27 settembre 2018

Vergine altera, mia compagna, t’arde - Antonio Machado

dipinto di Fernando de Szyszlo
Vergine altera, mia compagna, t’arde - Antonio Machado

Vergine altera, mia compagna, t’arde
un mistero negli occhi.
Non so se odio o amore è questa luce
eterna della tua nera faretra.
Con me verrai finché proietti un’ombra
il corpo e resti ai miei sandali arena.
– La sete o l’acqua sei sul mio cammino?
Dimmi, vergine altera, mia compagna.

Antonio Machado, Poesie Scelte, Arnoldo Mondadori Editore, 1987.
A cura di Oreste Macrí

24 settembre 2018

da “Il libro dell’inquietudine” – Fernando Pessoa

Vincent Van Gogh - Lavanda e Girasoli
da “Il libro dell’inquietudine” – Fernando Pessoa
93.
Vedo i paesaggi sognati con la stessa chiarezza con cui fisso quelli reali. Se mi chino sui miei sogni è su qualcosa che mi chino. Se vedo la vita passare, sogno qualcosa. Di qualcuno, uno ha detto che per lui le figure dei sogni avevano lo stesso rilievo e profilo delle figure della vita. Per me, anche se potrei comprendere che si usasse una frase simile, non l’accetterei. Le figure del sogno per me non sono uguali a quelle della vita. Sono parallele. Ogni vita – quella dei sogni e quella del mondo – ha una realtà uguale e propria, ma diversa. Come le cose prossime e le cose remote. Le figure dei sogni sono più prossime a me, ma […]?

da “Il libro dell’inquietudine” – Fernando Pessoa

Vincent Van Gogh - Garden of the Asylum, 1889
da “Il libro dell’inquietudine” – Fernando Pessoa
82.
A volte, osservando il lavoro letterario cospicuo o, quanto meno, costituito da cose estese e complete, di tante creature che conosco o di cui so, sento dentro di me una invidia incerta, un’ammirazione sprezzante, un misto incoerente di sentimenti diversi . Fare una cosa completa, intera, buona o cattiva – e se non è mai interamente buona, molto spesso non è neanche del tutto cattiva – sì, fare una cosa completa, a volte mi provoca più invidia di qualunque altro sentimento. È come un figlio: è imperfetta come ogni essere umano, ma è nostra come lo sono i figli. E io, che per il mio stesso spirito critico posso vedere solo i difetti, le lacune; io, che oso scrivere solo dei brani, frammenti, stralci dell’inesistente, anche io stesso, nel poco che scrivo, sono imperfetto. Sarebbe molto meglio, allora, o l’opera completa, seppure brutta, che in ogni caso è opera; o l’assenza di parole, il silenzio totale dell’anima che si riconosce incapace di agire.

da “Il libro dell’inquietudine” – Fernando Pessoa

Vincent van Gogh, Il giardino dell'ospedale a Saint-Rémy, 1889
da “Il libro dell’inquietudine” – Fernando Pessoa
79.
Non so che vaga carezza, tanto più lieve perché non è una carezza, la brezza incerta della sera mi porta alla fronte e alla comprensione. So soltanto che il tedio che patisco mi si adatta meglio, per un momento, come una veste che non striscia più su una ferita. Povera sensibilità che dipende da un piccolo movimento dell’aria per riuscire, seppure episodicamente, a trovare la propria tranquillità! Ma ogni sensibilità umana è così, e non credo neppure che sulla bilancia degli esseri umani pesi di più il denaro guadagnato alla svelta o il sorriso ricevuto all’improvviso, cose che per gli altri sono quello che, in questo momento, è stato per me il breve passaggio di una brezza discontinua. Posso pensare di dormire. Posso sognare di sognare. Vedo più chiaramente l’obiettività del tutto. Uso con maggiore conforto il sentimento esteriore della vita. E tutto questo, davvero, perché, quando arrivo quasi all’angolo della strada, un movimento della brezza nell’aria rallegra la superficie della mia pelle. Tutto ciò che amiamo o perdiamo – cose, esseri, significati – ci sfiora la pelle e così arriva alla nostra anima e l’episodio, in Dio, non è altro che la brezza che non mi ha portato niente se non il sollievo immaginato, il momento propizio e il poter splendidamente perdere tutto.

