22 dicembre 2020

Contromano il viaggio

Contromano il viaggio

 «non c’è bisogno di conoscersi personalmente per sentire il richiamo delle origini»

Un anziano signore tornato dall’Inghilterra per partecipare ai funerali del padre, Mimmo, portato via da un tumore, chiede di incontrarlo. Dalle notizie apprese dall’uomo giunto da lontano per dare l’ultimo saluto all’amico, Saverio è il suo nome, Michele scopre di conoscere poco il passato del padre, di ignorarlo, anzi. Saverio conosceva il papà di Michele fin dalla fanciullezza quando entrambi avevano otto anni. L’anziano uomo venuto dall’Inghilterra racconta di una vita del padre a lui sconosciuta, di parenti dei quali fino allora ignorava l’esistenza, di come Mimmo fu adottato e delle vicissitudini, molte delle quali, condivise.

Dopo l’incontro con l’uomo tornato dal passato di suo padre, Michele comprende di essere cresciuto su radici diverse da quelle immaginate. Questa scoperta, richiamo irresistibile, lo induce a intraprendere un viaggio contromano, a ritroso nel tempo e dentro mondi a lui ignoti. Comincia così la ricerca verso la conoscenza delle proprie origini. E sarà un viaggio, quello narrato nel libro di Gianpaolo Colucci che porterà Michele in giro prima per la Basilicata e poi in vari luoghi dell’America Meridionale. Come Ulisse, Michele, farà delle tappe di avvicinamento e, quando la meta gli sembrerà a portata di mano, ecco che improvvisamente gli sfuggirà e si allontanerà. Talvolta Michele si troverà senza un orientamento in assenza di tracce da seguire, altre volte avrà timore dell’ignoto, delle scoperte che potrà fare. Basterà un lampo, un’idea per riprendere la sua ostinata ricerca con il fondamentale sostegno di Serena, sua preziosa compagna.

Ogni viaggio non è finalizzato all’esclusivo raggiungimento dello specifico obiettivo giacché le varie tappe, gli incontri, le situazioni non sono altro che arricchimento per la mente e per l’anima, elementi di conoscenza e di esperienza che concorrono a formare quello che noi siamo e quale importanza hanno le nostre radici dalle quali niente potrà mai dividerci.

Quando tornerà a casa Michele sarà una persona diversa poiché il viaggio contromano non è solo quello che lo porta nei vari luoghi geografici ma è soprattutto un viaggio introspettivo nelle profondità dell’intimo, dove scandaglia i “vissuti” di persone sconosciute eppure fondamentali per la sua esistenza. Michele coglierà i riverberi dei ricordi in un passato a lui sconosciuto ma non estraneo e proprio perché in quel passato ci sono le sue radici, saprà coglierne il senso e lì troverà anche gli elementi che lo condurranno a fare con serenità e convinzione scelte troppe volte rinviate. Il viaggio contromano è la metafora di una ricerca introspettiva prima dell’approdo di Michele nella sua Itaca.

Il libro di Giampaolo Colucci offre una lettura piacevole che mi sento di consigliare agli amanti del fruscio delle pagine.

Enzo Montano


Gianpaolo Colucci - Contromano il viaggio
Echos Edizioni,
Giaverno – Torino, 2017
198 pagine
 

14 dicembre 2020

La gabbia di Anna

La gabbia di Anna

«Non fatemi domande per le quali non ho le vostre risposte»

