29 luglio 2021

Chi mi condurrà - Vladimir Nabokov

Jean-Baptiste Corot - I salici di Marissel, 1857, olio su tela 
Chi mi condurrà - Vladimir Nabokov 

Chi mi condurrà a casa per la strada sconnessa,
vicino alle paludi grigie e ai campi che scorrono?
Chi, voltandosi verso di me, indicherà con il frustino
la casa che rinverdisce tra le betulle e i sorbi?
Chi mi aprirà la porta? Chi piangerà sull’uscio?
E ora, in questo stesso istante,
c’è qualcuno che all’improvviso
ha sentito che in un paese lontano
passeggio sotto la luna e canto al passato?

Era di Maggio - Roberto Murolo

Jean-Baptiste Corot - Dreamer at the Fountain, c.1860, Olio su tela

Era di Maggio - Roberto Murolo

Era de maggio e te cadéano 'nzino
A schiocche a schiocche, li ccerase rosse
Fresca era ll'aria e tutto lu ciardino
Addurava de rose a ciento passe
Era de maggio, io no, nun mme ne scordo
Na canzone cantávamo a doje voce
Cchiù tiempo passa e cchiù mme n'arricordo
Fresca era ll'aria e la canzona doce
E diceva: "Core, core!"
Core mio, luntano vaje
Tu mme lasse, io conto ll'ore
Chisà quanno turnarraje!"
Rispunnev'io: "Turnarraggio
Quanno tornano li rrose
Si stu sciore torna a maggio
Pure a maggio io stóngo ccá
Si stu sciore torna a maggio
Pure a maggio io stóngo ccá"
E só' turnato e mo, comm'a na vota
Cantammo 'nzieme la canzona antica
Passa lu tiempo e lu munno s'avota
Ma 'ammore vero no, nun vota vico
De te, bellezza mia, mme 'nnammuraje
Si t'arricuorde, 'nnanz'a la funtana
Ll'acqua, llá dinto, nun se sécca maje
E ferita d'ammore nun se sana
E te dico: "Core, core!"
Core mio, turnato io só'
Torna maggio e torna 'ammore
Fa' de me chello che vuó'!
Torna maggio e torna 'ammore
Fa' de me chello che vuó'!"

 

Bordone - Federico García Lorca

Jean-Baptiste Corot - Agostina, 1866, olio su tela, 132.4 x 97.6 cm, National Gallery of Art, Washington DC
Bordone - Federico García Lorca

Ti vedrò?
Non ti vedrò?
A me importa
soltanto il tuo amore.
Hai sempre il riso di allora
e quel cuore? 

 

Sarei già andato davvero lontano - Johann Wolfgang Goethe

Jean-Baptiste Corot - Giovane donna nel bosco
Sarei già andato davvero lontano - Johann Wolfgang Goethe

Sarei già andato davvero lontano,
Tanto lontano quanto è grande il mondo,
Se non mi trattenessero le stelle
Che hanno legato il mio al tuo destino,
Così che solo in te posso conoscermi.
E la poesia, i sogni, il desiderio,
Tutto mi spinge a te, alla tua natura,
E dalla tua dipende la mia vita.


 

La danza immobile – Alejandra Pizarnik

Jean-Baptiste Corot - Juive d`Alger (conosciuto anche come L`Italienne), 1870, olio su tela, 44.7 x 37.4 cm
La danza immobile – Alejandra Pizarnik

Messaggeri nella notte annunciarono quello che non ascoltammo.
Cercammo sotto l’ululato della luce.
Arrestammo l’avanzamento di mani inguantate
che strangolavano l’innocenza.

Ma se si nascosero nella dimora del mio sangue,
perché non mi trascino fino all’amato
che muore dietro la mia tenerezza?
Perché non fuggo
e mi inseguo con coltelli
e deliro?

Di morte si è tessuto ogni istante.
Io divoro la furia come un angelo idiota
invaso di erbacce
che impediscono di ricordare il colore del cielo.

Ma loro ed io sappiamo
che il cielo ha il colore dell’infanzia morta.

