31 marzo 2017

Ernesto Cardenal - Come lattine di birra vuote

foto da pinterest
Ernesto Cardenal - Come lattine di birra vuote

Come lattine di birra vuote e cicche
Di sigarette spente, sono stati i miei giorni.
Come figure che passano per lo schermo della televisione
E scompaiono, così è passata la mia vita.
Come le automobili che passavano in fretta per le strade
Con risa di ragazze e musica di radio…
E la bellezza passò rapida, come il modello d’auto
E le canzoni di radio che passarono di moda.
E non è rimasto niente di quei giorni, niente
Più che lattine vuote e cicche spente,
risa in foto marcite, biglietti rotti,
e la segatura con la quale la mattina spazzarono i bar.

Franklin Miese Burgos - Canzone della voce fiorita

Louis Armstrong and Billie Holiday, New Orleans 1947 - da pinterest
Franklin Miese Burgos - Canzone della voce fiorita

Ho seminato la mia voce nella carne del vento
perché nasca un albero di canzoni;
poi sognerò musiche incomprensibili
per gli occhi senza palpebre del pianto.

Appeso sul cielo ferito della sera
ci sarà un dolore bianco, e non sarà la luna.

Sarà un frutto alto, appena spuntato,
un frutto rotondo di parole
sonore, come un canto:

portento sonnambulo di un albero
cresciuto canzone, seme vibrante
nella carne fiorita del vento:
- la mia voce.

Salvatore Quasimodo - Strada per Agrigentum

Agrigento - Valle dei tepli, resti del tempio dei Dioscuri
Salvatore Quasimodo - Strada per Agrigentum

Là dura un vento che ricordo acceso
nelle criniere dei cavalli obliqui
in corsa lungo le pianure, vento
che macchia e rode l'arenaria e il cuore
dei telamoni lugubri, riversi
sopra l'erba. Anima antica, grigia
di rancori, torni a quel vento, annusi
il delicato muschio che riveste
i giganti sospinti giù dal cielo.
Come sola allo spazio che ti resta!
E più t'accori s'odi ancora il suono
che s'allontana largo verso il mare
dove Espero già striscia mattutino:
il marranzano tristemente vibra
nella gola al carraio che risale
il colle nitido di luna, lento
tra il murmure d'ulivi saraceni.

Pablo Neruda - Abbiamo perso anche questo crepuscolo

Omar Ortiz - Grecia 
Abbiamo perso anche questo crepuscolo - Pablo Neruda

Abbiamo perso anche questo crepuscolo.
Nessuno ci ha visto stasera mano nella mano
mentre la notte azzurra cadeva sul mondo.
Ho visto dalla mia finestra
la festa del tramonto sui monti lontani.
A volte, come una moneta
mi si accendeva un pezzo di sole tra le mani.

Io ti ricordavo con l'anima oppressa
da quella tristezza che tu mi conosci.

Dove eri allora?
Tra quali genti?
Dicendo quali parole?
Perché mi investirà tutto l'amore di colpo
quando mi sento triste e ti sento lontana?

È caduto il libro che sempre si prende al crepuscolo
e come cane ferito il mantello mi si è accucciato tra i piedi.

Sempre, sempre ti allontani la sera
e vai dove il crepuscolo corre cancellando statue.

da 20 poesie d’amore e una canzone disperata

Lucia Rivadeneyra - Suonando i tuoi silenzi

Monica Bellucci by Vincent Peters- da pinterest
Lucia Rivadeneyra - Suonando i tuoi silenzi


Tiepide lenzuola umide, pori aperti,
respirazioni epilettiche
mi hanno fatto scendere le scale dell’inferno
mi bruciavano le mani, il mio ventre era dorato.

E nel fuoco della stanza tra le ombre
ho suonato i tuoi silenzi
e al cadere delle spalle come chi è colpito da un fulmine
ti ho amato per ore senza tregua.

