passanti come se li sorprendesse in flagrante
nel loro istante più sincero, illumina le ruote delle biciclette
o la catena d’oro che affonda nel seno di una donna
o lo strano nome di una nave ancorata nel porto.

da Quarta dimensione, Crocetti Editore, Milano 2013

Hymmus ad nocturnum – Pier Paolo Pasolini

dipinto di Alfons Karpinski
Hymmus ad nocturnum – Pier Paolo Pasolini

Ho la calma di un morto:
guardo il letto che attende
le mie membra e lo specchio
che mi riflette assorto.

Non so vincere il gelo
dell’angoscia, piangendo,
come un tempo, nel cuore
della terra e del cielo.

Non so fingermi calme
o indifferenze o altre
giovanili prodezze,
serti di mirto o palme.

O immoto Dio che odio
fa che emani ancora
vita dalla mia vita
non m’importa più il modo.

da Pier Paolo Pasolini, Versi dal paese dell’anima.
Corriere delle Sera - Un secolo di poesia, a cura di Nicola Crocetti

da “Il libro dell’inquietudine” – Fernando Pessoa

dipinto di Alfons Karpinski
da “Il libro dell’inquietudine” – Fernando Pessoa

15. È forse arrivata l’ora che io faccia lo sforzo concreto di dare uno sguardo alla mia vita. Mi vedo nel mezzo di un deserto immenso. Parlo di quello che ieri letterariamente sono stato, cerco di spiegare a me stesso come sono arrivato fin qui.

Passerà - Maria Rosaria di Domenico

dipinto di Alfons Karpinski
Passerà - Maria Rosaria di Domenico

Anche questo dolore passerà:
ora giace in fondo al cuore,
solo di tanto in tanto s'assopisce
e rimane così zitto, zitto
accoccolato su questi ricordi
che sono soltanto miei.
Anche questa gioia passerà:
oggi mi rallegra e mi consola
come un dolce battito del cuore,
come un soffio di vita che nasce
e saluta questo nuovo giorno che
presto diverrà ancora "ieri",
ma non per questo dimenticato.
Anche questo nostro tempo passerà,
buono e cattivo che sia:
ci farà male dentro o ci farà sentire
un battito più forte che ci terrà
svegli di notte a pensare che
anche questa nostra vita che
oggi è qui, domani passerà
come un leggero battito d'ali,
come soffio di vento tra i rami:
passerà spogliandoli delle foglie
che cadranno a terra, senza dolore.

Euterpe n. 8 - Giugno 2013 - Panta rei, tutto scorre

Panta Rei, tutto scorre! - Maria Rosaria Di Domenico

dipinto di Alfons Karpinski
Panta Rei, tutto scorre! - Maria Rosaria Di Domenico

Il tempo, quello cattivo,
scorre via e ci fa male dentro,
sempre!
Anche il tempo buono
scorre veloce senza lasciarci
spazio, ahimè, per i pensieri buoni.
Un fiume scorre impetuoso
verso il suo mare che l'aspetta
col desiderio solo d'abbracciarlo
presto.
Scorrono gli amori, che
si volgono in vite nuove,
sul filo sottile del tempo
delle forti passioni.
Anche il dolore scorre via
nelle lacrime che ci rigano i
il viso e
ci fanno tremare forte il cuore.
Nei nostri occhi disincantati
scorrono i sogni scritti
sul libro antico della vita,
scorrono veloci, trasportati
da un vento che non percuote
il nostro udire umano,
corrono via, volando dietro
gabbiani che non toccheranno
giammai la terra cercata.
Anche il vento scorre e
trascina via cumuli di foglie
staccatesi a una a una
dai rami senza più vita,
le fa girare in mulinelli
senza fine e le trasporta fino là
sul finire del tempo
dove tutto è fermo
in una immobilità eterna.

Euterpe n. 8 - Giugno 2013 - Panta rei, tutto scorre

da La finestra – Ghiannis Ritsos

Henri Matisse - Giovane donna alla finestra
da La finestra – Ghiannis Ritsos

Siedo qui alla finestra; guardo i passanti
e mi specchio nei loro occhi. Credo di essere
una fotografia silenziosa nella sua vecchia cornice
appesa fuori della casa, sul muro occidentale,
io e la mia finestra.
Lo stesso a volte guardo
questa fotografia dagli occhi sensuali, stanchi –
un’ombra nasconde la bocca; il riflesso verticale del vetro della cornice,
in certi istanti, di fronte al tramonto o al chiaro di luna,
ricopre tutto il viso, e sono nascosto
dietro un quadrato di luce pallido, argenteo o rosato,
e posso guardare liberamente il mondo
senza che nessuno mi veda. Liberamente; – che dire?

da Quarta dimensione, Crocetti Editore, Milano 2013

Cammino di croci – Fernando Pessoa

dipinto di Kenton Nelson
Cammino di croci – Fernando Pessoa

VIII
Ah, cosa è rimasto, il mio destino, ignorato,
Sotto il baldacchino (e il ponte sempre sotto lo sguardo),
Come un anello concluso da una scheggia d’ametista
La frase inventata del mio inno postumo…

Che non ho visto fiorire nel mio glabro disordine
L’imeneo delle scale di questa conquista
La cui pigrizia, messa da parte, trova bene
Delle anime lontane dal mio impulso cristallino…

Mie ricche inazioni, cose ne siete state
Ville di campagne romane, allora la toga traccia
Sul mio ancheggiamento d’anonime (disgrazia

La vita) volute sotto le mani non molto tranquille…
Così tutto si sarebbe ultimato senza Cleopatra
in un luogo in cui comincia a spuntare il giorno.

