17 giugno 2016

Intervista del tg 2 ad Italo Calvino – novembre 1983

Intervista del tg 2 ad Italo Calvino – novembre 1983

Nel prossimo millennio, l’umanità sarà ancora capace di fantasia?
Qualche anno fa si diceva: “L’immaginazione al potere”, che sembrava uno slogan molto bello. Poi ripensandoci, il segreto è che l’immaginazione non prenda mai il potere: cioè non diventi parola d’ordine, programma obbligatorio. L’immaginazione, la fantasia, la creatività – di cui tanto si parla – devono contrapporsi a un elemento di routine, di limitatezza, di prevedibilità, che rende la vita vivibile. Guai se c’è solo il prevedibile, ma se tutto è fantasia non si tocca niente, non si realizza niente.
Probabilmente, se abbiamo intorno uno scenario di grigi parallelepipedi, possiamo addobbarlo con bandierine, festoni e ali di farfalle. Se invece abbiamo intorno uno scenario solo di ali di farfalle, non viene fuori niente. Per questo sono un po’ diffidente sul fatto della creatività dato come fine dell’educazione, come principio primo: “Ogni lavoro deve essere creativo!”. No, il lavoro deve essere esatto, metodico, fatto secondo certe regole. E poi è su quello che può nascere la creatività. Altrimenti è una specie di marmellata che non ha sostanza.

In che cosa stiamo sbagliando di più oggi, rispetto al domani?

Nel non valutare quello che è irreversibile e quello che è immodificabile: credo ad esempio che sia difficile pensare che possiamo fare a meno di enormi quantità di energia. Quindi il problema energetico va affrontato realisticamente.
Non dobbiamo farci un mito della natura, che oggi possiamo godere solo perché abbiamo alle spalle una civiltà tecnologica che ci garantisce di tante cose. Quindi la natura che noi oggi godiamo come natura, non l’avremmo goduta come tale se invece fosse stata il nemico con cui batterci, come per i nostri padri, i nostri antenati.


Italo Calvino: tre chiavi, tre talismani per il 2000.

Imparare molte poesie a memoria: da bambini, da giovani, anche da vecchi. Perché fanno compagnia: uno se le ripete mentalmente. Inoltre, lo sviluppo della memoria è molto importante. Anche fare dei calcoli a mano: delle divisioni, delle estrazioni di radici quadrate, delle cose molto complicate.
Combattere l’astrattezza del linguaggio che ci viene imposto, con delle cose molto precise. Sapere che tutto quello che abbiamo ci può essere tolto da un momento all’altro. Certo, goderlo: non dico mica di rinunciare a nulla, anzi. Però sapendo che da un momento all’altro tutto quello che abbiamo può sparire in una nuvola di fumo.

16 giugno 2016

Perle - Enzo Montano

Bartholomeus van der Helst - Portrait of Anna du Pire as Granida,1660,detail

Perle - Enzo Montano

Turgore implorante ombrosi giardini
esplode piacere nelle mani che sfiorano.

Rosee dune contengono lo stelo vibrante
umide gocce scorrono il candore assetato.

Labbra avvolgenti stringono il roseo impazzito
torrente dell’estasi si insinua nella gola impaziente

la lingua raccoglie e assapora
il bianco calore da labbra ancora vogliose.

Gocce perlacee ornano la bocca vorace.

Movimenti - e.m.

William Bouguereau - LAmour et Psyche
Movimenti - e.m.

falce di luna appesa al cristallo del cielo
labbra di fuoco si moltiplicano baci

incontenuta passione disegnata in abbracci
di corpi e cervelli impazienti

prorompente turgore si insinua nei fianchi
penetra l'umidità dell'amore insaziabile

movimenti ritmati dal piacere dei gemiti
tra profumi di pini eucalipti e fieno

dalla collina gli ululati del lupo fino all'aurora.

Mani - e.m.

Opera di Omar Ortiz
Mani - e.m.

L’azzurro di unghie perfette esalta
agili dita affusolate indorate di sole.
Sapienti cercano tra stoffa e cerniera
il tulipano purpureo prorompe rigonfio
tra le pieghe e i righini di slip e camicia.
Avvolgono le mani il turgore vibrante
si muovono armonicamente in modulate carezze
polpastrelli lo sfiorano come oboe di orchestra.
Le labbra si cercano in baci intrecciati
intensi i respiri e malcelati i gemiti.
Si esalta roseo disteso nel desiderio
tra le morbidissime mani di donna.
Vibrazioni e sussulti sottolineati da ansimi
scavano profondità nel piacere del maschio
ed emerge in sconvolgenti brividi inauditi
per il corpo e la mente obnubilati dall’estasi.
Il movimento diviene impetuoso e veloce
il lungo bacio profondo unisce anime e corpi
preludio all’eruzione perlacea che orla
le dita bellissime come preziosi gioielli di dea
portati alla bocca con voluttà disinvolta.
La lingua e le labbra assaporano l’inizio
di una notte di amore fino allo sfinimento.

