31 luglio 2018

da "Una questione privata" - Beppe Fenoglio

da "Una questione privata" - Beppe Fenoglio

Rimasero tutti sbalorditi. Poi il vecchio domandò a Milton come avesse fatto ad infangarsi così.
Milton arrossì, inspiegabilmente. - Sono caduto in discesa e sono scivolato di petto per molti metri.
- Verrà pure quel giorno, - disse il vecchio guardando Milton con troppa intensità.
- Certo che verrà, - rispose Milton e richiuse la bocca. Ma il vecchio insisteva a fissarlo con un'avidità insoddisfatta, forse praticamente insaziabile. - Certo che verrà, - ripeté Milton.
- E allora, - disse il vecchio, - non ne perdonerete nemmeno uno, voglio sperare.
- Nemmeno uno, - disse Milton. - Siamo già intesi.
- Tutti, tutti li dovete ammazzare, perché non uno di essi merita di meno. La morte, dico io, è la pena più mite per il meno cattivo di loro.
- Li ammazzeremo tutti, - disse Milton. - Siamo d'accordo.
Ma il vecchio non aveva finito. - Con tutti voglio dire proprio tutti. Anche gli infermieri, i cucinieri, anche i cappellani. Ascoltami bene, ragazzo. Io ti posso chiamare ragazzo. Io sono uno che mette le lacrime quando il macellaio viene a comprarmi gli agnelli. Eppure, io sono quel medesimo che ti dice: tutti, fino all'ultimo, li dovete ammazzare. E segna quel che ti dico ancora. Quando verrà quel giorno glorioso, se ne ammazzerete solo una parte, se vi lascerete prendere dalla pietà o dalla stessa nausea del sangue, farete peccato mortale, sarà un vero tradimento. Chi quel gran giorno non sarà sporco di sangue fino alle ascelle, non venitemi a dire che è un buon patriota.
- State tranquilli, - disse Milton muovendosi. -Siamo tutti d'accordo. Piuttosto di pensare di perdonarne uno solo...

da "L'urlo e il furore" - William Faulkner

da "L'urlo e il furore" - William Faulkner
.....
I rintocchi tornarono a farsi sentire: la mezza. Stavo dritto sulla pancia della mia ombra ad ascoltare i colpi spaziati e tranquilli che scivolavano sui raggi del sole, tra le foglie rade, immobili e piccine. Spaziati e pacifici e sereni, con quel che d'autunnale che hanno sempre le campane anche nel mese delle giovani spose. Disteso per terra sotto la finestra ad urlare La guardò una sola volta e capì. Dalla bocca dei fanciulli. I lampioni i rintocchi cessarono. Tornai all'ufficio postale, pestando la mia ombra sul marciapiede. vanno giù per la collina poi risalgono verso la città come lanterne appese al muro l'una sopra l'altra. Perché vuol bene a Caddy, disse il babbo, perché ama la gente con tutti i suoi difetti. zio Maury, a gambe larghe davanti al fuoco, doveva allungare una mano quanto bastava per brindare al Natale. Jason corse avanti, con le mani in tasca, cadde per terra e rimase là disteso come un pollo già legato fino a quando Versh lo tirò su. Perchè non tieni le mani fuoti dalle tasche quando corri? Così almeno potresti alzarti in piedi Girando la testa nella culla, rovesciandola tutta all'indietro. Caddy disse a Jason che Versh aveva detto che se zio Maury non lavorava era perché da piccolo girava la testa nella culla.
Shreve veniva su per il marciapiede, dinoccolato, serio nella sua grassezza, con gli occhi luccicanti sotto le foglie in movimento come due piccoli specchi d'acqua.
.......

