Vincent van Gogh, Il giardino dell'ospedale a Saint-Rémy, 1889
da “Il libro dell’inquietudine” –
Fernando Pessoa
79.
Non so che
vaga carezza, tanto più lieve perché non è una carezza, la brezza incerta della
sera mi porta alla fronte e alla comprensione. So soltanto che il tedio che
patisco mi si adatta meglio, per un momento, come una veste che non striscia
più su una ferita. Povera sensibilità che dipende da un piccolo movimento
dell’aria per riuscire, seppure episodicamente, a trovare la propria
tranquillità! Ma ogni sensibilità umana è così, e non credo neppure che sulla
bilancia degli esseri umani pesi di più il denaro guadagnato alla svelta o il
sorriso ricevuto all’improvviso, cose che per gli altri sono quello che, in
questo momento, è stato per me il breve passaggio di una brezza discontinua.
Posso pensare di dormire. Posso sognare di sognare. Vedo più chiaramente l’obiettività
del tutto. Uso con maggiore conforto il sentimento esteriore della vita. E
tutto questo, davvero, perché, quando arrivo quasi all’angolo della strada, un
movimento della brezza nell’aria rallegra la superficie della mia pelle. Tutto
ciò che amiamo o perdiamo – cose, esseri, significati – ci sfiora la pelle e
così arriva alla nostra anima e l’episodio, in Dio, non è altro che la brezza
che non mi ha portato niente se non il sollievo immaginato, il momento propizio
e il poter splendidamente perdere tutto.
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