29 febbraio 2020

da Essere un gatto – Matt Haig

foto Marco Delucia - Gatto dormiente e sullo sfondo i-Sassi al tramonto
da Essere un gatto – Matt Haig

Ma, proprio mentre stava per svoltare l’angolo di Dullard Street, udì un sommesso tintinnio alle sue spalle. Voltandosi vide di nuovo il gatto nero con una macchia bianca attorno a un occhio che lo guardava.
«Che cosa vuoi, gatto?»
Il gatto, essendo un gatto, non gli rispose – o per lo meno non in una lingua a lui comprensibile – e quindi Barney riprese a camminare. E lo stesso fece il gatto.
Poi, quando Barney arrivò nella sua via, vide qualcosa che gli fece sprofondare il cuore fino allo stomaco, per ancorarsi lì. Era la macchinetta rossa di sua madre che risaliva la via e si fermava davanti a casa. Barney guardò l’orologio.
16.25.
Sua madre sarebbe dovuta uscire dalla biblioteca più di due ore e mezzo più tardi.
Si irrigidì, pietrificato dal terrore.
Lo sa.
È l’unica spiegazione.
Immaginò che Miss Whipmire avesse telefonato in biblioteca e avesse detto: «Suo figlio ha una lettera per lei. Se la faccia dare!»
Poi Barney sentì qualcosa che gli strofinava la caviglia. Guardò il gatto ai suoi piedi e ricordò le parole di Miss Whipmire.
«Quella sì, sarebbe una bella vita, non trovi? Essere un gatto, sdraiato al sole, senza tutte queste umane preoccupazioni…»
Barney si accucciò dietro una siepe. Non seppe spiegarsi il perché. Per evitare sua madre, certo. Eppure sapeva di dover tornare a casa, prima o poi.


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