da "Le nozze di Cadmo e Armonia" - Roberto Galasso

 da "Le nozze di Cadmo e Armonia" - Roberto Galasso

Sulla spiaggia di Sidone un toro tentava di imitare un gorgheggio amoroso. Era Zeus. Fu scosso da un brivido, come quando i tafani lo pungevano. Ma questa volta un brivido dolce. Eros gli stava mettendo sulla groppa la fanciulla Europa. Poi la bestia bianca si gettò in acqua, e il suo corpo imponente ne emergeva abbastanza perché la fanciulla non si bagnasse. Lo videro in molti. Tritone, con la sua conchiglia sonora, rispose al mugghio nuziale. Europa, tremante, si teneva aggrappata a uno dei lunghi corni del toro. Li vide anche Borea, mentre fendevano le acque. Malizioso e geloso, fischiò alla vista di quei seni acerbi che il suo soffio scopriva. Atena arrossì spiando dall'alto il padre cavalcato da una donna. Anche un marinaio acheo li vide, e allibì. Era forse Teti, curiosa di vedere il cielo? O una Nereide soltanto, e per una volta vestita? O Poseidone ingannatore aveva rapito un'altra ragazza?
Europa intanto non vedeva la fine di quella pazza navigazione. Ma immaginava la sua sorte, quando avessero ritrovato la terra. E gridò un messaggio ai venti e alle acque:" Dite a mio padre che Europa ha lasciato la sua terra in groppa a un toro, mio rapitore, mio marinaio, mio - suppongo - futuro compagno di letto. Date, vi prego, a mia madre questa collana". Stava per invocare anche Borea, perchè la sollevasse con le sue ali, come aveva fatto con la sua sposa, l'ateniese Oritia. Ma si morse la lingua: perchè passare da un rapitore a un altro?

Ma come era cominciato tutto? Un gruppo di ragazze giocava lungo un fiume, raccogliendo fiori. Numerose altre volte una scena del genere sarebbe apparsa irresistibile agli dèi. Persefone venne rapita "mentre giocava con fanciulle dal seno profondo" e raccoglieva rose, crochi, viole, iris, giacinti, narcisi. Sopratutto il narciso, "prodigioso fiore raggiante, venerabile alla vista, quella volta, per tutti, per gli dèi immortali e per gli uomini mortali". E Talia venne artigliata da Zeus in forma di aquila mentre giocava a palla tra i fiori su un monte. E Creusa senti i suoi polsi serrati dalle mani di Apollo mentre raccoglieva i fiori di zafferano sulle pendici dell'acropoli di Atene. Anche Europa e le sue amiche stavano cogliendo narcisi, giacinti, violette, rose, timo. A un tratto si videro accerchiate da un branco di tori. Fra questi uno di un bianco abbagliante ( ... )

da Nemico, amico, amante… di Alice Munro

da Nemico, amico, amante… di Alice Munro
(…)
Il temporale aveva messo fine alla festa in piscina. C’era troppa gente perché si potesse pensare di ammucchiarsi tutti dentro casa, e gli ospiti con bambini avevano preferito andare via.
Durante il tragitto di ritorno in macchina, sia Mike sia io avevamo notato una sensazione di bruciore, un prurito acuto e diffuso sugli avambracci, sul dorso delle mani e intorno alle caviglie. Tutte le parti del corpo che non erano state protette dai vestiti, quando ci eravamo accucciati nell’erba. M ricordai delle ortiche.
Seduti nella cucina di campagna di Sunny, ormai in abiti asciutti, raccontammo la nostra avventura e mostrammo lo sfogo sulla pelle.
Sunny sapeva che cosa fare per noi. La corsa del giorno prima con Claire al pronto soccorso dell’ospedale locale non era certo stata la prima. In un precedente fine settimana i ragazzi si erano incamminati in un prato incolto dal fondo fangoso alle spalle del granaio ed erano rientrati coperti di chiazze e di bolle. Il dottore disse che dovevano essere finiti in mezzo alle ortiche. ce dovevano essercisi rotolati dentro, così disse. Ordinò impacchi freddi, un antistaminico e delle pastiglie. Era avanzata un po’ di lozione antistaminica, e anche qualche pastiglia, perché Mark e Gregory si erano ripresi in fretta.
Rifiutammo le pillole: il nostro caso non pareva abbastanza grave.
Sunny disse che aveva parlato con la signora sulla statale, quella che le faceva il pieno dell’auto, e la donna le aveva detto che esisteva una pianta dalle cui foglie si ricavava il miglior cataplasma contro il prurito da ortiche. non c’è bisogno di pillole o altri pasticci, aveva detto. La pianta aveva un nome tipo piede di vitello. Piede di qualcosa. la donna le aveva detto che si poteva trovare su una certa strada, nei pressi di un ponte.
Sunny era pronta a cercarla. Le piaceva l’idea di un rimedio popolare. Dovemmo farle notare che l’antistaminico era già in casa, pagato.
Le piaceva curarci. Anzi, il nostro stato di salute mise di buonumore l’intera famiglia, stanando i membri dalla depressione prodotta dalla giornata di pioggia e dai programmi saltati. Il fatto che avessimo deciso di andarcene per conto nostro e che avessimo avuto quell’avventura – un’esperienza che aveva lasciato i segni sul nostro corpo – pareva aver risvegliato in Sunny e Johnston la voglia scherzare. Occhiate buffe da parte di lui, un’allegra solerzia da parte di lei. Se fossimo tornati con i segni di una condotta sconveniente – infiammazione sulle natiche, chiazze rosse su cosce e pancia – non si sarebbero certo mostrati altrettanto indulgenti e gentili.
I ragazzi trovavano divertente vederci seduti con i piedi a bagno e braccia e mani avvolte nelle pezze di tela. Claire in particolare trovava esilarante la vista dei nostri stupidi piedi da adulti. Mike dimenò per bene le dita, apposta per lei, procurandole allarmanti scoppi di risa.
Comunque. Sarebbe la stessa identica cosa, se ci incontrassimo ancora. oppure no. Un amore non utilizzabile, che sapeva stare al suo posto (qualcuno lo definirebbe non vero, perché non rischierebbe mai di farsi tirare il collo, né di trasformarsi in una battuta volgare, né di consumarsi penosamente). Un amore che non rischia niente, ma che si mantiene vivo come una goccia di miele, una risorsa sotterranea. Con il peso di questo nuovo silenzio venuto a sigillarlo.
Non chiesi mai a Sunny notizie di lui, né lei me ne diede, in tutti gli anni che la nostra amicizia impiegò a morire.