L’opera di Maria Lovito si colloca al confine tra un romanzo breve e un racconto lungo ma al di là degli aspetti formali e anche della trama mi piace sottolineare la narrazione lieve di un fatto di violenza domestica basato su un episodio reale. Una lettura piacevole dall’inizio alla fine sebbene nelle pagine del libro di Maria Lovito si affronti una questione tutt’altro che leggera come, appunto la violenza di genere tra le mura domestiche. L’ho letto in poco più di un’ora una prima volta e poi ancora una seconda per meglio entrare nella storia di Anna, protagonista suo malgrado, del racconto e dell’ennesimo episodio di violenza perpetrato a danno di una donna. Una delle tante storie sempre più frequenti, purtroppo, che si consumano nelle case di persone apparentemente normali. Nella propria casa, nel luogo, cioè, più sicuro per antonomasia, o così dovrebbe essere. Sempre più spesso, invece, la casa diventa una “gabbia” dentro cui si infrangono i sogni, muoiono i desideri, svaniscono le speranze, si spezzano delle vite.
Anna è una giovane donna che con il matrimonio immagina di realizzare i sogni di una vita assieme al suo sposo. La sua casa, la nuova casa è per lei il luogo dove costruire i sogni e dare sostanza ai desideri. Desideri, si badi, normalissimi come normali sono le aspettative di chiunque insegua un’esistenza serena. Eppure quella casa diventa la sua gabbia. Una prigione costruita giorno dopo giorno quasi senza accorgersene, e in quella gabbia cessa la sua esistenza. La donna è  sopraffatta da umiliazioni e sopraffazioni. Dietro le invisibili sbarre Anna si nasconde. Nasconde i pianti, i silenzi, i segni della violenza fisica; solo quelli evidenti giacché le ferite più profonde sono invisibili. È la stessa Anna, inconsapevolmente, che inizialmente contribuisce ad edificare le sbarre che la imprigionano. Non riesce a prendere coscienza della realtà, delle dimensioni delle atrocità subite “per amore”. Le donne vittime di violenza, infatti, subiscono per lungo tempo in silenzio alla ricerca incessante di giustificazioni per le minacce, le vessazioni, le privazioni, i calci del loro carceriere/aguzzino addossandosi, finanche, colpe che non hanno. Ci mettono mesi e anni prima di trovare la forza per reagire. Molte volte il carnefice non concede loro il tempo necessario alla presa di coscienza perché le cancella prima e definitivamente dall’esistenza.
“La gabbia di Anna” è una storia di ordinaria violenza, si potrebbe dire, a danno di una donna, di una moglie, di una compagna. Come tutte le vittime della violenza di genere Anna non riesce a difendersi fin da subito proprio perché è inconcepibile ammettere di essere l’oggetto della violenza perpetrata dall’uomo della sua vita. Chi può insegnare come difendersi da chi si ama? Nessuno, se non la propria esperienza e la determinazione. Il marito di Anna, come i suoi omologhi, è un vigliacco. Aguzzini tra le mura domestiche capaci di trasformare in vittime donne indifese da cui sono amati. Sono vigliacchi perché nascondono la loro viltà spacciandosi per brave persone nella vita sociale dalla quale escludono le loro compagne. Ed è una comunità di ignavi ad accettarli, a tollerarli, a sminuire le loro responsabilità o, addirittura, a giustificarli. Un vigliacco che nasconde le sue frustrazioni, le sue gelosie, i deliri di possesso, le violenze più efferate dietro l’amore dovrebbe essere bandito dal consesso civile; troppo frequentemente, invece, lo si vede girare indisturbato e sorridente raccontare le sue imprese di “maschio”, di “uomo di casa”, di colui che “porta i pantaloni”.
Anna, una donna come tante, troverà la forza necessaria e abbatterà la sua gabbia.
La protagonista del libro di Maria Lovito è un’eroina proprio nel suo essere donna “normale”. Anna è straordinariamente forte come lo sono tutte le donne che improvvisamente si trovano ingabbiate nella loro esistenza. Anna è forte perché prende coscienza di una realtà subita e trova la forza in situazioni difficili per liberare sé stesa e il figlioletto da un incubo. È un’eroina “normale” poiché il diritto di una donna di vivere al di fuori di ogni gabbia è la cosa più ovvia e ogni volta che nelle cronache leggiamo di episodi di violenza di genere non dobbiamo addossare la colpa al solo autore dell’atto poiché la colpa di ogni violenza è di tutti noi, della nostra indifferenza, della nostra accondiscendenza.
La mia vicinanza e  la stima incondizionata va alla protagonista del racconto, a suo figlio e a tutte le vittime della stupidità dei vigliacchi.

Esprimo, infine, riconoscenza all’autrice per il suo contributo a una tematica spinosa della quale è utile e necessario continuare a parlarne e Maria Lovito lo fa con i toni lievi di cui è capace una donna impegnata nel sociale oltre ad essere infaticabile divulgatrice della cultura sotto forma di storie di carta quali sono i libri.

Enzo Montano

Maria Lovito – La gabbia di Anna
Edigrafema, Matera, marzo 2019
 

 

Enzo Montano, ” Socoteală – Inventario”

Enzo Montano, ” Socoteală – Inventario”
 
O să mai vad înc-o dată marea,
poate de două; o să-i respir mireasma,
o să-mi înțepe nările sarea,
cum de o mie și-o mie de ori
în timp ce privirea-mi întârzie
pe nesfârșita întindere-a zărilor.