La tua lingua-brace, le tue dita-polipi
hanno trovato il fondo nella schiuma calda
del mio mare traforato.
Si decretò la marea - fuga dalla battaglia!
e il crepuscolo si presentò
come un fantasma che gioca con le luci
e si imbroglia nei colori.

Più tardi, con un salto di cervo ferito,
sonnolenta, anestetizzata, violacea,
ti ho invitato a prendere il toro del peccato per le corna
abbiamo aperto la porta,
ed è entrata come un aroma di valeriana
la notte fresca.

30 marzo 2017

Nella casa di fronte a me e ai miei sogni - Fernando Pessoa


Nella casa di fronte a me e ai miei sogni - Fernando Pessoa

Nella casa di fronte a me e ai miei sogni
che felicità c’è sempre!

Vi abitano persone sconosciute
che ho già visto senza vedere.
Sono felici, perché esse non sono io.

I bambini, che giocano sugli alti terrazzi,
vivono tra vasi di fiori,
eternamente, senza dubbio.

Le voci che salgono dall’intimità domestica
cantano sempre, senza dubbio.
Sì, devono cantare.

Quando è festa qua fuori, è festa là dentro.
E così deve essere laddove tutto si adatta:
l’uomo alla Natura, perché la città è Natura.

Che grande felicità non essere io!

Ma anche gli altri non penseranno così?
Quali altri? Non ci sono altri.
Quanto pensano gli altri è una casa
con la finestra chiusa, o se si apre,
è perché i bambini possano
giocare sulla veranda inferriata,
tra i vasi di fiori
che non ho mai visto quali fossero.

Gli altri non sentono mai.
Chi sente siamo noi,
sì, tutti noi, perfino io,
che ora non sento più nulla.

Nulla? Non so...
Un nulla che fa male...

Danielle - Diego Valeri

nella foto Miranda Kerr - da tumblr

Danielle - Diego Valeri

La giovinetta che, davanti al mare,
splende, incantando il mare,
ha negli sguardi, nei gesti qualcosa
di esitante: è felice e dubitosa.
Bellezza, di che temi?
Forse non d'altro che dell'esser bella,
di portar nella carne gloriosa
un così gran mistero,
di sentire che dentro il pugno breve
chiudi più di una sorte:
il piacere, l'amore, e la vita e la morte.
Forse soltanto di vederti nuda,
come un tenero fiore.

da “Verità di uno”, 1970

Vero - Ana Milena Puerta

Salma Hayek photo shoot by Pamela Hanson (2009) 
Vero - Ana Milena Puerta

Nella tua cattiva memoria
mi replico
non mi riconosci

sono
ogni volta
terra promessa
perché tu
ogni giorno
inauguri in me un altro regno.

Così il vero amore:
come il vero oblio.

Anna Achmatoca - C'è nel contatto umano...

fotogramma di "Diarioi di un ladro" di Robert Bresson - da bfi.org.uk
Anna Achmatoca - C'è nel contatto umano...

                               a Nikolaj Vladimirovič Nedobrovo

C'è nel contatto umano un limite fatale,
non lo varca né amore né passione,
pur se in muto spavento si fondono le labbra
e il cuore si dilacera d'amore.

Perfino l'amicizia vi è impotente,
e anni d'alta, fiammeggiante gioia,
quando libera è l'anima ed estranea
allo struggersi lento del piacere.

Chi cerca di raggiungerlo è folle,
se lo tocca soffre una sorda pena...
ora hai compreso perché il mio cuore
non batte sotto la tua mano.

1915

Juan Ramón Jiménez - il ricordo, 8

foto da bluesuedeband.com
Juan Ramón Jiménez - il ricordo, 8

I
Questo istante
che sta già per essere ricordo, che cos'è?
Musica folle,
che reca questi colori che non furono
- poiché furono
di quelle sere d'oro, amore e gloria -;
questa musica che sta per non essere, cos'è?