Quelle piante dai grandi fiori rosa-vioolacei non sono ortiche. Ho scoperto che si chiamano eupatorium purpureum. Le ortiche nelle quali dovevamo essere finiti sono una specie assai più ordinaria, dai fiori viola più pallido, spine urticanti. Dovevano esserci anche quelle, inosservate, in mezzo al rigoglio del prato incolto.
(…)

30 luglio 2018

Wladimir Majakovskij - La blusa del bellimbusto

Wladimir Majakovskij - La blusa del bellimbusto

Io mi cucirò neri calzoni
del velluto della mia voce.
E una gialla blusa di tre tese di tramonto.
Per i Nevskij de mondo, per le sue strisce levigate
andrò girellando col passo di Don Giovanni e di bellimbusto.

Gridi pure la terra rammollita nella quiete:
"Tu vieni a violentare le verdi primavere!"
Sfiderò il sole con un sogghigno arrogante:
"Sul liscio asfalto mi piace biascicar parole!"

Sarà forse perchè il cielo è azzurro
e la terra mia amante in questa nettezza festiva,
che io vi dono dei versi allegri come ninnoli,
aguzzi e necessari come stuzzicadenti.

Donne che amate la mia carne e tu, ragazza
che mi guardi come un fratello,
coprite me, poeta, di sorrisi:
li cucirò come fiori sulla mia blusa di bellimbusto.

1914


trad. di A. M. Ripellino

Harry Potter e i Doni della Morte - J.K. Rowling

 Harry Potter e i Doni della Morte - J.K. Rowling
-«Ho fatto la spia per te, ho mentito per te, ho corso rischi mortali per te. Credevo che servisse a proteggere il figlio di Lily Potter. Adesso mi dici che l’hai allevato come una bestia da macello…»
«Ma è commovente, Severus» osservò Silente, serio.«Ti sei affezionato al ragazzo, dopotutto?»
«A lui?» Urlò Piton «Expecto Patronum!»
Dalla punta della sua bacchetta affiorò la cerva d’argento: atterrò sul pavimento dell’ufficio, fece un balzo e si tuffò fuori dalla finestra. Silente la guardò volar via e quando il suo bagliore argenteo svanì si rivolse a Piton, con gli occhi pieni di lacrime.
«Dopo tutto questo tempo?»
«Sempre» rispose Piton.

A ciacuno il suo - Leonardo Sciascia

A ciacuno il suo - Leonardo Sciascia
 
La lettera arrivò con la distribuzione del pomeriggio. Il postino posò prima sul banco, come al solito, il fascio versicolore delle stampe pubblicitarie; poi con precauzione, quasi ci fosse il pericolo di vederla esplodere, la lettera: busta gialla, indirizzo a stampa su un rettangolino bianco incollato alla busta.
"Questa lettera non mi piace" disse il postino.
Il farmacista levò gli occhi dal giornale, si tolse gli occhiali; domandò "Che c'è?" seccato e incuriosito.
"Dico che questa lettera non mi piace." Sul marmo del banco la spinse con l'indice, lentamente, verso il farmacista.
Senza toccarla il farmacista si chinò a guardarla; poi si sollevò, si rimise gli occhiali, tornò a guardarla.
"Perché non ti piace?"