Trad. Florinda Fusco

 

Abbiamo perso - Pablo Neruda

Jean-Baptiste Corot - In the Garden at the Ville d'Avray, 1845, olio su tela, 75 x 53 cm

Abbiamo perso - Pablo Neruda

Abbiamo perso anche questo crepuscolo.
Nessuno ci ha visto stasera mano nella mano
mentre la notte azzurra cadeva sul mondo.

Ho visto dalla mia finestra
la festa del tramonto sui monti lontani.

A volte, come una moneta
mi si accendeva un pezzo di sole tra le mani.

Io ti ricordavo con l'anima oppressa
da quella tristezza che tu mi conosci.

Dove eri allora?
Tra quali genti?
Dicendo quali parole?
Perchè mi investirà tutto l'amore di colpo
quando mi sento triste e ti sento lontana?

E' caduto il libro che sempre si prende al crepuscolo
e come cane ferito il mantello mi si è accucciato tra i piedi.

Sempre, sempre ti allontani la sera
e vai dove il crepuscolo corre cancellando statue.


 

La signora Reece - Edgar Lee Masters

Jean-Baptiste Camille Corot - Jeune femme a la fontaine, olio su tela, 65 x 42 cm

La signora Reece - Edgar Lee Masters

A questa generazione vorrei dire:
imparate a memoria qualche verso di verità o bellezza.
Vi potrà servire una volta nella vita.
Mio marito non ebbe niente a che fare
col crollo della banca - era solo cassiere.
Il crac fu colpa del presidente, Thomas Rhodes,
e del suo fatuo figliolo senza scrupoli.
Però mio marito fu spedito in prigione,
e io restai sola coi figli,
a nutrirli e vestirli e istruirli.
E lo feci e li avviai
nel mondo tutti lustri e robusti,
e questo grazie alla saggezza di Pope, il poeta:
"Recita bene la tua parte, in questo consiste l'onore".


 

Sonata a solo per liuto - Saadi Youssef

 Jean Baptiste Camille Corot - Young woman in a red dress
Sonata a solo per liuto - Saadi Youssef

1.
L’orologio batté il decimo rintocco
batté le dieci l’orologio
scoccarono le dieci.
Oltre il campanile della chiesa una stella brillò e scomparve
un usignolo si dileguò tra i pini
nel verde miraggio della notte.
Entra nella mia casa ragazza
la casa è il mio santuario.
La chiesa è chiusa
i lumi spenti
i tovaglioli umidi di bevande.

2.
Nel sentiero del giardino
tacciono l’acqua, le foglie secche
e le ombre profonde.
Nel sentiero del giardino
non hanno cantato i passeri
il torrente sussurrante
non ha cantato per il giardino…
O Dio delle sillabe sommerse
dov’è, dov’è l’assonnata vibrazione dell’eco.
La sua mano nella mia
il giardino nel mio petto.

Trad. Fawzi El Delmi


William Shakespeare - Quante volte, o mia musica

Fernando Botero - La spiaggia, 1998

William Shakespeare - Quante volte, o mia musica

Quante volte, o mia musica, quando fai della musica
Con quello strumento beato che fa nascere i suoni
Con le tue dolci dita, e sulle corde, con grazia
Componi un'armonia che l'orecchio rapito conquista,
Provo invidia degli agili salterelli protesi
Agilmente a baciarti i polpastrelli teneri
Mentre le labbra vogliose di mietere il raccolto
Di fronte a quell'audacia accanto a te si infiammano.
Anche solo per essere sfiorate come loro
Prenderebbero il posto dei legnetti danzanti
Sui quali tu fai scorrere con tale grazia le dita
Da rendere il legno felice più delle labbra vive.
E se quegli sfacciati saltarelli son così fortunati
Dà le tue dita da baciare a loro, ma le tue labbra a me. Mostra meno



 

28 luglio 2021

Ciò che ti offro - Jorge Luis Borges

dipinto di Catherine Nolin

Ciò che ti offro - Jorge Luis Borges

Ti offro strade difficili, tramonti disperati
la luna di squallide periferie.
Ti offro le amarezze di un uomo
che ha guardato a lungo la triste luna.