II
Istante, prosegui, sii ricordo
- ricordo, tu vali di più, perché tu fuggi,
senza fine, con la tua freccia, la morte -,
sii ricordo, con me già lontano!
...Oh sì, fuggire, fuggire, non essere istante,
ma eternità nel ricordo!

III
Mia memoria immensa,
rendi secoli gli istanti che fuggirono;
eternità dell'anima dalla morte!
...Istante, fuggi, fuggi tu che sei - ahimè -
me!
Questo istante, questo tu,
che sta ormai morendo, che cos'è?

28 marzo 2017

Io vorrei, superato ogni tremore - Alda Merini

Thomas Gainsborough - Mary Little, Later Lady Carr, dettaglio
Io vorrei, superato ogni tremore - Alda Merini

Io vorrei, superato ogni tremore
giungere alla bellezza che mi incalza,
dalla rovina del silenzio, fonda,
togliere la misura della voce
e cantare all'unisono coi suoni;
stamparmi nelle palme ogni vigore
in crescita perenne e modulare
un attento confine con le cose
ov'io possa con esse colloquiare
difesa sempre da incipienti caos.
Vorrei abitare nel segreto cuore
centro d'ogni più puro movimento,
animare di me gli spenti aspetti
dei fantasmi reali e riplasmare
le parabole ardenti ove ogni grazia
è tocca dal suo limite. Variata
stupendamente da codesti incontri
numererò la plurima mia essenza
entro un solo, perenne,
insistere di toni adolescenti.
Nell'aperta misura delle ali
del più libero uccello,
nel vigore degli alberi,
nella chiarezza-musica dei venti,
nel frastuono puerile dei colori,
nell'aroma del frutto,
sarò creatura in unico e diverso
principio, senza origine ne segno
d'ancestrale condanna.
E so, per questa verità, che il tempo
non crollerà spargendo le rovine
dei violati contatti alla mitezza
del mio nuovo apparire, né la sacra
identità del canto verrà meno
ai suoi idoli vivi.

Destino! Che albero invisibile e infinito - Juan Ramon Jimenez

Jean Ranc - Portrait of Barbara of Portugal, dettaglio

Destino! Che albero invisibile e infinito - Juan Ramon Jimenez

Destino! Che albero invisibile e infinito
dà il tuo frutto, che l'anima
a volte raccoglie, maturo?

Quali di queste idee sono i tuoi rami,
di questi sentimenti sono i tuoi fiori,
di queste canzoni sono i tuoi uccelli,
di questi sorrisi i tuoi profumi?

Cosa alimenta le tue radici?
In che modo, da dove, come in questo limone
dalla mia finestra, tu entri
nella nostra stanza più interna
e lì sfiori, dolcemente, il cuore?

Vieni premurosa - Fernando Pessoa

Mihael Stroj - Judith With Thedecapitated Head Of Holofernes, detail
Vieni premurosa - Fernando Pessoa

Vieni, premurosa,
vieni, materna,
in punta di piedi, infermiera antichissima che ti sedesti
al capezzale degli dei delle fedi ormai perdute,
e che vedesti nascere Geova e Giove,
e sorridesti perché per te tutto è falso, salvo la tenebra e il silenzio,
e il grande Spazio Misterioso al di la di essi... Vieni, Notte silenziosa ed estatica,
avvolgi nel tuo mantello leggero
il mio cuore... Serenamente, come una brezza nella sera lenta,
tranquillamente, come un gesto materno che rassicura,
con le stelle che brillano (o Travestita dell'Oltre!),
polvere di oro sui tuoi capelli neri,
e la luna calante, maschera misteriosa sul tuo volto.

Tutti i suoni suonano in un altro modo quando tu giungi
Quando tu entri ogni voce si abbassa
Nessuno ti vede entrare
Nessuno si accorge di quando sei entrata,
se non all'improvviso, nel vedere che tutto si raccoglie,
che tutto perde i contorni e i colori,
e che nel cielo alto, ancora chiaramente azzurro e bianco all'orizzonte,
già falce nitida, o circolo giallastro, o mero diffuso biancore, la luna comincia il suo giorno.