da “Sotto le ciglia chissà” - Fabrizio De Andrè

Vincent Van Gogh - Blossoming Acacia Branches, 1890
da “Sotto le ciglia chissà” - Fabrizio De Andrè

Certe volte, la maggior parte delle volte, tutte le volte, per quanto mi riguarda, il raggiungimento dell’obiettivo è inconciliabile con una data di consegna: l’obiettivo, quello che a me sembra essere il bello, non è conseguibile a priori perché a priori non è ottenibile. È un libero cercare una parola leggera che dica tutto col peso di niente e che ci sembri vera.
***
Non mi è mai successo di produrre ai ritmi di una gallina ovaiola e farò di tutto perché ciò continui a non accadere.
***
Scrivere comporta tempo, anche per le chiacchiere di un concerto. Ma è meglio non scrivere una frase intera piuttosto che togliere una sola parola che dia il senso ad una frase.

da “Sotto le ciglia chissà” - Fabrizio De Andrè

Vincent Van Gogh - Landscape with Bridge across the Oise, 1890
da “Sotto le ciglia chissà” - Fabrizio De Andrè

Due persone vivono in due diversi ambienti di campagna (uno in Piemonte, l’altro in Sardegna): ognuno scrive all’altro descrivendo la propria campagna e ognuno dei due si incazza per le differenze polari sentendosi preso per il culo: per andare d’accordo ambedue dovrebbero lasciare la propria campagna per recarsi in quella dell’altro: ma la cosa migliore è credere nei reciproci racconti, acquisendo nuova cultura senza prendere alcun traghetto.
***
E dopo aver parlato
di donne, parenti, malattie
e canzoni, col mio amico
di Napoli c’era ancora da
fare, per esempio pescare.
E dopo aver parlato
di questo e di quello
persino di cosa mangiare
per poter risparmiare
col mio amico di Genova
c’era ancora da fare,
acqua da navigare.

23 settembre 2018

Assassinio (Due voci all’alba in Riverside Drive) – Federico Garcia Lorca

opera di Thomas Hart Benton
Assassinio (Due voci all’alba in Riverside Drive) – Federico Garcia Lorca

Com’è successo?
Uno spacco sulla guancia.
Tutto qui!
Un’unghia che stringe lo stelo.
Uno spillo che si immerge
fino a trovare le sottili radici del grido.
E il mare smette di muoversi
Come, com’è successo?
Così.
Che dici! Ma proprio così?
Si.
Il cuore è uscito fuori da solo.
Ahi, ahimè!

Traduzione di Valerio Nardoni
da Federico Garcia Lorca, Nuda canta la notte, a cura di Valerio Nardoni
Corriere delle Sera - Un secolo di poesia, a cura di Nicola Crocetti

Paesaggio della moltitudine che vomita (Tramonto di Coney Isalnd) – Federico Garcia Lorca

dipinto di Fernando Botero
Paesaggio della moltitudine che vomita (Tramonto di Coney Isalnd) – Federico Garcia Lorca

La donna grassa veniva davanti
strappando le radici e bagnando la pergamena di tamburi.
La donna grassa,
che rivolta la testa ai polpi agonizzanti.
La donna grassa, nemica della luna,
correva per le strade e gli appartamenti disabitati
e lasciava negli angoli piccoli teschi di colombe
e destava le furie dei banchetti dei secoli ultimi
e chiamava il demonio del pane sulle colline del cielo spazzato
e filtrava un’ansia di luce nei movimenti sotterranei.
Sono i cimiteri. Lo so. Sono i cimiteri
e il dolore delle cucine sepolte sotto la sabbia.
Sono i morti, i fagiani e le mele di un altro tempo
quelli che ci spingono in gola.