Ti offro i miei antenati, i miei morti,
i fantasmi a cui i viventi hanno reso onore col marmo:
il padre di mio padre ucciso sulla frontiera di Buenos Aires,
due pallottole attraverso i suoi polmoni, barbuto e morto,
avvolto dai soldati nella pelle di una mucca;
il nonno di mia madre – appena ventiquattrenne –
a capo di un cambio di trecento uomini in Perù,
ora fantasmi su cavalli svaniti.

Ti offro qualsiasi intuizione sia
nei miei libri, qualsiasi virilità o vita umana.
Ti offro la lealtà di un uomo
che non è mai stato leale.
Ti offro quel nocciolo di me stesso
che ho conservato, in qualche modo –
il centro del cuore che non tratta con le parole,
né coi sogni e non è toccato dal tempo,
dalla gioia, dalle avversità.

Ti offro il ricordo di una
rosa gialla al tramonto,
anni prima che tu nascessi.
Ti offro spiegazioni di te stessa,
teorie su di te, autentiche e sorprendenti notizie di te.

Ti posso dare la mia tristezza,
la mia oscurità, la fame del mio cuore;
cerco di corromperti con l’incertezza,
il pericolo, la sconfitta.

La luna - Jorge Luis Borges

Catherine Nolin - Nicolette dreams the night away

La luna - Jorge Luis Borges

C’è tanta solitudine in quell’oro.
La luna delle notti non è la luna
che vide il primo Adamo. I lunghi secoli
della veglia umana l’hanno colmata
di antico pianto. Guardala. È il tuo specchio.

Se mi chiamassi, sì - Pedro Salinas

dipinto di Catherine Nolin

Se mi chiamassi, sì - Pedro Salinas

Se mi chiamassi, sì,
se mi chiamassi!
Io lascerei tutto,
tutto io getterei:
i prezzi, i cataloghi,
l'azzurro dell'oceano sulle carte,
i giorni e le loro notti,
i telegrammi vecchi
e un amore.
Tu, che non sei il mio amore,
se mi chiamassi!

E ancora attendo la tua voce:
giù per i telescopi, da una stella
attraverso specchi e gallerie di anni bisestili
può venire. Non so da dove.
Dal prodigio, sempre.
Perché se tu mi chiami
sarà da un miracolo,
ignoto, senza vederlo.


 

Il corso di un particolare - Wallace Stevens

dipinto di Catherine Nolin

Il corso di un particolare - Wallace Stevens

Oggi le foglie gridano, sospese ai rami battuti dal vento,
eppure il nulla dell’inverno un poco si assottiglia.
È ancora pieno di ombre gelate e forme di neve.

Le foglie gridano… A distanza, si sente solo il grido.
È un grido indaffarato, che riguarda qualche altro.
E sebbene si dica che si è parte del tutto,

c’è un conflitto, una resistenza implicata;
l’essere parte è un impulso che declina:
si sente la vita di ciò che dà vita com’è.

Le foglie gridano. Non è grido di pietà divina,
né l’alito estremo di eroi senza fiato, né grido umano.
È il grido di foglie immanenti a se stesse,

vuote di fantasia, che non significano più di quello che sono
all’orecchio di chi finalmente le accolga, è la cosa
stessa, finché in ultimo il grido non riguarda nessuno.

Trad. Nadia Fusini



 

Sonetto dell'assenza - José Albi

Catherine Nolin - Manhattan interior

Sonetto dell'assenza - José Albi

Mi senti, amore? C’è un rombo di treni,
o di follatrici o di trebbiatrici
che ti allontana da me. No, non dirmi
che te ne andrai per sempre. Le banchine

si sono svuotate. Io torno. Soffri
perché soffri, cuore. Non continuare,
non continuare ad andare. Altri affanni,
altro amore perduto se non vieni.

Ah, dolore, so cosa mi succede.
Senza te non è più mia la mia casa,
l’aria non si respira e non si scalda.

So che sei dentro di me, ma non basta
benché penetri nelle ossa, finché
continua la pena che provi tu.