Di tutto restano tre cose - Fernando Pessoa

Jacques-Louis David - Il giuramento degli Orazi, dettaglio
Di tutto restano tre cose - Fernando Pessoa

Di tutto restano tre cose:
la certezza
che stiamo sempre iniziando,
la certezza
che abbiamo bisogno di continuare,
la certezza
che saremo interrotti prima di finire.
Pertanto, dobbiamo fare:
dell'interruzione,
un nuovo cammino,
della caduta,
un passo di danza,
della paura,
una scala,
del sogno,
un ponte,
del bisogno,
un incontro.

Serenata – Federico Garcia Lorca

Sandro Botticelli - Primavera, dettaglio

Serenata – Federico Garcia Lorca

Omaggio a Lope de Vega

Lungo le sponde del fiume
la notte si sta bagnando
e sui seni di Lolita
i rami muoion d’amore.

I rami muoion d’amore.

Nuda canta la notte
sopra i ponti di marzo.
Lolita lava il suo corpo
con acqua salata e nardi.

I rami muoion d’amore.

La notte d’anice e argento
risplende sopra i tetti.
Argento di rivi e specchi.
Le tue cosce bianche d’anice.

I rami muoion d’amore.

Traduzione di Valerio Nardoni
da Federico Garcia Lorca, Nuda canta la notte, a cura di Valerio Nardoni
Corriere delle Sera - Un secolo di poesia, a cura di Nicola Crocetti

27 marzo 2017

Tango - Cesare Pavese

foto da patrasevents
Tango - Cesare Pavese

Mi son visto una notte
in una sala chiusa
e l'abbraccio dei corpi che danzavano,

sollevati e schiantati dalla musica,
sotto la luce livida
che filtrava nei muri, di lontano,
mi soffocava il cuore
come in fondo a un abisso, sotto il buio,
tra bagliore e bagliore,
giungono spaventose
scosse di una tempesta,
che impazzisce là in alto, sopra il mare.

Mi giungevano a tratti,
pallide e stanche,
le ombre dei danzatori,
vibrazioni di un mare moribondo.

E vedevo i colori,
delle donne abbraccianti
illividirsi anch'essi,
e tutto rilassarsi
di spossatezza oscena,
e i corpi ripiegarsi,
strisciando sulla musica.

Solo ancora splendeva
su quella febbre stanca
il corpo di colei
che fiorisce in un volto
tanto giovane e chiaro
da fare male all'anima.

Ma era solo il ricordo.
Io la guardavo immobile
e la vedevo, dolorosamente,
nella luce del sogno.

Ma passava strisciando,
senza scatti più, languida,
con un respiro lento
e mi pareva un gemito d'amore,
ma l'uomo a cui s'abbandonava nuda
forse non la sentiva.
E un'ubbriachezza pallida
le pesava sul volto,
sul volto tanto giovane e stupendo
da fare male all'anima.

Tutti tutti tacevano di ebbrezza,
travolti dentro il gorgo
di quella luce livida,
posseduti di musica,
nelle carezze ritmiche di carne,
e stanchi tanto stanchi.

Io solo non potevo abbandonarmi:
cogli arsi occhi sbarrati,
mi fissavo smarrito
su quel corpo strisciante.

23-26 giugno 1928

Ennio Flaiano - Lo Scienziato cerca un gatto

foto da revistaultimoround
Ennio Flaiano - Lo Scienziato cerca un gatto

Lo Scienziato cerca un gatto,
un gatto nascosto
in una stanza buia.

Non lo trova ma...
ma ne deduce che è nero.

Il Filosofo cerca un gatto,
un gatto che non c'è
in una stanza buia.
Non lo trova ma...
ma continua a cercare.

Il Teologo, oh il Teologo
cerca lo stesso gatto.
Non lo trova ma dice
di averlo trovato.