Muntele cu pădurile-i nenumărate
l-am trăit mai puțin,
dar m-am pierdut de fiece dată
în oceanele lui de verde splendoare:
oare mai fi-voi răpit vreo dată
de glasul lui din miliarde de frunze?

Am întâlnit ades frumusețea,
cum se cuvine m-am înclinat în fața-i,
am fost fascinat de-al ei farmec,
de fiecare dată-mi hrănea sufletul
cu lumina-i inconfundabilă,
deschiselor răni doar ea unic balsam.

Voi mai vorbi cu unii prieteni
de câteva ori, altora – de mai multe;
o să beau o bere la bar cu alții,
pe unii din nou o să-i văd
vara sorbind o cafea răcită.
O ultimă oară-am vorbit cu altul …

Știu numărul primăverilor,
mă tulbură dintotdeauna,
mereu mi-aduc lacrimi în ochi,
tributul meu adus suflării naturii
și mereu înnoitei minuni
a florilor de păpădie
ori seninelor nu mă uita.
Știu, de asemeni, că totdeauna
cea mai frumoasă, mai limpede,
mai luminoasă e ultima.
Ultima. Aproape dusă-i.
Altele de-or veni nu știu,
însă în fiece nouă zi
mă îndrăgostesc de soare.

Cărțile – cele citite – s de de mult
mai numeroase decât rămasele,
și cu greu voi vedea un film
mai bun decât cele deja văzute.
La fel, sunt aproape sigur,
nici un cantare n-o să mai fie
mai frumoasă din cele frumoase
pe care mi le-am făcut ale mele
de-a lungul atâtelor triste zile,
ori când de-atâta culoare și bucurie
nu le mai vedeam capătul.

Ultimul vis poate l-am împlinit,
dar încă-l urmez, în ultimu-i dans,
pe culmile stelelor
acelor magice nopți ioniene
când giuvaierele cele mai scumpe
pe neclintitele ceruri se nasc.

Am pierdut atâtea ocazii,
din orbire, din înverșunare,
multe drumuri le-am abandonat,
țeluri multe de neatins au rămas,
n-am recunoscut adevăruri multe
pur și simplu din vanitate.

Am întâlnit și câțiva oameni
de-lungul vieții, dar i-am lăsat să plece
după doar un zâmbet, ori făr-o privire măcar,
în timp ce blânde se îngrămădeau
singurătățile sufletului,
iar zilele-mi la întâmplare-mi treceam.

Nu-mi amintesc de câte ori păsările
au mâncat firimiturile-întoarcerii,
dar mi-aduc aminte de lupta cu moartea,
descoperită doar în durerea
din ochii celor dragi.

De milioane de ori am văzut,
plini de vise, ochii fiului meu
și n-aș înceta nicicând să-i privesc.
De mii de ori zâmbete mi-a dăruit
și eu mângâieri. De câte ori oare
obrazu-i am să-l ating, oare cat timp
îmi va fi dat să-l îmbrățișez?
De câte ori am fost tată,
de va fi din nou să fiu,
s-o știu nu-mi e dat.

Nici știu încă să măsur la ce-i bună viața,
durerea pe care am provocat-o,
care-i a ispășirii măsură,
și pentru câte zile încă
voi ști să țin departe de mine
privirile reci
ale doamnei în negru în ultimul joc
și-al încă unei înfrângeri.
Precum Raskolnikov o să aștept
smerit o anume sentință
pentru atâtea loviri date vieții.
Dar mai-înainte de-a se sfârși socoteala
aș vrea s-anulez măcar o îndoială
din cele ce umplu registrul cu sutele.

Așadar pe când vela-mi se-apropie
spre ultima mea itacă –
eu, amintindu-mi de legiunile de iluzii
desfășurate ca în asediul Cartaginei
pe care ursitoarele mi le-au păstrat
în toate zilele ce mi le-au semănat,
eu, care n-am construit niciun fel de apărare,
când drumul fi-va doar un semn scurt
pe hartă, înainte de acostare,
când socoteala o să se încheie –
să mai am doar un rest de iluzie:
că-mi va păstra cineva
amintirea.

din colecția ” Portrete”, Apollo Edizioni, 2019
_________________________
-traducere de Catalina Franco-
_________________________

Vedrò forse il mare ancora una volta,
o forse due; ne respirerò il profumo
e la salsedine mi pungerà le narici,
come mille e mille altre volte
mentre lo sguardo indugerà
sulla continuità perfetta dell’orizzonte.