Al risveglio - Rabindranath Tagore

Catherine Nolin - Art studio
Al risveglio - Rabindranath Tagore

Al risveglio ho trovato
con la luce una lettera.
Ma non posso sapere
che dice: non so leggere.

E non voglio distrarre
un sapiente dai libri:
ciò che c’è scritto forse
non lo saprebbe leggere.

La terrò sulla fronte,
la terrò stretta al cuore.
Quando scende la notte
ed escono le stelle,
la porterò sul grembo
e resterò in silenzio.

E me la leggeranno
le foglie che stormiscono,
e ne farà il ruscello
col suo scorrere un canto
che a me ripeterà
anche l’Orsa dal cielo.

Io non lo so trovare
quel che cerco, o capire
cosa dovrei imparare,
ma so che questa lettera
che non ho letto, ha reso
più lieve il mio fardello,
e tutti i miei pensieri
ha mutato in canzoni.  

Ombra - Wisława Szymborska

Catherine Nolin - Boticelli by the sea
Ombra - Wisława Szymborska

La mia ombra è come un buffone
dietro la regina. Quando lei si alza,
il buffone sulla parete balza
e sbatte nel soffitto col testone.

Il che forse a suo modo duole
nel mondo bidimensionale.
Forse al buffone non va la mia corte
e preferirebbe un diverso ruolo.

La regina si sporge dal balcone
e dal balcone lui si butta giù.
Così hanno diviso ogni azione,
però a uno ne tocca assai di più.

Si è preso il merlo i gesti liberali,
il pathos con la sua impudenza
e tutto ciò per cui non ho la forza
- corona, scettro, mantello regale.

Lieve sarò, ah, nell´agitare il braccio,
ah, lieve nel voltare indietro il capo,
sire, nell´ora del nostro commiato,
sire, alla stazione ferroviaria.

Sire, in quel momento sarà il buffone
a sdraiarsi sui binari alla stazione.

Enzo Montano, ''Rămas-bun - Saluto'

Iain Faulkner - Tramonto
Enzo Montano, ''Rămas-bun - Saluto''

Sunt amintiri care fug,
zadarnice-s încercările
de-a le opri
de-a le reține.
N-are rost a le urmări
durerea o să-înceteze
cum încetează memoria
amintirilor ce stau să fugă.
Amintiri lungi
cât o zi de martie lungă
sau cât o vară
care dansează cu vântul
și pleacă.
Și se risipesc
ca răsuflarea unui adio
într-o dimineață senină
de toamnă.


-traducere de Catalina Franco-
-------------------------------------------------
Ci sono ricordi che fuggono,
vani sono i tentativi
di afferrarli
di trattenerli.
Inutile inseguirli
il dolore cesserà
come cessa la memoria
dei ricordi che vogliono fuggire.
Ricordi lunghi
quanto un giorno di marzo
o quanto l’estate
che danzano col vento
e si allontanano.
Si disperdono
come il fiato di un addio
in un bel mattino di sole
dell’autunno.

Enzo Montano


Grazie carissima Katy per quest'altra preziosa traduzione.





 

la lontananza - Juan Gelman

dipinto di Aldo Balding

la lontananza - Juan Gelman

 

questo aroma di te/ sale?/scende?/
viene da te?/da me?/in che altro
mi dovrei trasformare?/che altro
di me/dovrei essere/
per sapere/vedere/i frammenti
di mondo che in silenzio unisci?/
così bruci distanze?/
mi restituisci al mio animale?/così
mi dai grandezza/o corpo
che invadi con la tua assenza?/
con il tuo sguardo che
non tornerà al tuo occhio/già febbre
senz’altro padrone che il cammino?/
sei qui/è come dire/tutto è qui/
il vuoto e l’unione/e tu/e la
disordinata solitudine/



la lejanía

 

este aroma de vos/¿sube?/¿baja?/
¿viene de vos?/¿de mí?/¿en qué otro
me debería convertir?/¿qué otro/
de mí/debiera ser/
para saber/ver/los pedazos
de mundo que en silencio juntás?/
¿así quemás distancias?/
¿me devolvés a mi animal?/¿así
me das grandeza/o cuerpo
que invadís con tu ausencia?/
¿con tu mirada que
a tu ojo no volverá/ya fiebre
sin otro dueño que el camino?/
estás aquí/es decir/todo está aquí/
el vacío y la unión/y vos/y la
desordenada soledad/