Primo preludio - Thomas Eliot

foto da lombradelleparole
Primo preludio - Thomas Eliot


La sera d'inverno si posa
Con odore di bistecche nelle strade.
Le sei.
Lucignoli consunti di giorni fumosi.
E ora un tempestoso scroscio avvolge
Gli avanzi sudici
Delle foglie appassite attorno ai vostri piedi
E giornali da lotti da vendere;
Gli scrosci battono
Sulle persiane rotte e sui fumignoli,
E all'angolo della strada
Un solitario cavallo da vettura fuma e scalpita.

E poi l'accensione dei fanali.



Andrea Zanzotto - Gelo

foto da flickr
Andrea Zanzotto - Gelo

Stagione del candore -
per le più variate nevi
mille stelle sorelle
verso me prendono il cammino
*
Osservate promesse,
campi e campi di neve,
nessuno mai potrà aggirare
i vostri orizzonti, le vostre
irrealtà lievi abbordare
*
Silenti cieli senza tradimenti
né incrinamenti
cieli pronti ad ogni favella
eppur colmi d'oblio
*
Sogni mai prima visti
sogni sommessamente innevati
come un invito di prati
mai abbastanza riecheggiati

*
Stagione del candore -
io raccolgo tutte le tue glorie,
le tue multiple stelle,
le stasi
in cui di tanto ti sovrasti.

Evgenij Evtusenko - Così la Piaf usciva dalla scena

Edith Piaf - da pinterest

Evgenij Evtusenko - Così la Piaf usciva dalla scena

C’era a Parigi, c’era una sala e davanti alla sala
qualcuno motteggiava, volteggiando col sedere,
avendo coi suoi salti calpestato l’arte per un’ora…
Era solo un proemio per la Piaf.

Ed ecco entrò, fino al fanatismo
simile a un rozzo idolo,
come se, sbagliando porta, in uno sketch allegro
entrasse una tragedia stanca.

E, sulle stolidaggini da baraccone
ella si eresse, pallida e senza forze,
come una piccola civetta dagli occhi ammalati,
pesante con le sue ali spossate.

Piccoletta e truccata, coll’abito corto,
trattenendo la tosse, con un filo di vita,
ti apparteneva, o epoca,
reggendosi appena sulle gambette esili.

Ci guardava, come guardando la Senna,
dal cui parapetto fosse lì, lì per lanciarsi;
e sentivo la voglia di correre sul palcoscenico
per sostenerla, ché sarebbe caduta.

Un gesto preciso della manina rugosa
e partì l’orchestra… Arrivò fin sull’orlo
del palcoscenico… Costrinse la schiena
a raddrizzarsi e, tremando, aspirò la musica.

Cominciò a cantare, quasi prendendo il volo,
ricadendo davanti agli sguardi puntati,
quel corpo tagliuzzato dai chirurghi,
ansando, girandosi su se stesso, come dentro di noi!

Esso, volteggiando, singhiozzava, rideva con fragore,
bisbigliava come le erbe in delirio al Bois de Boulogne,
rimbombava come un carrettino a Saint-Germain,
urlava come una sirena. Questa era la Piaf.

In lei una mescolanza di campane a stormo,
di pioggia a dirotto, di cannonate,
di insulti, di gemiti, di mormorii, di fantasmi…
Così noi, a un tratto, quasi senza volerlo,
ci sentivamo nei suoi confronti buoni come dei giganti con una lillipuziana.

Attraverso la sua gola passava il dolore, passava la fede,
passavano le stelle, passavano le campane…
Giocando, come una gigantessa, ci prendeva nella mano,
come tanti miseri Gulliver.

Ma in lei, artista autentica, la cosa più importante
era che, a dispetto della morte che l’aspettava,
per la sua gola passavano nuovi artisti,
che dietro si lasciavano nodi di lacrime.

Così la Piaf, uscendo di scena, come tuono,
profetizzava nella sua frenesia.
La piccola civetta cantava, come canterebbe una chimera
caduta sul palcoscenico dall’alto di Notre-Dame.