Di meno ho vissuto la montagna
e i sui boschi sterminati,
ma ogni volta mi sono perso
in oceani verdi di bellezza:
sarò rapito ancora un’altra volta
dalla voce di miliardi di foglie?

Sovente ho incontrato la bellezza,
e sempre l’ho riconosciuta,
affascinato dall’incanto,
tutte le volte mi ha nutrito l’anima
con la sua luce inconfondibile,
unico unguento per le ferite aperte.

Alcuni amici mi parleranno
ancora un paio di volte, altri di più;
con altri berrò una birra al bar,
e altri ancora li incontrerò
in estate per un caffè freddo a un tavolino.
Qualcuno mi ha parlato già l’ultima volta.

Conosco il numero delle primavere
che sempre mi hanno emozionato,
ogni ho volta ho dato lacrime,
mio tributo al respiro della natura
e alla rinnovata meraviglia
dei fiori della malva o delle campanule
o dei non ti scordar di me.
So anche che l’ultima è sempre
la più bella, la più nitida, la più luminosa.
L’ultima. È quasi passata.
non so se ne verranno altre,
ma in ogni nuovo giorno mi innamorerò del sole.

I libri letti sono di gran lunga
più numerosi di quelli che mi restano,
e difficilmente vedrò un film
più bello di quelli che conosco.
Così come, ne sono quasi certo,
non ascolterò musica o canzone
più bella delle belle che ho fatto mie
lungo il cammino dei giorni più tristi
o quando dell’allegria e i colori
non riuscivo a scorgerne la fine.

L’ultimo sogno forse l’ho già fatto
ma continuo a inseguire un’ultima danza
sulla punta delle stelle
delle notti magiche dello ionio
quando i gioielli più preziosi
sono appesi al cielo immobile.

Tante sono le occasioni che ho perduto,
per ostinazione o cecità,
molte le strade abbandonate,
ancor più i traguardi non raggiunti,
e infinite le verità non viste per pura vanità.

Un gran numero le persone incontrate
lungo la vita e poi lasciate andare
dopo un accenno di sorriso
o senza neanche uno sguardo,
mentre si accumulavano dolcemente
gli strati della solitudine dell’anima,
e disinvolti si consumavano i giorni.

Non ricordo quante volte gli uccelli
hanno mangiato le briciole del ritorno,
ricordo però le lotte con la morte,
riconosciuta solo dal dolore
negli occhi delle persone amate.

Milioni di volte ho osservato
gli occhi di mio figlio colmi di sogni
e mai la smetterei di rispecchiarmi.
Migliaia di volte mi ha donato sorrisi
ed io carezze. Quante volte ancora
toccherò la sua guancia e quante volte
mi sarà dato di abbracciarlo?
Quante volte sono stato padre
e se ancora una volta saprò esserlo
non mi è dato sapere.

Neanche so valutare l’utilità dell’esistenza,
il dolore che ho provocato
e qual è la misura dell’espiazione,
o per quanti giorni ancora
saprò reggere lo sguardo freddo
della signora nera nell’ultima partita
e dell’ennesima sconfitta.
Come Raskol’nikov aspetterò
contrito la sentenza certa
per le tante bastonate inferte alla vita.
Ma prima di chiudere l’inventario
vorrei cancellare almeno uno dei dubbi
che riempiono registri a centinaia.

Mentre la vela, dunque, volge
verso la mia itaca definitiva,
io che ricordo legioni di illusioni
schierate come nell’assedio di Cartagine
che beffarde mi hanno guardato
in ogni giorno che sgranava via,
io che non ho costruito nessun tipo di difesa,
quando la rotta sarà solo un segno breve
sulla mappa, prima dell’approdo,
quando l’inventario sarà chiuso,
forse avrò ancora una residua illusione:
qualcuno conserverà di me
un ricordo.

dalla raccolta, ”Ritratti”. Apollo Edizioni, 2019


da: https://catalinafrancoblog.wordpress.com/2020/12/13/enzo-montano-socoteala-inventario/?fbclid=IwAR2A5rPkzmxLXRSURWMWI7WAjPHMMS5cxJ1A7lvtC7_haxocT_MH1qEiEVk
 

11 dicembre 2020

Autocoscienza (come FGL) - e.m.

William Turner, Tempesta di neve. Battello a vapore al largo di Harbour’s Mouth, 1842, Londra, Tate Gallery  
Autocoscienza (come FGL) - e.m.

Monotonia grigia
Non illumina il sole
Il vecchio ulivo
O l'antica torre

Mattino di dicembre
Non si vede il cielo
Né il mare
Né l'orizzonte.

