Vincent Van Gogh - Garden of the Asylum, 1889
da “Il libro dell’inquietudine” –
Fernando Pessoa
82.
A volte,
osservando il lavoro letterario cospicuo o, quanto meno, costituito da cose
estese e complete, di tante creature che conosco o di cui so, sento dentro di
me una invidia incerta, un’ammirazione sprezzante, un misto incoerente di
sentimenti diversi . Fare una cosa completa, intera, buona o cattiva – e se non
è mai interamente buona, molto spesso non è neanche del tutto cattiva – sì,
fare una cosa completa, a volte mi provoca più invidia di qualunque altro
sentimento. È come un figlio: è imperfetta come ogni essere umano, ma è nostra
come lo sono i figli. E io, che per il mio stesso spirito critico posso vedere
solo i difetti, le lacune; io, che oso scrivere solo dei brani, frammenti,
stralci dell’inesistente, anche io stesso, nel poco che scrivo, sono
imperfetto. Sarebbe molto meglio, allora, o l’opera completa, seppure brutta,
che in ogni caso è opera; o l’assenza di parole, il silenzio totale dell’anima
che si riconosce incapace di agire.
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