John Ashbery - Certi alberi

dipinto di Kenton Nelson
John Ashbery - Certi alberi

Questi sono stupefacenti: accosto
ciascuno al vicino, come se il discorso
fosse una messa in scena silente.
Dandoci stamane casualmente

appuntamento così tanto via
dal mondo quanto in armonia
con esso, io e te
siamo d’improvviso cio che

gli alberi cercano di dirci
che siamo: che il loro mero esserci
ha significato; che potremo toccare
presto, e amare e spiegare.

E lieti di non avere inventato
noi tale grazia, ne siamo circondati:
un silenzio già colmo di rumori,
una tela su cui affiori

un coro di sorrisi, d’inverno, un mattino.
Posti in una luce sconcertante, e in cammino,
i nostri giorni indossano una tale reticenza
che questi accenti paiono la loro
stessa resistenza.

Traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan
Poesia n. 234 Gennaio 2009

Un bell’amore impossibile - Miman Myriam Fabiola

dipinto di Salvatore Fiume
Un bell’amore impossibile - Miman Myriam Fabiola

Belle lettere, belle parole
Studentessa di lettere
Di parole, ce l’aveva nel sangue
Apollo, omaggio a quest’essere

Angela, bella come una gazzella
Qualche sera mentre la riportava a casa,
Fedele le raccontava le sue perle
Dopo varie bottiglie di Castel
L’alcol inizia a fare effetto
Ma Angela l’amava
Lui la ricambiava
I due si amarono senza sosta

Fedele è il suo professore
Ma non importa, i due si amano alla follia
Rappresenta il suo antidepressivo
In assenza di affetto, lui la riempie di baci

Un giorno mentre porta fuori la spazzatura
Incrocia Angela, coi capelli impomatati
Angela, bella come una gazzella
Ha gli occhi da cerbiatta

Ardente per il desiderio di Angela
Si è messo in contatto con lei
una carezza, uno sguardo, un gesto
Angela per moglie, è tutto quel che resta

Il diploma era necessario
La sua rosa ha preso il sopravvento sui suoi studi, per tanto che le piaceva
Pronta per quell’uomo
Progettavano di uscire dalla chiesa mano nella mano

Prima no, non era possibile
Il passato sembrò seminato di piaghe

Ritorna per imbrattarlo di pianti
Le paure le pene si aggregano

Angela, orfana di madre, è il frutto di un abuso
Il suo genitore, deceduto, resta sconosciuto
Il dolore e la tristezza il suo unico riparo

Quando scopre che questo sconosciuto che lei non ha conosciuto
È il fratello maggiore di Fedele
Che non provava amore per lei
Rifiutando sua madre così
Qual è la novità?

Fedele pronto ad afferrare la luna con i denti
Conta le miriadi di stelle nella notte
Fuggire, vivere d’amore e d’acqua fresca in occidente
Ma che ne sarà della progenie?

La nostra tradizione e i suoi divieti
Quest’unione non s’ha da celebrare
Un amore maledetto
Si sono lasciati in un dolore indescrivibile

Angela è decisa ad andarsene
Andarsene in Europa e restarci
Dimenticare, perdonare la sua famiglia
Accettare, erigere un muro tra lei e Fedele
Un bell’amore impossibile

Traduzione di Giovanna Molinelli

Belle e Bestie - Djeri Wapondi

                                       Salvatore Fiume - Pomeriggio con il toro 74x102 cm
Belle e Bestie - Djeri Wapondi

Bestia da soma a servizio dei gadget dei consumi
Esposta agli sguardi, senza testa e senza cuore nuda
agli sguardi di tutti nelle strade
Che vengano banditi i video clip
L’industria pornografica continua a produrre
La donna è il suo unico prodotto,
una creazione femminile geocentrica
Guida gratuita della biancheria intima
le sia nocivo il prodotto cosmetico
Al solo scopo di essere ricca
Lavora per un paio di granelli
Si lavora più per un pezzo di pane che per la Dea
Le mie terre madri vogliono mettere sotto la Francia
Saartadji, Batman, pace alla vostra sofferenza

Qui, tutto è pronto
Per essere
Lei si fa festa
La bella e bestia

Schiava dei tempi moderni, la donna!
Se ci penso, mi daranno della barbara
Abbelliscimi, uomo,
Che sono una bambola Barbie,
allargami le gambe
olia, urla, gemito!
Ascolta, buon appetito.
Divora la mia fauna, a condizione che alla fine
Mi rimangano qualcosa da mangiare e un po’ di denaro
Professore, stuprami pure se vuoi
Spero di poter memorizzare le tue lezioni

Capo o collega, molestami pure
Infatti vengo assunta solo grazie al mio fondoschiena
Amico maschio, rimorchiami,
drogami, disonorami
finché ne sei ossessionato
Sei comunque codardo e brutale
Mie care sorelle, siate alte e forti come l’Himalaya.