Neanche si intravedono
I cento cavalieri neri
In viaggio
per chissà dove
Certo non vanno a Cordova
Né a Siviglia
Né a Granada
Né a Milano
 

 

Poema della periferia – Marina Cvetaeva

Joaquin Sorolla - Alqueria Valenciana
Poema della periferia – Marina Cvetaeva

E fino a quando il deserto della gloria
non avrà insabbiato le mie labbra,
canterò ponti e barriere –
i più semplici luoghi.

E finché non sarò impagliata tutta
nei lacci di anime oblique,
prenderò – la più tremenda nota,
canterò – l’ultima vita.

Il pianto delle ciminiere.
Il paradiso di orti.
La vanga e il dente.
Il ciuffo di imberbi.

Il giorno senza data.
Il salice malato.
La vita a nudo.
La puzza di sangue.

Di sudati e in carne,
di sudati e smunti:
“Scendiamo in piazza?”
Come nei quadri

soltanto, nelle odi solo
e sulle tele: urlo
di chi non ha lavoro,
ruggito di imberbi.

Inferno: in verità
sì, ma anche giardino –
per donne e soldati,
per cani sfiancati,
per ragazzini.

“Paradiso – come risse?
Senza gli ossi
dei banchetti?
Senza lussi?
Con toppe?”

- Invano avete pianto!
Giacché: a ciascuno
Il suo.

***
Qui – passioni bruciacchiate, arrugginite:
dinamite di Stati!
Qui gli incendi non sono rari:
sobborghi a fuoco!

Qui – odio all’ingrosso, in branco:
mitraglia di vendette!
Qui spesso si abbattono diluvi:
sobborghi a nuoto!

Qui si paga! Qui si giura su Dio
e sulla propria gobba!
Qui gioventù canta da sé
come di morte.

***
Qui le madri, addormentati i figli…
Croci, ponti, barriere – di periferie!

Qui i padri, venduta la figlia minore
per un bicchiere…
Ortica, sentieri…
- Lasciami
andare…

traduzione di Serena Vitale
da Marina Cvetaeva, Dopo la Russia, a cura di Serena Vitale
Corriere delle Sera - Un secolo di poesia, a cura di Nicola Crocetti
 

 

Riso - Wisława Szymborska

Joaquín Sorolla y Bastida - Time for a Bathe, Valencia, 1909
Riso - Wisława Szymborska

La ragazzina che ero -
la conosco, ovviamente.
Ho qualche fotografia
della sua breve vita.
Provo un'allegra pietà
per un paio di poesiole.
Ricordo alcuni fatti.

Ma,
perché chi è qui con me
rida e mi abbracci
rammento solo una storiella:
l'amore infantile
di quella bruttina.

Racconto
com'era innamorata di uno studente,
cioè voleva
che lui la guardasse.

Racconto
come gli corse incontro
con una benda sulla testa sana
perché almeno, ah, le chiedesse
cos'era successo.

Buffa piccina.
Come poteva sapere
che anche la disperazione dà benefici
se si ha la fortuna
di vivere più a lungo.

Le pagherei un dolcetto.
Le pagherei il cinema.
Vattene, non ho tempo.

Eppure vedi
che la luce è spenta.
Certo capisci
che la porta è chiusa.
Non scuotere la maniglia -
quello che ha riso,
quello che mi ha abbracciato,
non è il tuo studente.

Faresti meglio a tornare
da dove sei venuta.
Non ti devo nulla,
donna qualunque,
che sa solo
quando
tradire un segreto altrui.

Non guardarci così
con quei tuoi occhi
troppo aperti,
come gli occhi dei mort
i

da "Inni Omerici", Afrodite - Omero


Francois Boucher - The Toilet of Venus, 1751  
da "Inni Omerici", Afrodite - Omero

Come lo scorse, dunque, l’amica del riso Afrodite,
innamorò, la mente le invase terribile brama.
A Cipro venne, entrò nel suo tempio fragrante d’incensi,
a Pafo: un tempio qui possiede e un altare odoroso.
E poi ch'entrata fu, chiuse ch'ebbe le fulgide porte,
qui la lavarono allora le Càriti, l’unsero d’olio
ambrosio, quale sempre le membra dei Numi cosparge.
E, tutte quante cinta le membra di fulgide vesti,
adorna tutta d’oro, l’amica del riso Afrodite,
lasciò Cipro fragrante, si mosse alla volta di Troia,
alta, alle nuvole in mezzo, compiendo veloce il viaggio.
E giunse all'Ida irrigua di fonti, nutrice di fiere,
ed a la stalla mosse, diritta pel monte; e a lei contro,
scodinzolando, lupi, leoni dagli occhi di fuoco,
orsi, veloci pantere, che mai non si sazian di damme,
mosser. La Diva scòrse le fiere, fu lieto il suo cuore,
e infuse a tutte quante nel petto la brama d’amore;
e giacquer tutte a coppie per entro gli ombrosi covili.