Arrivava il rumoreggiare della selva del vomito
con le donne vuote, con bambini di cera calda
con alberi fermentati e i camerieri infaticabili
che servono piatti di sale sotto le arpe della saliva.
Non c’è nulla da fare, figlio mio, vomita! Non c’è nulla da fare.
Non è il vomito degli ussari sul seno della prostituta,
né il vomito del gatto che per sbaglio ha ingoiato una rana.
Sono morti e graffiano con le mani di terra
le porte di selce dove imputridiscono nubi e dessert.

La donna grassa veniva davanti
con la gente delle navi, delle taverne e dei giardini.
Il vomito agitava delicatamente i suoi tamburi
fra alcune bambine di sangue
che chiedevano protezione alla luna.
Povero me1 povero me! Povero me!
Questo mio sguardo che è stato mio e non è più mio.
Questo sguardo che trema nudo per l’alcol
e si congeda da nave incredibili
sugli anemoni dei moli.
Mi difendo con questo sguardo
che sgorga dalle onde dove l’alba non si arrischia.
Io, poeta senza braccia, perduto
nella folla che vomita,
senza un cavallo effusivo che tagli
il folto muschio delle mie tempie.
Ma la donna grassa era ancora davanti
e la gente cercava farmacie
dove si fissa l’amaro tropico.
Soltanto quando issarono la bandiera e arrivarono i primi cani
la città intera si accalcò alla spalletta dell’imbarcadero.

Traduzione di Valerio Nardoni
da Federico Garcia Lorca, Nuda canta la notte, a cura di Valerio Nardoni
Corriere delle Sera - Un secolo di poesia, a cura di Nicola Crocetti

Il re di Harlem – Federico Garcia Lorca

Spirit of Harlem -  Mural By Louis del Sarte Livens Up 125th Street
Il re di Harlem – Federico Garcia Lorca

Con un cucchiaio di legno
strappava gli occhi ai coccodrilli
e bastonava il sedere delle scimmie.
Con un cucchiaio di legno.

Il fuoco di sempre dormiva nella selce
e gli scarafaggi ubriachi d’anice
dimenticavano il muschio dei villaggi.

Quel vecchio coperto di funghi
andava là dove piangevano i neri
mentre cricchiava il cucchiaio del re
e arrivavano le cisterne di acqua putrida.

Le rose fuggivano lungo il filo
delle ultime curve di vento
e nei mucchi di zafferano
i bambini martoriavano piccoli scoiattoli
con un rossore di frenesia macchiata.

Bisogna attraversare i ponti
e arrivare al rumore nero
perché il profumo di polmone
ci martelli le tempie col suo vestito
di ananas caldo.

Bisogna ammazzare il biondo venditore di acquavite,
tutti gli amici della mela e della sabbia;
ed è necessario colpire a pugni chiusi
le piccole ebree che tremano piene di bollicine,
perche il re di Harlem canti con la sua folla,
perché i coccodrilli dormano in lunghe file,
sotto l’amianto della luna,
e perché nessuno dubiti dell’infinita bellezza
dei piumini, delle grattugie, dei rami e dei tegami delle cucine.

Ahi, Harlem! Ahi, Harlem! Ahi, Harlem!
Non c’è angoscia paragonabile ai tuoi occhi oppressi,
al tuo sangue rabbrividito dentro l’eclissi oscura,
alla tua violenza scarlatta, sordomuta nella penombra,
al tuo grande re prigioniero, con la divisa di usciere.
                                          ***
La notte aveva una fessura e quiete salamandre d’avorio.
Le ragazze americane
portavano bambini e monete nel ventre
e i ragazzi svenivano nella croce dello stiracchiamento.
Sono loro.
Sono loro quelli che bevono il whisky d’argento vicino ai vulcani
e inghiottono pezzettini di cuore sulle gelate montagne dell’orso.