Qui tutto è pronto
Per essere
Lei si fa festa
La bella e bestia.

Fonte e diritto alla vita, onore
La dignità non è monetizzabile, un orrore
Il dollaro e l’euro ci sottomettono
in modo immondo
Scambiare l’umano con il valore di una merce non fa che crollare la borsa dei valori.
Prezioso simbolo del diritto dell‘uomo
equazione perfetta dell’eguaglianza del genere femminile!
Apri il tuo cuore alla coscienza
Se la gallina lascia il gallo cantare il giorno
è perché lei glielo ha insegnato con amore
Ognuno ha la sua parte e la sua missione nella società
Solo le leonesse dal cuore d’agnello rimarranno delle torce e delle sentinelle

Qui tutto è pronto
Per essere
Lei si fa festa
Le belle e sentinelle.

Traduzione di Milena Rampoldi

Da Un amore – Dino Buzzati

Felice Casorati - Abbandono, 1923
Da Un amore – Dino Buzzati

Ma ora una piccola porta si era aperta nel muro, lui era entrato, appena pochi passi, e c’era buio di là non si vedeva niente, di più che prima quando egli era fuori. Era entrato tuttavia, per poco per pochissimo forse si era incastrato nella sua vita ed è felice di questo come di un passo avanti, di una conquista tuttavia è peggio di prima, adesso egli non è più un estraneo, in un certo senso avrebbe diritto di sapere e non sa, non può neppure chiedere o indagare per paura di rovinare tutto guai se Laide avesse il dubbio che per quelle miserabili cinquantamila lire alla settimana lui si credesse in diritto di spadroneggiare, non le ha detto lui stesso che la lasciava libera? Così ancora più di prima si affollano e contorcono le poche cose che Laide ha raccontato di se stessa, cose anche terribili che gli mettevano dentro un bruciore difficile a spiegare in cui c’era insieme pietà, gelosia, ira, lussuria, e che gli riattizzavano l’amore. Frammenti turpi e ambigui, veri e falsi, forse anche inventati da lei con sottile malizia per istinto, allo scopo di eccitarlo, rendersi
più interessante, dimostrarsi sicura di sé, di là del bene e del male, mescolanza di sfrontatezza invereconda, sete confusa di vita, gusto di vendicarsi dell’umile sorte, popolaresco orgoglio, candore di bambina.

da “Sotto le ciglia chissà” - Fabrizio De Andrè

dipinto di Eva Fisher
da “Sotto le ciglia chissà” - Fabrizio De Andrè

Non guardo mai l’orologio quando scrivo una canzone: purtroppo lo guarda la casa discografica e ci punta sopra gli occhi come se fosse un tassametro.
***
Ho sempre pensato che la canzone sia una forma d’arte o di artigianato fruibile attraverso l’ascolto. La canzone non è qualcosa da vedere: è qualcosa da ascoltare.
***
Dal deteriorarsi progressivo della grafia, dagli errori di intestazione ecc. ecc., ci si rende conto di non avere più un pubblico di élite, ma di avere allargato sensibilmente il numero degli ascoltatori a detrimento della loro qualità: ti domandi se stai declinando.

Fernando Pessoa - La mia anima

dipinto di Adriana Pincherle
Fernando Pessoa

La mia anima è una misteriosa orchestra; non so quali strumenti suoni e strida dentro di me: corde e arpe, timpani e tamburi. Mi conosco come una sinfonia.

Girotondo – Stefano Rosso

opera di Alighiero Boetti
Girotondo – Stefano Rosso

Girotondo
Quanto è bello il mondo
ti voglio cantar
e se vuoi saperlo
stammi ad asoltar
Giro-girotondo
gira il mondo e va
gira fino a quando
non si fermerà
fa la cuccia il vecchio
è allo stadio il cane
e a chi pensa troppo
dopo viene fame
la Rivoluzione
quella si farà
come casa nuova
per chi non ce l'ha
e la trippa il gatto
non la mangia più
se lavori, forse,
puoi mangiarla tu
c'è la bomba a destra
si combatte al sud
chiudi la finestra
puoi cadere... giù
Giro-girotondo
gira il mondo e va
gira fino a quando
non si fermerà
sotto i ponti passa
il fiume e se ne va
tu che parli tanto
provalo a fermar
restano i ricordi
della bella età
come i sogni tuoi
che muoiono a metà
Io son nato vecchio
e muoio da bambino
c'era il pane a tavola
e mancava il vino
per compagno il sole
e la libertà
quando piove a casa
tu mi puoi trovar
Giro-girotondo
gira il mondo e va
gira fino a quando
non si fermerà

da Essere un gatto – Matt Haig

foto Marco Delucia - Gatto dormiente e sullo sfondo i-Sassi al tramonto
da Essere un gatto – Matt Haig