trad. Ettore Romagnoli

 

da "Inni Omerici", Afrodite - Omero

 
 Marcantonio Franceschini - Venus anointing the dead Adonis
da "Inni Omerici", Afrodite - Omero

O Musa, narra a me d’Afrodite, signora di Cipro,
vaga dell’oro, le gesta. Fra i Numi la brama soave
d’amore suscitò, domò dei mortali le stirpi,
e degli uccelli che in aria si librano, e tutte le fiere,
quante la Terra, quante ne nutre l’Ocèano: a tutti
di Citerèa dalla vaga corona son 1 opere grate.
Solo di tre non potè né ingannar né convincere il cuore.
Non della figlia di Giove, d’Atcna dagli occhi azzurrini.
L’opere a lei non son grate di Cipride amica dell’oro,
bensi grate le sono di Marte le imprese, le guerre,
le zuffe, le battaglie, le fulgide gesta compiute.
Essa per prima istruì gli artefici industri mortali
a costruire i carri, i cocchi intarsiati di bronzo,
essa nell opere egregie fe’ sperte le vergini molli,
ché nella casa entrò di ciascuna e ispirarne la mente.
Neppur la Dea ch’à d’oro le frecce, che gode ai clangori,
Artemide, irreti nell’amor la ridente Afrodite:
ché a lei piacciono gli archi, le cacce di fiere pei monti,
piaccion le cetre, le danze, le grida che giungono al cielo,
piacciono le città dei giusti e gli ombriferi boschi.

trad.Ettore Romagnoli


 

Mezzo vestita - Akiko Yosano

 Frans Wouters - Marte e Venere, 1625/1649, olio xu tela 163 x 186 cm
Mezzo vestita - Akiko Yosano

Mezzo vestita
di una seta leggera
dal colore rosso pallido…
non pensare male: di’ loro
che si sta godendo la luna…
 
 

 

10 dicembre 2020

''Trandafirul - La rosa''- Enzo Montano

 ''Trandafirul - La rosa''- Enzo Montano

Trecătoarea frumoasă,
își flutură
larga-i rochie înflorată
când deodată
o rafală răutăcioasă
i-arată, frumoase, picioarele.
O oprește un tânăr
cu roze roșii în mână:
- scuză-mă, domnișoară,
pot să-ți ofer o floare?
Un surâs luminos
întunecă soarele,
- Mulțumesc, îmi plac rozele.
Aduc mulțumire și
ochii albastru cobalt:
- Dar gândul frumos
pentru ce?
- Pentr-un surâs
și fiindcă viața-i frumoasă.

Un semn cu mâna deschisă larg
și larga rochie înflorată
dispare dansând.

-traducere de Catalina Franco-
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La bella passante,
ampio vestito a fiori
svolazzante,
un refolo malizioso
mostra le belle gambe.
La ferma un giovane
con delle rose rosse tra le mani:
- mi scusi signorina,
posso donarle una rosa?
Un sorriso luminoso
oscura il sole,
- Grazie, amo le rose.
Ringraziano anche
gli occhi blu cobalto:
- Perché questo
bellissimo pensiero?
- Per un sorriso
e perché la vita è bella.

Un saluto con la mano aperta
e l’ampio vestito a fiori
danzando si allontana.
 

La rosa - e.m.

La rosa - e.m.
 
La bella passante,
ampio vestito a fiori
svolazzante,
un refolo malizioso
mostra le belle gambe.
La ferma un giovane
con delle rose rosse tra le mani:
- mi scusi signorina,
posso donarle una rosa?
Un sorriso luminoso
oscura il sole,
- Grazie, amo le rose.
Ringraziano anche
gli occhi blu cobalto:
- Perché questo
bellissimo pensiero?
- Per un sorriso
e perché la vita è bella.
 
Un saluto con la mano aperta
e l’ampio vestito a fiori
danzando si allontana.
 