1984 - George Orwell

1984 - George Orwell
Il Partito raccomandava di non badare alla prova fornita dai propri occhi e dalle proprie orecchie. Era l'ordine finale, il più essenziale di tutti. Il suo cuore ebbe un tuffo al pensie­ro dell'enorme potere spiegato contro di lui, della facilità con cui ognuno dei cosiddetti intellettuali del Partito lo avrebbe potuto rovesciare sul tappeto della discussione, de­gli argomenti sottili ch'egli non sarebbe stato in grado di comprendere, e tanto meno di controbattere con adeguate risposte. Eppure lui aveva ragione! Loro avevano torto e lui aveva ragione. Le cose ovvie, le cose semplici, le cose vere dovevano essere difese. Le verità evidenti erano vere, non ci potevano essere dubbi, su questo! Il mondo concreto esi­ste, le sue leggi non mutano. Le pietre sono dure, l'acqua è liquida, gli oggetti privi di sostegno cadono verso il centro della terra.

29 luglio 2018

parola carnale 10 - Yiannis Ritsos

Piero di Cosimo - Venere, Marte e Amore, databile al 1490 circa e conservato nella Gemäldegalerie di Berlino.
Parola carnale 10 - Yiannis Ritsos

Tutti i corpi che ho toccato, che ho visto, che ho preso, che ho sognato, tutti
sono addensati nel tuo corpo. O, tu carnale Diotima
nel gran simposio dei Greci. Se ne sono andate le flautiste,
se ne sono andati filosofi e poeti. I begli efebi dormono già
lontano, nei dormitori della luna. Tu sei sola
nella preghiera che levo. Un sandalo bianco
dai lunghi lacci bianchi è legato alla gamba della sedia. Sei l´oblio assoluto;
sei il ricordo assoluto. Sei la non incrinata fragilità. Fa giorno.
Fichi d´India carnosi scagliati dalle rocce. Un sole rosa
immobile sul mare di Monemvasià. La nostra duplice ombra
si dissolve alla luce sul pavimento di marmo pieno di sigarette calpestate,
coi mazzetti di gelsomini infilati negli aghi di pino. O, carnale Diotima,
tu che mi hai partorito e che ho partorito, è ora
che partoriamo azioni e poesie, che usciamo nel mondo. Davvero, non scordare
quando vai al mercato di comprare mele in abbondanza,
non quelle d´oro delle Esperidi, ma quelle grosse e rosse, che quando affondi
nella polpa croccante i tuoi splendidi denti resta impresso,
come un´eternità sui libri, pieno di vita il tuo sorriso.

Trattato di baci - Magda Zavala

dipinto di Kenton Nelson
Trattato di baci - Magda Zavala

Mi baciavi con tutta la bocca.
Tanto da pensare che nulla avresti lasciato per te.

Con la robusta freschezza della frutta turgida, le tue labbra.
La tua lingua, un mollusco abile
e sorridente.

Il tuo alito mi baciava nelle orecchie
e il rumore sibilante, oscuro,
dei tuoi inviti.

Talvolta mi baciasti nella distanza del corpo.

Sono stata nella tua bocca, nelle tue labbra, nella tua saliva,
nella breve pressione dei tuoi denti,
nel saggio percorso del tuo olfatto.

Mille volte sono stata nei tuoi sorsi di idromele,
fino a quando restò soltanto
un tocco di addio
sulle guance.

Lingua vinaccia di sole flagellato Octavio Paz

dipinto di Fabian Perez
Lingua vinaccia di sole flagellato Octavio Paz

Lingua vinaccia di sole flagellato
lingua che lambisce il tuo paese d’insonni dune
chioma
lingua di fruste
linguaggi
snodati sulla tua schiena
intrecciati
sui tuoi seni
scrittura che ti scrive
con gli sproni delle lettere
ti nega
con i tizzoni dei segni
vestito che ti sveste
scrittura che ti veste di enigmi
scrittura in cui mi seppellisco
Chioma
grande notte improvvisa sul tuo corpo
giara di vino caldo
versato
sulle tavole della legge
nodo d’urli e nube di silenzi
grappolo di serpi
grappolo d’uva
pestata
dalle gelide piante della luna
pioggia di mani di foglie di dita di vento
sul tuo corpo
sul mio corpo sul tuo corpo
Chioma
fogliame dell’albero d’ossa
l’albero di aeree radici che suggon notte dal sole
Albero carnale
Albero mortale