Ma, proprio mentre stava per svoltare l’angolo di Dullard Street, udì un sommesso tintinnio alle sue spalle. Voltandosi vide di nuovo il gatto nero con una macchia bianca attorno a un occhio che lo guardava.
«Che cosa vuoi, gatto?»
Il gatto, essendo un gatto, non gli rispose – o per lo meno non in una lingua a lui comprensibile – e quindi Barney riprese a camminare. E lo stesso fece il gatto.
Poi, quando Barney arrivò nella sua via, vide qualcosa che gli fece sprofondare il cuore fino allo stomaco, per ancorarsi lì. Era la macchinetta rossa di sua madre che risaliva la via e si fermava davanti a casa. Barney guardò l’orologio.
16.25.
Sua madre sarebbe dovuta uscire dalla biblioteca più di due ore e mezzo più tardi.
Si irrigidì, pietrificato dal terrore.
Lo sa.
È l’unica spiegazione.
Immaginò che Miss Whipmire avesse telefonato in biblioteca e avesse detto: «Suo figlio ha una lettera per lei. Se la faccia dare!»
Poi Barney sentì qualcosa che gli strofinava la caviglia. Guardò il gatto ai suoi piedi e ricordò le parole di Miss Whipmire.
«Quella sì, sarebbe una bella vita, non trovi? Essere un gatto, sdraiato al sole, senza tutte queste umane preoccupazioni…»
Barney si accucciò dietro una siepe. Non seppe spiegarsi il perché. Per evitare sua madre, certo. Eppure sapeva di dover tornare a casa, prima o poi.


20 febbraio 2020

Rubens il partigiano e altri racconti – Enzo Montano

Rubens il partigiano e altri racconti – Enzo Montano
da “La rivista”

Quando arrivò più vicino capì la ragione della piccola folla: poco discosta dall’ingresso dell’officina, sulla via che conduceva verso destra, impossibile da veder prima perché coperta dalla casa all’angolo posto di fronte, era parcheggiata una meravigliosa Giulietta spider rosso fuoco, completamente restaurata e tirata a lucido. Era sfavillante nel suo fascino vintage fatto di forme eleganti e morbide, di cromature lucenti, dai grandi paraurti che non si usano più e dal glorioso simbolo Alfa Romeo che spiccava sulla parte superiore della calandra, anch’essa a forma di scudetto della casa automobilistica. Lo stesso simbolo faceva capolino dai coperchi dei cerchi delle quattro ruote e anche sulla parte posteriore, sopra la targa.
“Che meraviglia!” pensò Giuseppe “Le automobili di ora sembrano tutte uguali senza alcuna concessione alla poesia”.
Si avvicinò anche lui per ammirare quel gioiello sopravvissuto al passato, il cui pensiero provocava sempre una certa nostalgica malinconia, e non solo perche allora si era più giovani.
«Di che anno e questa bella signora?» chiese.
«Del ’60! E qui per il raduno delle auto d’epoca di domenica prossima» rispose con orgoglio un signore attempato senza distogliere gli occhi dall’automobile, rapito dalla bellezza e, probabilmente, dai ricordi della sua giovinezza su cui sembrava si fosse adagiato immaginandosi ancora in corsa
sulla sua Giulietta con una bella signorina al suo fianco, vestito leggero alzato dal vento a scoprirle le cosce.
«Era bianca... la mia era del 1957, aveva i cerchi diversi e anche il frontale era diverso... che auto!»
Disse l’anziano viveur, con voce bassa e rotta da una piccola vena di malinconia, quasi a voler rispondere ai pensieri propri, ma anche a quelli di Giuseppe.