Quella notte il re di Harlem, con un durissimo cucchiaio,
strappava gli occhi ai coccodrilli
e bastonava il sedere delle scimmie.
Con un durissimo cucchiaio.

I neri piangevano confusi
tra ombrelli e soli d’oro;
i mulatti stiravano gonne, ansiosi di arrivare al torso bianco,
e il vento appannava gli specchi
e spezzava le vene ai ballerini.

Neri! Neri! Neri! Neri!
Il sangue non ha porte nella vostra notte a pancia in su.
Non c’è rossore. Sangue furioso al di sotto delle pelli,
vivo sulla punta del pugnale e nel petto dei paesaggi,
sotto le pinze e le ginestre di una celesta luna del Cancro.

Sangue che cerca per mille strade morti infarinate e cenere di nardi,
cieli deserti, in discesa, dove le colonie dei pianeti
rotolino sulle spiagge con gli oggetti abbandonati.

Sangue che guarda lento con la coda dell’occhio,
fatto di sparti strizzati e nettari sotterranei.
Sangue che ossida l’aliseo trascurato in un’orma
e dissolve le farfalle sui vetri della finestra.

È il sangue che viene, che verrà
per i tetti e le terrazze, da ogni parte,
per bruciare la clorofilla delle donne bionde,
per gemere ai piedi dei letti, davanti all’insonnia dei lavandini,
ed esplodere in un’aurora di tabacco e giallo smorto.

Bisogna scappare!,
scappare dietro gli angoli e chiudersi negli ultimi piani,
perché l’intimo del bosco penetrerà dalle fenditure
lasciando nella vostra carne una lieve orma di eclisse
e una falsa tristezza di guanto scolorito e rosa chimica.
                                          ***
È attraverso il silenzio sapientissimo
che cuochi e camerieri e quelli che puliscono con la lingua
le ferite dei milionari
cercano il re per le strade o negli angoli del salnitro.
Un vento ligneo del sud a sguancio sul fango nero
sputa alle barche rotte e si pianta stiletti nelle spalle.
Un vento del sud che porta
zanne, girasoli, alfabeti,
e una pila di Volta con le vespe affogate.

L’oblio si esprimeva con tre gocce d’inchiostro sul moccolo.
L’amore, con un solo volto invisibile a fior di pietra.
Midolli e corolle componevano sulle nuvole
un deserto di talli, senza una sola rosa.

A sinistra, a destra, verso Sud e verso Nord,
si alza il muro impassibile
per la talpa e il punzone dell’acqua.
Non cercatene, neri, la crepa
per trovare la maschera infinita.
Cercate il grande sole del centro
divenuto ananas ronzante.
Il sole che scivola sui boschi
certo di non incontrare una ninfa.
Il sole che distrugge numeri e non ha mai attraversato un sogno,
il sole tatuato che scende per il fiume
e muggisce seguito dai caimani.

Neri! Neri! Neri! Neri!
Mai serpe, né zebra, né mula
sono impallidite morendo.
Il tagliaboschi non sa quando spirano
i clamorosi alberi da abbattere.
Aspettare sotto l’ombra vegetale del vostro re
che le cicute, i cardi e le ortiche turbino le estreme terrazze.

Allora, neri, allora, allora,
potete baciare con frenesia le ruote delle biciclette,
mettere coppie di microscopi nelle tane degli scoiattoli
e alla fine di certo danzare, mentre i fiori increspati
assassinano il nostro Mosè quasi nei giunchi del cielo.

Ahi, Harlem mascherata!
Ahi, Harlem, minacciata da una folla di vestiti senza testa!
Mi giunge il tuo rumore.
Mi giunge il tuo rumore che attraversa tronchi e ascensori,
attraverso lamine grigie,
dove galleggiano le tue automobili coperti di denti,
attraverso i cavalli morti e i crimini minuscoli,
attraverso il tuo grande re disperato
la cui barba arriva fino al mare.