Come sei bella! - Yiannis Ritsos

                              Giovanni Francesco Barbieri (il Guercino) - Venere, Marte e Amore
Come sei bella! - Yiannis Ritsos
 
Come sei bella. La tua bellezza mi spaventa. Ho fame di te. Ho sete di te.
Ti supplico: nasconditi; renditi invisibile a tutti; visibile solo a me; coperta
dalle punte dei piedi ai capelli da un velo nero trasparente
screziato dei sospiri d´argento di lune primaverili. I tuoi pori emettono
vocali, consonanti di desiderio; si articolano parole segrete;
eruzioni rosa dall´atto dell´amore. Il tuo velo si gonfia, splende
sulla città annottata coi bar fiochi, le osterie sul mare;
la farmacia notturna illuminata da proiettori verdi, una sfera di vetro
rotea velocemente mostrando paesaggi della terra. L´ubriaco barcolla
in una bufera portata dal respiro del tuo corpo. Non andare. Non andare.
Così materiale e inafferrabile. Un toro di pietra
salta sull´erba secca dal frontone. Una donna nuda sale la scala di legno
con una bacinella d´acqua calda. Il vapore le nasconde il viso. Alto nell´aria
un elicottero in perlustrazione ronza in un punto indefinito. Mettiti in salvo.
Cercano te. Nasconditi più in fondo tra le mie braccia. Il pelo
della coperta rossa che ci copre cresce incessantemente,
diventa un´orsa incinta la coperta. E sotto l´orsa rossa
ci amiamo infinitamente, oltre il tempo e oltre la morte,
in un´unica unione universale. Come sei bella. La tua bellezza mi spaventa.
E ho fame di te. E ho sete di te. E ti supplico: nasconditi.

Nudo il tuo corpo - Yiannis Ritsos

dipinto di Victoria Novak
Nudo il tuo corpo - Yiannis Ritsos

Nudo il tuo corpo,
autentico –
risposta definitiva al niente.
Vieni.

Tutta notte
il tuo nome
mi cinguetta in bocca,
mi beve la saliva,
mi beve.
Il tuo nome.

Le mie mani ti ricordano
più profondamente della memoria

Due mesi senza incontrarci.
Un secolo
e nove secondi.

Mediterraneo – Francesca Pogliano

opera di Shawa Laila
Mediterraneo – Francesca Pogliano

Una grande agorà:
uomini, saperi e colori
si incontrano
e compongono un
immenso archivio
di saggezza
da cui l’anima mediterranea
si libera,
leggera.
uno sconfinato cimitero:
un’unica tomba blu,
immensa e profonda,
che accoglie persone
senza nome
che hanno percorso
territori
nella speranza di
raggiungere
le acque di Ulisse.

Le cose che non dicevi mai, proprio quelle - Ghiannis Ritsos

dipinto di Fabian Perez
Le cose che non dicevi mai, proprio quelle - Ghiannis Ritsos

Le cose che non dicevi mai, proprio quelle
davano sangue alle parole che dicevi e che restavano in aria
sospese, ambigue, come note inspiegabili
di una futura musica notturna. Ora
non hai più niente da dire, giacché non hai niente da
nascondere. Il silenzio
ti chiude completamente fuori dagli eventi
a sentire le giovani motociclette giù sulla litoranea
a sentire i fischi delle navi "Sàmena", "Ikaros", "Egeo",
che navigavano giorno e notte tra alterne bonacce e tempeste
con destinazione finale il grande Ormeggio oscuro.

Le mie labbra - Yiannis Ritsos

dipinto di Kenton Nelson
Le mie labbra - Yiannis Ritsos

Le mie labbra
percorrono il tuo orecchio.
Così minuto e tenero
come può contenere
tutta la musica?

Bello il tuo corpo - Yiannis Ritsos

Fernando Botero - Donna allo specchio
Bello il tuo corpo - Yiannis Ritsos

Bello il tuo corpo.
Infinito il tuo corpo.
Mi sono perso nell’infinito.