da Mistero buffo - Dario Fo

da Mistero buffo - Dario Fo
 

MARIA VIENE A CONOSCERE DELLA CONDANNA IMPOSTA AL FIGLIO

Maria sta in compagnia di Zoana e per strada incontra Melia.
MELIA Bon di Maria.. bon di Zoana.
MARIA Bon di Melia, sit ‘dr‚ andar a far spesa?
MELIA No, ag l’ho d’ già fatta sta matina… av g’ho de dive un rob, Zoana.
ZOANA Disì me. Cunt parmes, Maria…
Si appartano e parlano concitate.
MARIA In doe la va tòta sta zente? cosa l’È ‘dr‚ a sòced là in funda?
ZOANA Ol sarà quai sponsalizi de seguro…
MELIA Sì , a l’È on sponsalizi… vegni de là improprio ades.
MARIA Oh ‘ndem a vedar, Zoana, che a me piasen tanto i sponsalizi, a mi. A l’È zovina la sposa? E ol sposo chi a l’È ?
ZOANA No sag mi… a credi col debia es un de foera…
MELIA ‘Dem, Maria, no stit a perd ol tempo co’ i matrimoni… ‘ndemo a casa che g’avem anc’mo de metarghe l’acqua al fogo per la menestra.
MARIA Specit, ‘scultì . A i È ‘dr‚ a biastemà!
ZOANA O i biastemerà par ‘legrì a e contentesa!
MARIA No, che me someia… col fagan con rabia: ” stregonaso”, g’han criad… si g’ho intendì o ben… ‘scultì co i va a rep‚t. Contra a chi e g’l’han?
ZOANA Oh, ‘des che me ‘egn in mente… no l’È per un sponsalizio, che i vosa, ma contra a òn che l’han descoverto sta note che ol balava con un cavron che p” a l’era on diavulo.
Sopraggiunge correndo la Maddalena.
MADDALENA Maria! Oh Maria… ol vostro fiol Jesus…
ZOANA Ma sì , ma sì , ol gh’sa de già le… (A parte) State cito… ‘sgrasiada.
MARIA Cos’ l’È che so de già mi?… ‘s l’È capitat al me fiol?
ZOANA Nagota… cos’ag dovaria eserghe capitat, o santa dona? A gh’È dumà che… Ah, no t’avevi dit? Ohj che ‘smentegada che sont… m’era gnid via d’la testa de ‘visarte che lò, ol to fiol, m’aveva dit che no el vegnarà a casa a magnar a mezdì , che ol g’ha de ‘ndare sò la montagna a cuntar parabule.
MARIA A l’È quest che set gnòda a dirme anc’ti?
MADDALENA Sì , quest, Madona.
MARIA Oh, ol sia rengraziad ol Segnore… ti eri rivada tanto de corsa… cara fiola… che mi n’evi catat un stremizi de quei… me s’evi già figòrat no so miga quale desgrazia… Come semo stòpide de volte noaltre mame! Ag femo preoccupade par nagota!
ZOANA Sì , ma anco le, sta balenga, che la ‘riva correndo scalmanada par ‘gni a darte ol nunzi de ste bagatele…
MARIA Bona, Zoana… no starghe a criar adeso… a l’infine l’È gniuda par farme un plazer d’una comission… At rengrazi, fiola… come ad ciamat ti, che mi am pare de cognosarte?
MADDALENA Mi sont la Madalena…
MARIA Madalena? La qual? Quela…
ZOANA Sì , a l’È le… la cortizana. ‘Ndern via, Maria, ‘ndem a casa… co l’È mejor, che no ghe femo vedar con zente compagn… no ‘1 sta ben.
MADDALENA Ma mi no fago pò ol mester.
ZOANA Ol sarà perchè no ti trovi piùsmorbiosi de catar… Va’, desvergognada.
MARIA No, no descasarla… povra fiola… se ol me car Jesus s’la tegne in tanta fiducia de mandam’la a mi a fam di cumision, l’È segn che ades la fa giudizi… vera?
MADDALENA Sì , a fag giòdizi ades.
ZOANA Vag a crederghe… la question l’È che ol to fiol de ti a l’È tropo bono, as lasa catare d’ la compasion e ol freghen toeti! Ol g’ha sempre d’intorna un mògio de poltro’…
zente senza laoro ni arte, morti de fame; desgrasiò e putane, compagn a quela!
MARIA At parlet de cativa ti, Zoana… lò, ol me fiol, ol dise sempre co l’È par loro, sovra ‘gni cosa par lori, sbandati e sperdòi, che o l’È gnudo a sto mundo a darghe la speranza.
ZOANA D’acordi, ma at cumprendi che a sta manera no ol fa un bel vardà… ol se fa parlar a dre’… Con tuta la zente de bonlevada co gh’È in cità; i cavajeri e soi dame, i dotori e i siori… che lò cont’ol so fare zentile savente e ‘rudito a s’truaria de sòbet in t’la manega e averghe onori, farse aidare se ol g’avese besogn. No, cripante: ol va a meterse co i piogiat vilan! E de contra a quei!
MARIA Scolti come i vosa, e i ride… ma no se vede e crose!
ZOANA A parte che ol podria farghe a men de sparlarghe sempre a dre’ ai prevet e a i prelat… che quei no gh’ia perdonano a niuno.
MARIA Eco de novo e tre crose…