26 marzo 2017

Alfonso Gatto - Sera di Napoli

foto di Fabrizio Reale - Napoli, fontana di Monteoliveto e palazzo Gravina
Alfonso Gatto - Sera di Napoli
 
                                              a Paolo Ricci

La canzone dei poveri s'accende
dopo la sera con un lume solo.
E la vecchia città murata al cielo
nella rotonda cupola dell'erba
rispecchia nel suo freddo stacco il giorno
sbiadito dai garofani.
                              Dispera
in un'allegra povertà la voce
sciupata d'una femmina, il fanciullo
che corre sulle case: alle ringhiere
tese nei fili ancor si spoglia il bianco
riverbero dei muri e tocca il capo
fatto già d'ombra a una donna uscita
al suo balcone d'aria con la mano
dolcissima sul petto.
                             Basta il vento
l'ultimo vento della sera ai lumi
che tornano dal mondo, a quell'odore
sbiadito di garofano se il cuore
trema ogni volta d'apparire al canto
triste che cerca la felicità.

Primo Levi - Scacchi

foto da mobileswall.com

Primo Levi - Scacchi

Solo la mia nemica di sempre,
l’abominevole dama nera
ha avuto nerbo pari al mio
nel soccorrere il suo re inetto.
Inetto, imbelle, pure il mio, s’intende:
fin dall’inizio è rimasto acquattato
dietro la schiera dei suoi bravi pedoni,
ed è fuggito poi per la scacchiera
sbieco, ridicolo, in passetti impediti:
le battaglie non son cose da re.
Ma io!
Se non ci fossi stata io!
Torri e cavalli sì, ma io!
Potente e pronta, dritta e diagonale,
lungi portante come una balestra,
ho perforato le loro difese;
hanno dovuto chinare la testa
i neri frodolenti ed arroganti.
La vittoria ubriaca come un vino.

Ora tutto è finito,
sono spenti l’ingegno e l’odio.
Una gran mano ci ha spazzati via,
deboli e forti, savi, folli e cauti,
i bianchi e i neri alla rinfusa, esanimi.
Poi ci ha gettati con scroscio di ghiaia
dentro la scatola buia di legno
ed ha chiuso il coperchio.
Quando un’altra partita?

9 maggio 1984

Lars Gustafsson - Sulla ricchezza dei monti abitati

foto da irumoridellanima.com
Lars Gustafsson - Sulla ricchezza dei monti abitati

In alcuni mondi è stata confermata
la supposizione di Riemann sui numeri primi

In alcuni mondi si ottengono
da antichissimi funghi ampie confessioni

In qualche mondo il profondo buio è
illuminato da meravigliose pietre parlanti

In parecchi mondi l'estate dura
un secolo e chi ha la sfortuna

di nascere nel secolo invernale
passa la vita in sonno

appeso nella parte impellicciata di
bozzoli color grigio chiaro

In alcuni mondi anche questa poesia è
già stata scritta da innumerevoli poeti.

Cesare Pavese - Incontro

foto da nikonclub.it
Cesare Pavese - Incontro

Queste dure colline che han fatto il mio corpo
e lo scuotono a tanti ricordi, mi han schiuso il prodigio
di costei, che non sa che la vivo e non riesco a comprenderla.

L'ho incontrata, una sera: una macchia più chiara
sotto le stelle ambigue, nella foschia d’estate.
Era intorno il sentore di queste colline
più profondo dell'ombra, e d'un tratto suonò
come uscisse da queste colline, una voce più netta
e aspra insieme, una voce di tempi perduti.