“Altro che rivoluzione, ci vogliono asserviti” - GIORGIO SANTELLI


 Vignetta di Claudio Cadei

da “il Fatto Quotidiano” del 29 luglio 2018
Da viale Mazzini
Giorgio Santelli: “Di Maio diceva di volerci liberare dalla politica, invece ha fatto come gli altri”
“Altro che rivoluzione, ci vogliono asserviti”
Se si voleva cambiare bastava un decreto per definire le nuove fonti di nomina Invece vogliono solo normalizzare l’azienda
 GIORGIO SANTELLI *

Caro direttore, sono un giornalista Rai arrabbiato e amareggiato. Oggi come ieri. Non è che l’indignazione passi sulla base del politico di turno che mette le mani su un bene pubblico a seconda che sia più o meno vicino all’appartenenza culturale di ciascuno.
 ERO UN GIORNALISTA indignato quando dalla Rai cacciarono Biagi, Santoro e Luttazzi.
Ero un giornalista indignato insieme ad Articolo 21 con Federico Orlando e Sergio Lepri quando la Rai con la legge Gasparri finiva sempre più sotto il controllo della politica. Restavo un giornalista indignato quando si tentava con la legge sulle intercettazioni di togliere agibilità al lavoro dei cronisti. Ero un giornalista indignato quando la legge di riforma della governante Rai poneva il servizio pubblico ancor più sotto il controllo del governo nella passata legislatura. Sono ancora indignato oggi quando un vicepresidente del Consiglio dice che comincia la rivoluzione in Rai cacciando raccomandati e parassiti, indicando all’opinione pubblica un mondo da trattare con disprezzo, nel suo complesso, sparando nel mucchio. Indignato perché indica anche il nome del presidente della Rai quando, per legge, spetterebbe al nuovo consiglio nominarlo, senza alcuna indicazione politica.
Sono indignato perché di fronte a questi attacchi nessun nuovo membro del consiglio di amministrazione della Rai ha proferito parola, nemmeno quello eletto da noi dipendenti. E sono indignato perché quelle parole di disprezzo arrivano da chi, da quando è entrato in Parlamento, dice di voler togliere il peso della politica dalla Rai. Invece ha utilizzato quella stessa legge per arrivare a nuove nomine.
NON POTEVA fare come per il decreto Dignità? Non poteva, per decreto, definire le nuove fonti di nomina e arrivare a un nuovo Cda che davvero definisse l’inizio di quella rivoluzione che oggi, invece, non ha altro obiettivo che quello di normalizzare la Rai asservendola nuovamente ai vincitori del tempo corrente? I dipendenti della Rai, tutti i dipendenti, non vedono l’ora di poter lavorare in autonomia, forti della loro indipendenza e professionalità, capaci di lavorare a produzioni interne senza dovere accettare che si dia sempre più spazio agli appalti esterni per soddisfare le esigenze della politica. Perché questo è. Poi parassiti e raccomandati ci sono? Probabilmente sì, come in ogni comunità, come in ogni azienda. Ma il raccomandato, senza raccomandazione, non esiste in natura.
E la raccomandazione, quando arriva, viene per lo più dalla politica.
Se la Rai soffre di questo male, allora, ancora una volta il problema non sta a viale Mazzini o a Saxa Rubra ma forse a Palazzo Madama e a Montecitorio. E a quanto pare chi c’è ora lì, farà come altri hanno fatto in passato. Se il buongiorno si vede dal mattino, i primi segnali dicono questo. Nomine e casting compresi.

* giornalista Rai

28 luglio 2018

Danza sul filo - Adel Karasholi

opera di Laila Shawa
Danza sul filo - Adel Karasholi

Danza sul filo
E così mi parlò Abdullah
L’ignoto è alla tua destra
E l’ignoto è alla tua sinistra
Perché stai danzando su un filo
E disse
La domanda è d’intralcio per la domanda
Così pure la risposta per la risposta
Perché stai danzando su un filo
E disse
Né l’Oriente è Oriente
Né l’Occidente è Occidente dentro di te
Perché stai danzando su un filo
E disse
Chiudi gli occhi
E corri più veloce che puoi
Perché stai danzando su un filo

Traduzione di Lorenzo Mari

Jacques Prévert – Simple comme bonjour

Dipinto di Lucio Amitrano
Jacques Prévert – Simple comme bonjour

L’amour est clair comme le jour
l’amour est simple comme bonjour
l’amour est nu comme la main
c’est ton amour et le mien
pourquoi parler du grand amour
pourquoi chanter la grand vie?
Notre amour est heureux de vivre
et ça lui suffit.