Traduzione di Valerio Nardoni

da Federico Garcia Lorca, Nuda canta la notte, a cura di Valerio Nardoni

Corriere delle Sera - Un secolo di poesia, a cura di Nicola Crocetti

Morte di Antonito il Camborio – Federico Garcia Lorca

dipinto di Eric Bowman
Morte di Antonito il Camborio – Federico Garcia Lorca

a José Antonio RubioSacristàn

Voci di morte suonarono
in riva al Guadalquivir.
Antiche voci che assediano
voce d’un maschio garofano.
Gli piantò sugli stivali
le zannate di un cinghiale.
Lottando spiccava salti
saponati di delfino.
Bagnò del sangue nemico
la sua cravatta vermiglia,
ma erano quattro pugnali
e ha dovuto soccombere.
Quando le stelle conficcano
le picche nell’acqua grigia,
quando sognano i torelli
veroniche di violette,
voci di morte suonarono
in riva al Guadalquivir.
*
Antonio Torres Heredia,
Camborio dai duri crini,
un moro di verde luna,
voce d’un maschio garofano:
Chi ti ha strappato la vita
in riva al Gadalquivir?
I quattro cugini Heredia
figli di Benamejì.
In altri non invidiavano
quel che invidiavano in me.
Le scarpe colo vinaccia,
quei medaglioni d’avorio
e questa pelle impastata
d’olive e di gelsomini.
Ahi, Antonito il Camborio,
degno d’una Imperatrice!
Ricordati della Vergine
perché tu stai per morire.
Ahi, Federico Garcia,
chiama la guardia civile!
Il mio busto si è spezzato
come canna di granturco.
*
Ebbe tre sbocchi di sangue
ed è morto di profilo.
Viva moneta che mai
potrà tornare a ripetersi.
Poggia un angelo cortese
la sua testa su un cuscino.
Altri d’un rossore fiacco
accesero una lucerna.
E quando i quattro cugini
giungono a Benamejì,
voci di morte cessarono,
in riva al Guadalquivir.

Traduzione di Valerio Nardoni
da Federico Garcia Lorca, Nuda canta la notte, a cura di Valerio Nardoni
Corriere delle Sera - Un secolo di poesia, a cura di Nicola Crocetti

Ballata interiore – Federico Garcia Lorca

dipinto di Eric Bowman
Ballata interiore – Federico Garcia Lorca

a Gabriel

Il cuore
di quando andavo a scuola,
dove fu colorato
il mio primo abbiccì,
ce l’hai tu,
notte nera?

(Freddo, freddo,
come l’acqua
del fiume.)

Il primo bacio
che ha saputo di bacio
e fu per le mie labbra
bambine e pioggia fresca,
ce l’hai tu,
notte nera?

(Freddo, freddo,
come l’acqua
del fiume.)

Il primo verso,
la bimba con le trecce
che guardava di fronte,
ce l’hai tu,
notte nera?

(Freddo, freddo,
come l’acqua
del fiume.)

Il mio cuore però
morsicato di vipere,
quello che era attaccato
all’albero della scienza,
ce l’hai tu,
notte nera?

(Ardente, ardente,
come l’acqua
della sorgente.)

L’amore errante,
instabile castello
d’ombre tutte ammuffite,
ce l’hai tu,
notte nera?

(Ardente, ardente,
come l’acqua
della sorgente.)

Oh, gran dolore!
Nella tua tana ammetti
solamente le ombre.
Davvero,
notte nera?

(Ardente, ardente,
come l’acqua
della sorgente.)

Oh, mio cuore perduto!
Requiem aeternam!

Traduzione di Valerio Nardoni
da Federico Garcia Lorca, Nuda canta la notte, a cura di Valerio Nardoni
Corriere delle Sera - Un secolo di poesia, a cura di Nicola Crocetti