 

L'isola - Giuseppe Ungaretti

 Jean Baptiste Camille Corot - Evocation of Love, 1850/1855, olio su tela 
L'isola - Giuseppe Ungaretti

A una proda ove sera era perenne
di anziane selve assorte, scese,
e s'inoltrò
e lo richiamò rumore di penne
ch'erasi sciolto dallo stridulo
batticuore dell'acqua torrida,
e una larva (languiva
e rifioriva) vide;
ritornato a salire vide
ch'era una ninfa e dormiva
ritta abbracciata a un olmo.
In sé da simulacro a fiamma vera
errando , giunse a un prato ove
l'ombra negli occhi s'addensava
delle vergini come
sera appiè degli ulivi;
distillavano i rami
una pioggia pigra di dardi,
qua pecore s'erano appisolate
sotto il liscio tepore,
altre brucavano
la coltre luminosa;
le mani del pastore erano un vetro
levigato da fioca febbre.

 

Nel tacito, oscuro cammino - Percy Bysshe Shelley

Jean Baptiste Camille Corot - Marietta ou Odalisque Romaine, 1843, olio su tela. MusÈe des Beaux-Arts de la Ville de Paris, Petit Palais
Nel tacito, oscuro cammino - Percy Bysshe Shelley

Nel tacito, oscuro cammino
anche la brezza già muore
si spegne sul piccolo petto
dell'usignolo il lamento,
come su di te io cadrei
per come, amata, ti sento
sollevami dall'erba dove muoio
irrora di pioggia mai stanca di baci
gli occhi sfiniti
la bocca immobile, bianca
ho sussulti d'aneliti profondi
ho pallido, freddo il viso
oh stringi il mio cuore sul tuo
fino a che taccia.


 

Un'adolescente - Wisława Szymborska

Jean Baptiste Camille Corot - Il riposo, 1865/1870, olio su tela 57.8 × 101.6 cm, The National Gallery of Art, Londra 
Un'adolescente - Wisława Szymborska
 
Io – un’adolescente?
Se ora, d’improvviso, si presentasse qui,
dovrei salutarla come una persona cara,
benché mi sia estranea e lontana?
Versare una lacrimuccia, baciarla sulla fronte
per la sola ragione
che la nostra data di nascita è la stessa?
Siamo così dissimili
che forse solo le ossa sono le stesse,
la calotta cranica, le orbite oculari.
Perché già gli occhi è come fossero più grandi,
le ciglia più lunghe, la statura più alta
e tutto il corpo è fasciato
dalla pelle liscia, senza un’imperfezione.
In verità ci legano parenti e conoscenti,
ma nel suo mondo di questa cerchia comune
sono quasi tutti vivi,
mentre nel mio quasi nessuno.
Siamo così diverse,
i nostri pensieri e parole così differenti.
Lei sa poco -
ma con un’ostinazione degna di miglior causa.
Io so molto di più -
ma non in modo certo.
Mi mostra delle poesie,
scritte con una grafia nitida, accurata,
con cui io non scrivo più da anni.
Leggo quelle poesie, le leggo.
Be’, forse quest’unica,
se fosse accorciata
e corretta qua e là.
Dal resto non verrà nulla di buono.
La conversazione langue.
Sul suo modesto orologio
il tempo è ancora incerto e costa poco.
Sul mio è molto più caro ed esatto.
Per commiato nulla, un sorriso abbozzato
e nessuna commozione.
Solo quando sparisce
e nella fretta dimentica la sciarpa -
Una sciarpa di pura lana,
a righe colorate,
che nostra madre
ha fatto per lei all’uncinetto.
La conservo ancora.

 

La luce caduta della notte – Alejandra Pizarnik

Jean Baptiste Camille Corot - Jeune femme etendue sur l'herbe
La luce caduta della notte – Alejandra Pizarnik

spargi sfinge
il tuo pianto sul mio delirio
cresci cosparsa di fiori nella mia attesa
perché la salvezza celebra
l’abbondanza del nulla

spargi sfinge
la pace dei tuoi capelli di pietra
sul mio sangue rabbioso

io non capisco la musica
dell’ultimo abisso
io non so del sermone
del braccio di edera
ma voglio appartenere all’uccello innamorato
che trascina le ragazze
ebbre di mistero
amo l’uccello sapiente in amore
l’unico libero

Trad. Florinda Fusco
 

 