C’est vrai l’amour est très heureux
et même un peu trop… peut-être
et quand on a fermé la porte
rêve de s’enfuir par la fenêtre

Si notre amour voulait partir
nous ferions tout pour le retenir
que serait notre vie sans lui
une valse lente sans musique
un enfant qui jamais ne rit
un roman que personne ne lit
la mécanique de l’ennui
sans amour sans vie!

Silenziose limousine vanno incontro a jet - Adrienne Rich

Wilson - Berlin baby
Silenziose limousine vanno incontro a jet - Adrienne Rich

Silenziose limousine vanno incontro a jet che atterrano sulle
Montagne Rocciose. Saune, spessi teli immacolati, vasi
di tuberosa e gelsomino, vini pregiati attendono dopo lo sci.
Stanze di mogano e pelle, conversazioni aperte in codice
internazionale. Cosce e natiche da aprire più tardi a
seconda degli accordi.
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, lei combatte da sola
un grande piumino, rinfodera pesanti cuscini con nappe.
Un letto dopo l’altro. Di notte, nella sua stanza,
rinfresca le braccia sfinite. Riposa le gambe.
Altrove, nell’Andhra Pradesh, un altro agricoltore ingerisce pesticidi.

Quegli amori di allora – Carmen Yanez

dipinto di Bernardien Sternheim
Quegli amori di allora – Carmen Yanez

Gli amori a quei tempi
erano violenti, impauriti, oscuri, audaci,
rapidi.
Li coronavano le processioni silenziose,
le croci anonime,
le giovani vedove,
i figli orfani,
mari tinti di rosso,
fossi e voli della morte.
Nessuno li ricorda ora in questa terra
che si alza scricchiolando, ma senza memoria.
L’amore era l’abbraccio e il sesso disperato
di chi non aveva più nulla da perdere,
burlando la morte con la pausa di un bacio
in mezzo al fuoco.

Traduzione di Roberta Bovaia


Sonetto LXXXIV – Pablo Neruda

dipinto di Lucio Amitrano
Sonetto LXXXIV – Pablo Neruda

Una volta ancora, amore, la rete del giorno estingue
lavori, ruote, fuochi, rantoli, addii,
e alla notte affidiamo il frumento vacillante
che il mezzogiorno ottenne dalla luce e dalla terra.

Solo la luna in mezzo alla sua pagina pura
sostiene le colonne dell’estuario del cielo.
la stanza adotta la lentezza dell’oro
e vanno e vanno le tue mani preparando la notte.

Oh amore, oh notte, oh cupola chiusa da un fiume
d’impenetrabili acque nell’ombra del cielo
che risalta e sommerge le sue uve tempestose

finché siamo solo uno spazio oscuro.
una coppa in cui cade la cenere celeste.
una goccia nel battito d’un lento e lungo fiume.

Trad. Giuseppe Bellini

Intercontinentali – Carmen Yanez

dipinto di Charles Levier
Intercontinentali – Carmen Yanez

Solo una lingua capisco nei sogni,
una speranza di garofani, la nostra complicità,
una ragione del tempo e della distanza.
Contemplo i tasti freddi del telefono
che mi trasmette la tua voce tremante
ben oltre l’immaginabile
e ti rispondo trattenuta,
le tue domande impossibili.
Tornerò
come una nave smarrita
nell’orfanilità notturna
coperta del mio destino e di silenzi erranti.
Padre,
risiede nel tuo affetto
la mia vera casa.

Traduzione di Roberta Bovaia

Frammenti – Gottfried Benn

dipinto di Charles Levier
Frammenti – Gottfried Benn

Frammenti,
espurghi dell’anima,
coaguli di sangue del ventesimo secolo –

cicatrici – disturbo circolatorio della creazione ai primordi,
in rovina le religioni storiche di cinque secoli,
la scienza: crepe nel Partenone,
Planck con la sua teoria dei quanti andava
confuso a confluire con Keplero e con Kierkegaard –
ma sere c’erano che avevano i colori
di Dio padre, morbidi, a lunghe onde,
irrefutabili nel loro silenzio
d’azzurro fluente,
il colore degli introversi,
allora ci si riuniva,
le mani posate sui ginocchi
alla buona, fra contadini,
a bere in silenzio, concentrati,
coi garzoni che suonavano l’armonica –

e altre sere invece
tormentate da circonvoluzioni interiori,
da impulsi ad arcuarsi,
da compressioni anelanti allo stile
o da cacce all’amore.