da Rimini - Pier Vittorio Tondelli

da Rimini - Pier Vittorio Tondelli

Improvvisamente il cielo di un profondo blu notte si aprì sulla visione della riviera con le strisce luminose delle automobili, i fari, le insegne degli alberghi non più distinguibili se non in confusi bagliori luminosi. E le città, le città dai nomi così perfettamente turistici - Bellariva, Marebello, Miramare, Rivazzurra - apparvero come una lunga inestinguibile serpentina luminosa che accarezzava il nero del mare come il bordo in strass di un vestito da sera. Poiché se da un lato tutta la vita notturna rifulgeva nel pieno del fervore estivo, dall'altro esistevano solo il buio, il profondo, lo sconosciuto; e quella strada che per chilometri e chilometri lambiva l'Adriatico offrendo festa, felicità e divertimento, quella strada per cui avevo da ore in testa una sola frase per poterla descrivere e cioè "sotto l'occhio dei riflettori", ecco, quella stessa scia di piacere segnava il confine fra la vita e il sogno di essa, la frontiera tra l'illusione luccicante del divertimento e il peso opaco della realtà. Ma non si trattava che di un lungomare e non di un regno. Si trattava di una strada sottile che separava i due territori di desolazione della terra e del mare. Dall'alto vidi tutto questo e tutto questo mi piacque, mi eccitò; forse anche mi confuse. Se qualcuno avesse percorso in tutta la sua lunghezza quella strada, senza uscirne mai, avrebbe forse veramente vissuto il sogno. A patto di non sbandare mai né da una parte né dall'altra. Era necessario camminare in linea retta, senza oscillazioni. In fondo, come aveva detto Susy al caffè il trucco era piccolo e banale. "Basta crederci", aveva detto. "L'importante è farlo credere". Funzionava. Io stesso ne ero ormai prigioniero. Crederci era più forte di me

Fra me e te - Nizar Qabbani

dipinto di Viktor Sheleg
Fra me e te - Nizar Qabbani

Fra me e te…
Ventidue anni di differenza
ma fra le mie e le tue,
quando si abbracciano,
si schiacciano gli anni
e si schianta lo specchio dell’età.

Trad. Idriss Amid

Saluta l’Africa quando torni - Hilda Twongyeirwe

Salvatore Fiume - Le sorelle somale, serigrafia polimaterica su tavola 35x50 cm
Saluta l’Africa quando torni - Hilda Twongyeirwe

Ti saluto Africa
Ti saluto dalla Città del Capo al Cairo
Ti stringo con le braccia della mia sorella dalla Somalia
Mi ha supplicata;
Saluta l’Africa quando torni.

Al Southern Theatre ci siamo incontrate
In una grigia serata scandinava
Ma il sole dell’Africa brillava ancora nei suoi occhi
Il caloroso Nilo scorreva nella nostra stretta di mano
Connettendoci in un abbraccio
Di quello che condividiamo
Di quello che siamo.

Ma ho sentito una lacrima di paura nella sua voce
Avvolgeva la sua lingua quando parlava
Questo posto, sorella mia
Ti succhia via qualcosa
Per cui tu non sei tu
Sei tu
Ma non sei tu
Saluta solamente l’Africa quando torni.

Ti saluto Africa
Ti saluto con il suo sacrificio di lacrime
Oso purificarti dalle macchie di sangue che l’hanno privata della sua casa
Mi ha supplicata;
Di’ all’Africa
Che i suoi figli all’estero sono pietre sul ciglio della strada.

Traduzione di Veronica Piovaccari

Da Un amore – Dino Buzzati

Gino Severini – Danseuse dans la lumière, 1913/1914
Da Un amore – Dino Buzzati
Peggio di prima perché adesso quell’embrione di diritto rendeva ancora più insopportabile la libertà di Laide, lo faceva ancora più geloso. In fondo, fino a oggi, gli incontri con la ragazza erano delle meravigliose concessioni, un privilegio. Dal mondo di Laide fino a oggi egli era rimasto fuori, c’era una specie di muro che nascondeva la sua vita coi relativi misteri e lui non presumeva di poterli conoscere, la sua famiglia, i primi amori, i fidanzati, i
“giri” con le ruffiane, le serate al Due, la dubbia faccenda della Scala, solo che di tanto in tanto lei usciva per incontrarsi con lui. Antonio, fuori, aspettava ansiosamente, ogni volta che Laide compariva era un indicibile sollievo. Poi lei rientrava nel suo mondo, lui non ne sapeva più nulla e rinunciava ad aspettare.

Da Un amore – Dino Buzzati

dipinto di Fabian Perez
Da Un amore – Dino Buzzati
Peggio di prima anzi perché il patto con la Laide – anche se lui tentava di negarlo – ora gli dava un barlume di diritto su di lei, da quel pomeriggio egli non era più l’amico occasionale o l’affezionato cliente, era qualcosa di più, una specie di amante ufficiale, o protettore (in fin dei conti se fosse sincero confesserebbe di averle offerto uno stipendio precisamente a questo scopo che lei diventasse almeno in parte sua, che fosse tenuta a un’assiduità che prima non poteva pretendere, sì quella specie di diritto che hanno i commendatori sulle mantenute, aveva un bel dirsi che il suo caso era diverso, ch’egli la lasciava libera, che le chiedeva solo di incontrarla un poco più spesso con la certezza di non perderla da un giorno all’altro come finora era possibile, sì, Antonio Dorigo, lo spregiudicato artista, si è fatto commendatore anche lui, ha assunto la miserabile parte che gli era sempre parsa sinonimo di mediocrità e impotenza)

Il pensiero non basta - Fiorella Carcereri

dipinto di Alfons Karpinski
Il pensiero non basta - Fiorella Carcereri

Mi chiedi se sono felice.
Ti rispondo di no.
Dici che non mi comprendi.
Ti rispondo
che solo chi ama comprende.
Dici che gli innamorati
sono sempre felici.
Ti rispondo che, per esserlo,
devono stare insieme.