Arthur Rimbaud - Arthur Rimbaud

 Jean Baptiste Camille Corot - Bacchante by the sea
Le repliche di Nina - Arthur Rimbaud
… … . .
LUI. – Col tuo petto sul mio petto,
noi andremo, vuoi?
riempendoci le nari d’aria pura
ai freschi raggi
del mattino azzurro, immersi
in un vino di luce…
Quando il bosco fremendo sanguina,
muto d’amore,
da ogni ramo, le verdi gocce
dei suoi chiari germogli,
senti, nelle cose dischiuse,
un fremito di carne.
Tu abbandonerai fra l’erba medica
la tua vestaglia candida;
rosa diventerà quel blu che cerchia
i tuoi grandi occhi neri.
Piena d’amore per la campagna
spargendo ovunque,
come schiuma di champagne,
le tue pazze risate,
riderai della mia brutale ebbrezza,
ed io ti prenderò,
così, per la tua bella treccia,
e berrò
il tuo sapor di fragole e lampone,
o carne in fiore!
Riderai al vento vivo che ti bacia
come un ladro
alla rosa di macchia che amabilmente
ti importuna:
riderai soprattutto, testa matta;
al tuo amante!…
… … . .
Diciassett’anni! Tu sarai felice!
O grandi prati
e campi sprigionanti amore!
– Su, vieni più vicino!…
– Col tuo petto sul mio petto,
fondendo le nostre voci,
lenti, raggiungeremo il fiume,
e poi i grandi boschi!…
Allora, come una bimba morta,
col cuore in estasi,
socchiudendo gli occhi, chiederai
che io ti porti…
Ed io ti porterò; palpitante,
lungo il sentiero;
mentre gli uccelli fischieranno
un motivetto…
Io parlerò nella tua bocca;
e me ne andrò, stringendo
il tuo corpo, come se cullassi un bimbo,
ebbro del sangue
che ti scorre azzurro sotto la pelle chiara
dai toni rosati:
e francamente ti dirò quelle cose
che tu sai…
I nostri grandi boschi sapran di linfa
e il sole
cospargerà d’oro il loro grande sogno
verde e vermiglio…
… … . .
La sera?… riprenderemo quella strada
bianca che va
gironzolando, come un gregge al pascolo,
tutt’ intorno
ai frutteti dall’erba azzurra
e ai meli contorti!
Per una lega intera si sparge
il loro acre profumo!
Faremo ritorno al paese
all’ imbrunire;
ci sarà odor di latte munto
nell’aria della sera;
ci sarà odor di stalle colme
di caldo letame,
di fiati cadenzati e lenti,
e di dorsi possenti
biancheggianti sotto qualche lume,
e laggiù, in fondo,
una vacca lascerà cadere sterco, fiera
ad ogni passo…
– Ecco gli occhiali della nonna
ed il suo lungo naso
nel messale; il boccale di birra
cerchiato di piombo
spumeggiante fra le grosse pipe
che fumano come
caminetti; i labbroni spaventosi
che, ancora fumante,
azzannano voraci il prosciutto
dai loro forchettoni:
il fuoco rischiara i pagliericci
e i vecchi cassettoni;
ecco il sederino lucido e paffuto
di un grosso bambino
che fruga, carponi, fra le tazze;
il suo bianco visetto
sfiorato da un muso che ringhia
con amore,
e lecca il viso tondo
del caro piccolino…
Nera ed arcigna, sull’orlo della sedia,
paurosa immagine,
una vecchia davanti al focolare
fila la lana;
Quante cose vedremo, amore mio,
in quei tuguri,
quando la fiamma viva illumina
le finestre grigie!..
– Poi, minuscolo e sepolto
fra i lillà
freschi e neri, un vetro nascosto
che ride laggiù…
Tu verrai, verrai; io ti amo!
Sarà bello, vedrai.
Tu verrai, non è vero? e poi…
LEI. – Ed il mio ufficio?
 
15 agosto 1870

Trad. Laura Mazza 


 

Via Lattea - Akiko Yosano


dipinto di Viktor Sheleg
Via Lattea - Akiko Yosano

Via Lattea:
a letto, con lui,
apro la tenda
e guardo come, all’alba,
si separano due stelle.
 

Che essere umano - Akiko Yosano


dipinto di Viktor Sheleg 
Che essere umano - Akiko Yosano

Che essere umano
potrebbe punirmi?
Non è il candore del mio braccio,
che accolse la sua testa,
degno di un dio?

 

Ho sentito, non so perché - Akiko Yosano

 
dipinto di Viktor Sheleg
Ho sentito, non so perché - Akiko Yosano

Ho sentito, non so perché
che tu mi aspettavi
e sono uscita – Nella notte
improvvisa spuntò la luna
sui campi in fiore.