Crisi d’espressione e accessi erotici:
questo è l’uomo d’oggi,
l’interno vuoto,
la continuità della persona
garantita dagli abiti
che se di buona stoffa durano dieci anni.

Il resto frammenti,
suoni a metà,
accenni di melodie da case vicine,
spirituals negri
o ave marie.

Sonata – Pablo Neruda

dipinto di Denis Chernov
Sonata – Pablo Neruda

Oh chiaro di luna, oh statua piccola e oscura,
oh sale, oh cucchiaio che estrae l’aroma del mondo e lo rovescia nelle mie vene,
oh brocca negra che canti alla luce della rugiada,
oh pietra del fiume sotterrato da dove volava e tornava la notte,
oh tralcio di acqua, pero di vita fragrante,
oh tesoreria del bosco, oh colomba della primavera,
oh biglietto che lascia la rugiada nelle dita della madreselva,
oh metallica notte di agosto con anelli d’argento nel cielo,
oh mio amore, tu assomigli al treno che attraversa l’autunno a Temuco,
oh mia amata perduta nelle mie mani come un anello nella neve,
oh abile nelle corde del vento color di chitarra
che discende dalle cordigliere, vicino a Nahuelbuta piangendo,
oh azione mattutina dell’ape che cerca un segreto,
oh edificio che l’ambra e l’acqua costruirono perché lo abitassi
io, esigente inquilino che dimentica la chiave e dorme alla porta,
oh corno elevato sulla groppa celestiale del tritone sottomarino,
oh chitarra di creta che suona nella pace polverosa del Cile,
oh pentola di olio e cipolla, vaporosa, odorosa, saporita,
oh espulsa dalla geometria dall’abilità di nuvola e fianco,
oh macchina di acqua, oh orologio di uccelliera,
oh mia amorosa, mia negra, mia bianca, mia piuma, mia scopa,
oh mia spada, mio pane e mio miele, mia canzone, mio silenzio, mia vita.

Storia del soprannaturale - Narlan Matos

opera di Evgeniy Monahov
Storia del soprannaturale - Narlan Matos

Manca qualcosa nella stanza
tutto è tranquillo e pace immensa si annida come nube nel lenzuolo
che gira incastrato nel tetto è il ventilatore – non il mondo –
con calma si alza una brezza di silenzio

Manca qualcosa nella stanza
e non sono gli impressionismi di Renoir – quelli son tutti qui
né le pile di libri sparsi per il parquet – il pavimento non manca

Eppure manca,
manca qualcosa nella stanza
che rende il panorama più azzurrato di cielo
e se io fossi qui certamente saprei che cosa

Traduzione dal portoghese di Giorgio Mobili

Ci sarà un incubo peggiore - Antonella Anedda

dipinto di Silvia Vassileva
Ci sarà un incubo peggiore - Antonella Anedda 

Prima di cena, prima che le lampade scaldino i letti e il fogliame degli alberi sia verde-buio e la notte deserta. Nel breve spazio del crepuscolo passano intere sconosciute stagioni; allora il cielo si carica di nubi, di correnti che sollevano ceppi e rovi. Contro i vetri della finestra batte l’ombra di una misteriosa bufera. L’acqua rovescia i cespugli, le bestie barcollano sulle foglie bagnate. L’ombra dei pini si abbatte sui pavimenti; l’acqua è gelata, di foresta: Il tempo sosta, dilegua. Di colpo, nella quiete solenne dei viali, nel vuoto delle fontane, nei padiglioni illuminati per tutta la notte, l’ospedale ha lo sfolgorio di una pietroburghese residenza invernale.

Ci sarà un incubo peggiore
socchiuso tra i fogli dei giorni
non sbatterà nessuna porta
e i chiodi
piantati all’inizio della vita
si piegheranno appena.
Ci sarà un assassino disteso sul ballatoio
il viso tra le lenzuola, l’arma posata di lato.
Lentamente si schiuderà la cucina
senza fragore di vetri infranti, nel silenzio del pomeriggio invernale.
Non sarà l’amarezza, né il rancore, solo
per un attimo le stoviglie
si faranno immense di splendore marino.
Allora occorrerà avvicinarsi, forse salire
là dove il futuro si restringe
alla mensola fitta di vasi
all’aria rovesciata del cortile
al volo senza slargo dell’oca,
con la malinconia del pattinatore notturno che a un tratto conosce
il verso del corpo e del ghiaccio
voltarsi appena,
andare

da Residenze invernali (Crocetti, 1992)