Siamo fatti anche di sensi
e i sensi chiamano altri sensi.

Non sei un’entità astratta
e sentirti dentro il cuore non basta.

Non sei un effimero fascio di luce,
sei di più,
e sognare le tue carezze non basta.

No, non sono felice.
Il pensiero non basta, amore mio.

Euterpe n. 8 - Giugno 2013 - Panta rei, tutto scorre

Buio che accende - Fiorella Carcereri

dipinto di Victor Bauer
Buio che accende - Fiorella Carcereri

Tenebre all’esterno,
buio e silenzio nella stanza,
ma la mente e il cuore vegliano.

Come ci si può sentire
più vivi di così,
proprio quando
tutto il visibile del mondo
è nascosto all’occhio,
proprio quando
tutto l’udibile del mondo
è nascosto all’orecchio?

Mi capita spesso, ed è intenso…
E poi, come sempre,
troppo presto,
arriva il giorno e mi spegne…

Euterpe n. 8 - Giugno 2013 - Panta rei, tutto scorre

Il fiume - Millicent Anumah

Pierre Auguste Renoir - bagnante (dopo il bagno), 1888
Il fiume - Millicent Anumah

Acqua senza limiti
Natura rigogliosa
Scuro di notte, azzurro di giorno, ma io sono incolore
ho forme morbide e sinuose
sono più grande dell’acqua, ma sono acqua in piccole dosi
Consumo oggetti piccoli come un ago, e ne trasporto altri grandi come un traghetto
Sono cordiale
Creo forza ma non mi lascio domare
Sono il fiume
Apro il passaggio a chi mi ama
Gioco con chi mi vuole scoprire
Alcuni mi odiano, ma non possono vivere senza di me
Sono a mio agio nella mia dimora, ma alcuni non osano avvicinarmi
Eppure entro in ogni casa a piccole dosi
Le piante non vivono senza di me
Gli uomini non vivono senza di me
I pesci non vivono senza di me
Sono la dimora di molti e sono indispensabile per la sopravvivenza di tutti
Vi prego, non uccidetemi