La rosa - e.m.

V.K.Schtember - A sitting nude
La rosa - e.m.

Tra le tornite colonne colorate dal sole
La rosa fucina odorosa del mondo si mostra

L’oro si apre e il fiore dei fiori mirabile
Si schiude all’atavico desiderio

Si insinua la lingua nelle umide stanze
Affollate di baccanti danzanti e liuti in canti

Promesse di smarrimento soave
Nelle sterminate profondità del piacere

Effluvi inebrianti e sapori di frutti proibiti
Scorrono nella bocca che indugia mai sazia

Profumo di caprifoglio di menta di sole
More melograni ciliegie e uva passa

Tutto è lì nella magia della coppa tremante
Sapori squisiti e decisi di purezza fatta donna

La passione contrae le piccole labbra
Al loro apice svetta il piacere raccolto

Le grandi si sciolgono in ininterrotti fremiti lievi
Instancabile sugge la lingua come l’ape sui fiori

Copioso nettare dolce inonda di voluttà
La bocca virile e l’adorna dell’oro essenziale.

Petali rossi protesi in artigli vogliosi
Perpetuano il desiderio di voli lontani.

Tocchi - e.m.

opera di Jack Vettriano
Tocchi - e.m.

Si insinua la mano nell’oro delle colonne
morbida pelle incontra tra il delta e il nero elastico

tocchi lievi salutano la sentinella al nord
turgido attende piacere altre carezze e altre ancora

impazienti artigli afferrano cristalli di purezza
scalano vette nell’acme del delirio tremano le torri

corde dell’arpa tese per suoni di magia
il ventaglio della mano disegna suoni e voli lievi

elastici fremiti aprono l’umidità e trattengono
serrano gli spasimi dei petali irrorati di rugiada

nettare dolce dell’amore sgorga dalla rosa copioso
imperlano le nocche gocce di ambrosia e purezza di diamanti

fuoco e passione si fondono si innalzano e
deflagrano i rivoli in colata tra declivi mai appagati

il monte di venere in eruzione di zaffiri e ametiste
purezza genera dalla fucina dell’inizio altra purezza e altro desiderio

Veli - Enzo Montano

The Awakening - Guillaume Seignac
Veli - Enzo Montano

Musica soffusa nella camera in penombra
raggi di sole tra luce fioca penetrano i veli
illuminano lo scrigno dei tesori sul talamo dell’amore

forme sensuali come una modella di Courbet
l’origine si mostra in tenue trasparenza
l’oro del sole tra velati autoreggenti si esalta

si fondono i corpi nella condivisione della stessa meta
viaggio antico nel frutteto magico denso di gioia
seni trovati con la bocca e mani afferrano dune e fianchi

turgido stelo tra le profonde umidità accoglie l’origine
i colpi ritmici che scavano insistenti nella fonte della vita
vibrante prepotenza si inebria di nettare di femmina

ombre tra i veli in frenetici movimenti ritmici
un gemito forte sovrasta la dolcezza di un canto
l’amplesso esplode nell’acme del piacere

da Piazza del Duomo i rintocchi cadenzati
delle campane sulla svettante torre romanica
enfatizzano l’avvio di un altro ancora.

I seni - e.m.

opera di Steve Hanks
I seni - e.m.

Seni di dea vere coppe di ambrosia
guglie romaniche innalzate in onore del desiderio
ritti capezzoli dal sapore di caprifoglio e di arancio
sono templi di turgida sensualità nelle mani che stringono
lo stelo rigonfio si muove con cadenze di tango
indugia a sfiorare il mento e le rosse labbra dischiuse
al suono di fisarmoniche trombe violini e tamburi.

La lingua assapora il tulipano di seta purpurea
le labbra catturano avvolgono stringono
l'impercettibile tremolio del fascio di nervi contratti
le colline incantate racchiudono la danza
voluttuose ne accolgono esplosione e liquido caldo
bianchi contorni di affreschi ornano la pelle di bronzo
di quei seni che sanno di datteri miele e di melograno.

Le labbra non sazie si incontrano nello scambio di
odori sapori e passione.

Volo inconsueto - Enzo Montano

Opera di Omar Ortiz
Volo inconsueto - Enzo Montano

Mani a coppe ricolme di seni traboccanti di dea
meravigliosi gioielli del suo essere donna.

Il suo collo colonna d’avorio nella bionda cascata
offre alle labbra la dolcezza di more mature

il persistente profumo di menta selvatica
costante preludio ai momenti di miele.

Levigata la schiena dalle carezze del sole
e il petto maschile si cercano con voluttà.

Il turgore si insinua tra meravigliose sculture
le mani di lei guide sapienti verso orizzonti dorati.

Gemiti e sospiri all’unisono si apprestano all’inno di gioia
le dune accolgono l’ingresso nell’angusto recesso.