Qualche volta la vedo, e mi vive dinanzi
definita, immutabile, come un ricordo.
Io non ho mai potuto afferrarla, la sua realtà
ogni volta mi sfugge e mi porta lontano.
Se sia bella, non so. Tra le donne è ben giovane:
mi sorprende, a pensarla, un ricordo remoto
dell'infanzia vissuta tra queste colline,
tanto è giovane. È come il mattino. Mi accenna negli occhi
tutti i cieli lontani di quei mattini remoti.
E ha negli occhi un proposito fermo: la luce più netta
che abbia avuto mai l'alba su queste colline.

L'ho creata dal fondo di tutte le cose
che mi sono più care, e non riesco a comprenderla.

(da "Lavorare stanca", 1936)

Umberto Piersanti - Per un'estate degli anni '60

Spoleto, da laspoletonorciainmtb.it
Umberto Piersanti - Per un'estate degli anni '60

Non era ad aprile questo vento intirizzito
lo spessore grigio degli spruzzi
i vicoli verdastri di pomeriggi
lenti, appiccicati sulle tele
e la pelle dell’estate ambrata
splendida per i soli artificiali
di notturne balere cerchiate
da una campagna ostinata
alle ferite di metalli lucidi
del cemento invetriato, all’insulto
di carte argentate, delle plastiche sparse
un’estate ormai languida, dissolta
in scroscio potente d’acqua.
Avevo saputo allora del surf
le moschee di calce di Marrakech
a luglio t’eri oscurato ad Agadir
il biondo aristocratico della pelle
a causa della sabbia e per il corallo
bluastro sotto le rupi di mare
quindi, prima della fine d’estate
senza ragione eri venuta
in queste mie piazze luminose
composte tra chiari palazzi
della Rinascenza e valli
d’Appennino zeppe di pievi.
Intatto di rupi e rocche
scendemmo per stradini nel Montefeltro
a piedi, i tuoi calzoni bianchi attillati
i primi così sexy dalla città
presagio d’altri decenni e differenti.
Era l’ultimo atto d’adolescenza
alla dolcezza scoperta delle membra
il centro della carne già pervenuto
nei languori umidi dei pomeriggi
una spossatezza adulta.
Le gocce frantumate nelle cole
il libro di Pavese sopra il letto
nell’albergo deserto erano i tuoi vestiti
splendidi e fitti come mai visti.
Jet-society era una parola sconosciuta
la sera che partivi da Fiumicino
un aeroporto di luci nel settembre.

24 marzo 2017

Il suo nome è insonnia – Enzo montano

Maurits Cornelis Escher – Vincolo d'unione, 1956.

Il suo nome è insonnia – Enzo montano

Ti prende, ti rivolta e ti ribalta,
ti sconvolge e ti rigira;
ti concede solo l’illusione del ritiro
e di nuovo ti solletica, ti provoca
ti irride, ti sbeffeggia, ti canzona, ti tortura;
il suo velo leggero ti si distende sopra,
piano poi ti avvolge, ti stringe lentamente,
ti sfianca e poi ti soffoca senza darti scampo.
Quando, spossato, il sonno timidamente
Si fa strada con lentezza estrema,
eccola riprendere il sopravvento,
ti urla forte nelle orecchie,
rimbomba nel cervello fino a far schizzare
le cellule sulle pareti buie,
assieme ai pensieri e le illusioni.

Nel cranio si conficca un chiodo
poi un altro e un altro ancora.  Ancora uno
penetra la sommità del capo;
i colpi del suo maglio rimbombano
nella fronte fino alle lacrime,
apre le porte dell’oblio che volevi chiudere
per sempre, con forza ti conduce lì dove
il passaggio si fa angusto e i rovi si accavallano,
ti sanguinano gli zigomi e le narici
fino alle dolorose lacrime rosse.

Non dà scampo il rimbombo del tempo.
Nel mentre l’alba scopre le linee
delle cose, quando la finestra
riprende i suoi contorni al buio,
la dolce tregua consolatrice arriva
ma già il sole pone fine all’agognato sollievo
mente lei conficca gli stuzzicadenti
acuminati negli occhi del nuovo giorno.

Il suo nome è insonnia
e porta il tuo stesso nome.