Traduzione di Stefania Gliedman

19 febbraio 2020

Hammamet - Enzo Montano

Hammamet - Enzo Montano

Qualche giorno fa un amico mi ha chiesto di andare con lui al cinema. Altrimenti mai mi sarei sognato di andare a vedere Hammamet. Avrei preferito la dodicesima replica di un telefilm americano o la ventiquattresima di Edward mani di forbice in televisione. Non ci sarei mai andato perché la figura di Craxi non mi piace, anzi, mi ha sempre suscitato avversione per varie ragioni.
Cosa si può dire su Craxi che non sia già noto? mi chiedevo.  Comunque mi sono seduto con le buone intenzioni di uno spettatore interessato, innamorato dello strumento cinema, pur senza riuscire a lasciare fuori il giudizio sul politico.
Provo, perciò, a raccontare le impressioni di uno spettatore che ha vissuto i giorni del potere di Craxi. Ricordo la ‘Milano da bere’, il ponte di comando in piazza Duomo a Milano, i congressi con scenografie sfavillanti simili alle convention dei predicatori americani, il delirio di onnipotenza, la corte di ballerini e nani di cui amava contornarsi, l’arroganza del potere fatta sistema e innalzata ai massimi livelli, il decisionismo, l’avvio della destrutturazione della politica e dei partiti, il disprezzo verso gli avversari politici, i fischi  a Berlinguer il 14 maggio 1984 invitato al congresso. Perché invitarlo a un’imboscata di cui andar fieri? “Io non mi posso unire a questi fischi solo perché non so fischiare” ebbe a dire il Presidente, colui che aveva organizzato la trappola, la gogna becera a danno di uno dei maggiori leader della sinistra europea. I fischi e gli sberleffi impedirono a Berlinguer di fare il proprio intervento, dovette abbandonare malinconicamente la sala del congresso del Partito Socialista, lo stesso di Matteotti, Buozzi, Lombardi, Nenni, Pertini.
Non mi soffermerò sugli aspetti tecnici poiché non sono un critico. Gli attori sono bravi, soprattutto il protagonista. Ma questa non è una novità, in genere gli attori sanno fare il loro lavoro. Le scene ben costruite, ma il ritmo…. Che noia! Una noia mortale. La sceneggiatura c’era? A me è parso di no. Non sono andato via solo per non mancare di rispetto all’amico che mi aveva invitato. Quel tipo di ritmo è giustificabile in alcuni film di Bunuel, Bergman, Altman…. Registi capaci di rendere denso di significato il silenzio semplicemente per la costruzione scenica su contenuti ben diversi da Craxi. Qui non c’era niente da riempire.
Il film non mi è piaciuto.
Forse il giudizio è influenzato dal nome del protagonista? Sicuramente! Ma io ho avvertito una noia mortale cercando di seguire il film, e alla noia si è assommata alla rabbia, poiché spesso la pellicola mi sembrava l’agiografia di un politico, segretario di un partito glorioso, capo del governo per diversi anni, scappato dal suo Paese per evitare il carcere. Un politico condannato per corruzione e finanziamento illecito che fugge di fronte alla legge come un delinquente qualsiasi. Condannato in via definitiva in due diversi processi per corruzione e illecito finanziamento ai partiti: Eni-Sai e Metropolitana Milanese per un totale di una decina di  anni di detenzione, a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici e al risarcimento di una decina di miliardi di lire alla Metropolitana Milanese.
Altri quattro processi si sono estinti con simili ipotesi di reato e condanne nei primi gradi di giudizio. Secondo i giudici cospicui flussi di denaro finivano nei conti privati del Presidente.
Un politico assai potente, a suo tempo, ma debole di fronte alle sue responsabilità, debole di fronte agli italiani, debole di fronte a sé stesso. Non parlo dell’uomo, parlo del politico.
Forse nel film si vuole evidenziare proprio il conflitto di un uomo che fa i conti con sé stesso nel mentre avverte la prossimità dell’epilogo dell’esistenza? Massimo rispetto per la vicenda umana e privata, massimo rispetto per gli affetti. Ma questo non può impedirmi di essere severo. Quanto rimane di privato di una persona che è stato per anni all’apice del potere? C’era bisogno di ricorrere a Craxi per dire che in Italia c’è la tendenza a salire sul carro dei vincitori e scenderne appena la strada diventa impervia? A un politico sprezzante che mai ha ammesso le proprie responsabilità scaricando tutto sugli altri? In esilio? No, latitante. C’era bisogno di un film per questo? Allora se ne dovrebbero fare a migliaia.
Ho provato rabbia! Sì perché il film ha avviato, com’era facilmente prevedibile, una sorta di processo di beatificazione di un politico corrotto. Questo l’obiettivo? Scatenare gli applausi per un colpevole che fugge? Ma poverino, cerano anche altri colpevoli, lui è il solo che ha pagato, il capro espiatorio. Falso! Se c’erano altri colpevoli, e c’erano, hanno pagato anche loro. Altri non sono stati presi? Beh! Forse la Magistratura non ha trovato prove sufficienti. Che fine ha fatto il garantismo? E, ancora, se il Presidente era a conoscenza del sistema diffuso di corruzione, perché non ha fornito fatti e circostanze affinché tutti i ladroni fossero processati? Perché non ha denunciato un sistema di cui lui era l’apice?
Certo un mio teorema, o di chiunque altro, non è sufficiente a condannare chicchessia, per questo c’è la Magistratura. Una Magistratura di parte? Mah! Sembra sia di moda sostenerlo da parte dei condannati. No! Non voglio unirmi al coro dei garantisti a fasi alterne e  dimenticare le garanzie dovute agli imputati ma anche coloro che sono o sono stati danneggiati. Non dimentico le vittime. Io (non solo l’io generico) mi sento danneggiato dall’azione del politico Bettino Craxi, chi si innalza a mio difensore? Chi difende tutti coloro che dalla corruzione, del degrado politico e sociale sono state e continuano ad essere vittime? È mai stato girato un film sulle persone comuni le cui conquiste, ‘privilegi’ talvolta definite, Craxi ha cominciato a mettere in discussione con l’abolizione della scala mobile? Oppure un film sul degrado sociale e culturale, danni devastanti prodotti dal berlusconismo di cui Craxi è stato il precursore?
Ricordo, all’epoca dei governi Craxi, i telegiornali istituirono il collegamento quotidiano dalla Borsa di Milano per comunicare, udite udite, l’andamento del mercato azionario, e raccontare delle performance di speculatori professionisti. Indici e dati statistici a volontà come se tutti gli italiani un bel mattino si fossero risvegliati in possesso di somme di denaro da scommettere in Borsa. Perché, mi chiedevo, quel genere di comunicazione? Forse era l’inno al capitalismo di un governo il cui capo aveva deciso di abbracciare totalmente rinnegando le origini socialiste? Oggi si definirebbe ‘arma di distrazione di massa’ (nel mentre la prendete in quel posto però vi dimostriamo che l’economia va bene, i profitti qualcuno li intasca, a Milano si beve e tutti dobbiamo essere contenti). Fu l’inizio di una strategia di smantellamento delle origini del suo partito e dell’intera sinistra.
Non mi sarei mai unito ai lanciatori di monetine poiché la dignità di un uomo va sempre rispettata, ancor di più nei momenti di debolezza, ma neanche mi sento di applaudire un film su Craxi, o di concedere una minima giustificazione al suo operato. Insomma, io quel film, almeno per i contenuti mostrati, non lo avrei mai fatto.

19 febbraio 2020