L’orchestra dei sensi dà inizio al concerto della passione,
brocche colme di estasi inondano i corpi che si dimenano.

Colpi vibrati alla porta che si apre e raccoglie
si richiude stringe trattiene assapora e rilascia.

Gli effluvi perlacei del piacere non più contenibile
disegnano ricami sui candidi glutei vibranti.

L’attimo rosso dell’acme fonde gli amanti
In un solo corpo lanciato in volo tra le vette del sogno.
 

15 giugno 2016

Omero - Odissea - Libro XII, vv 201-290

Ulisse e le Sirene di Herbert James Draper
Omero - Odissea - Libro XII, vv 201-290

(…)
Qui, turbato del core, Amici, io dissi,
Degno mi par, che a tutti voi sia conto
Quel, che predisse a me l’inclita Circe.
Scoltate adunque, acciocchè tristo, o lieto,
Non ci sorprenda ignari il nostro fato.
Sfuggire in pria delle Sirene il verde
Prato, e la voce dilettosa ingiunge.
Vuole, ch’io l’oda io sol: ma voi diritto
Me della nave all’albero legate
Con fune sì, ch’io dar non possa un crollo;
E dove di slegarmi io vi pregassi
Pur con le ciglia, o comandassi, voi
Le ritorte doppiatemi, ed i lacci.
     Mentre ciò loro io discopria, la nave,
Che avea da poppa il vento, in picciol tempo
Delle Sirene all’isola pervenne.
Là il vento cadde, ed agguagliossi il mare,
E l’onde assonnò un Demone. I compagni
Si levâr pronti, e ripiegâr le vele,
E nella nave collocârle: quindi
Sedean su i banchi, ed imbiancavan l’onde
Co’ forti remi di polito abete.
Io la duttile cera, onde una tonda
Tenea gran massa, sminuzzai con destro
Rame affilato; ed i frammenti n’iva
Rivoltando, e premendo in fra le dita.
Nè a scaldarsi tardò la molle pasta:
Perocchè lucidissimi dall’alto
Scoccava i rai d’Iperïone il figlio.
De’ compagni incerai senza dimora
Le orecchie di mia mano; e quei diritto
Me della nave all’albero legaro
Con fune, i piè stringendomi, e le mani.
Poi su i banchi adagiavansi, e co’ remi
Batteano il mar, che ne tornava bianco.
Già, vogando di forza, eravam, quanto
Corre un grido dell’uomo, alle Sirene
Vicini. Udito il flagellar de’ remi,
E non lontana omai vista la nave,
Un dolce canto cominciaro a sciorre:
O molto illustre Ulisse, o degli Achéi
Somma gloria immortal, su via, qua vieni,
Ferma la nave, e il nostro canto ascolta.
Nessun passò di qua su negro legno,
Che non udisse pria questa, che noi
Dalle labbra mandiam, voce soave:
Voce, che innonda di diletto il core,
E di molto saver la mente abbella.
Chè non pur ciò, che sopportaro a Troja
Per celeste voler Teucri, ed Argivi,
Noi conosciam, ma non avvien su tutta
La delle vite serbatrice terra
Nulla, che ignoto, o scuro a noi rimanga.
     Così cantaro. Ed io, porger volendo
Più da vicino il dilettato orecchio,
Cenno ai compagni fea, che ogni legame
Fossemi rotto; e quei più ancor sul remo
Incurvavano il dorso, e Perimede
Sorgea ratto, ed Euriloco, e di nuovi
Nodi cingeanmi, e mi premean più ancora.
Come trascorsa fu tanto la nave,
Che non potea la perigliosa voce
Delle Sirene aggiungerci, coloro
A sè la cera dall’orecchie tosto,
E dalle membra a me tolsero i lacci.
     Già rimanea l’isola indietro; ed ecco
Denso apparirmi un fumo, e vasti flutti,
E gli orecchi intronarmi alto fragore.
Ne sbigottiro i miei compagni, e i lunghi
Remi di man lor caddero, e la nave,
Che de’ fidi suoi remi era tarpata,
Là immantinente s’arrestò. Ma io
Di su, di giù per la corsia movendo,
E con blanda favella or questo, or quello
De’ compagni abbordando, O, dissi, meco
Sin qua passati per cotanti affanni,
Non ci sovrasta un maggior mal, che quando
L’infinito vigor di Polifemo
Nell’antro ci chiudea. Pur quinci ancora
Col valor mio vi trassi, e col mio senno,
E vi fia dolce il rimembrarlo un giorno.
Via, dunque, via, ciò, ch’io comando, tutti
Facciam: voi, stando sovra i banchi, l’onde
Percotete co’ remi, e Giove, io spero,
Concederà dalle correnti scampo.
Ma tu, che il timon reggi, abbiti in mente
Questo, nè l’obbliar: guida il naviglio
Fuor del fumo, e del fiotto, ed all’opposta
Rupe ognor mira, e ad essa tienti, o noi
Getterai nell’orribile vorago.
(…)