 

Notte - Juan Gelman

Aldo Balding - Momenti 

Notte - Juan Gelman

 

Fa freddo in questa zona del paese

dove non c’è il tuo corpo e c’è bisogno

del calore del tuo corpo e non mi sento

addolorato o pentito o triste ma

soltanto solo.

Sto seduto come un invalido nel deserto del mio

desiderio di te.

Mi sono abituato a bere la notte lentamente, perché so che la abiti, non importa dove, popolandola di sogni.

Il vento della notte abbatte stelle tremanti fra le mie mani, che ancora non si adattano, vedove inconsolabili della tua chioma.

Nel mio cuore si agitano gli uccellini che in lui hai seminato e a volte gli darei la libertà che esigono per ritornare a te con il gelido filo del coltello.

Ma non può essere. Perché sei tanto in me, tanto viva in me, che se morissi io, ti morirei.

da “Prima che tu dica” - Italo Calvino

da “Prima che tu dica” - Italo Calvino

 Vorrei portarti con me.

Resisteresti poco, al freddo senza l’afa estiva ma sarebbe un’esperienza diversa, no? Poi ti riporterei indietro, come è giusto che sia. Ma per un po’ ti porterei con me.

Ti racconterei le cose che non avrò il tempo di finire di dirti. Solo per quello, per trovare il modo che duri di più. Ti farei guardare il mare freddo, così apprezzeresti il tuo. Ti farei una foto e la lascerei nel cassetto per le volte che avrò voglia di guardarti con i capelli scompigliati e il sorriso accennato.

Mangeremmo e dormiremmo poco perché non ci sarebbe il tempo; tutto quello che vorresti cercherei di dartelo. Ti farei esprimere un desiderio e lo esaudirei. Solo uno, perché tre non sarei capace.

Ti farei almeno un paio di domande scomode, perché così ti fideresti di me; perché così, se ti telefonassi almeno una volta, sussulteresti un pochino e quando deciderai di andare via, ci sarà almeno una volta in cui vorrai tornare.

Vorrei che ti fossi innamorata di me, per chiedermi di restare. Ma forse tu impieghi tanto per innamorarti e allora è per questo che vorrei portarti con me: per farti innamorare.

Verresti?

No, non verrei. Perché dovrei?

Non credo che mi riporteresti indietro, non voglio che tu faccia di tutto per me. Il suono è simile a quello della tua voce, non della mia: vorrei che lo capissi e te ne rendessi conto. Le tue parole sono esigenti e mi si stringono al cuore. L’unisono tra di noi non funziona. Il moto di due anime in una non esiste. Non vorrei foto di questo momento, né motivi per lasciare che non finisca. È doloroso da ricordare. Cosa c’è di poetico in una sensazione moritura? Se lo volessi, non farei in modo che arrivi la fine. Perché è questo il punto: io sto facendo in modo che l’ultimo secondo di tutto accada, capisci? Permettimi di dire di no. Permettimi di non esserti accanto. Permettimi di decidere di non esserci come vuoi tu.

Pensare che sia per due, per renderti i pensieri più facili; lo sai che mi stai raccontando una bugia mentre mi chiedi ‘verresti?‘

Certo che lo sai.

Venire? Cosa potrebbe dire? Cosa saremmo?

La mia automobile scivola da sola verso casa mentre rileggo le tue parole. Cerco di trovare interpretazione, tentando di valicare le frasi così come sono – cunei – e trovarci l’intenzione inespressa di dire dell’altro. Cerco titubanze, virgole, mi soffermo sui dettagli. Ma io di dettagli non capisco nulla. Non so come sono fatti, in verità.

Potrei rimanere attaccato alla balaustra a due mani, mangiare tutte le merendine della macchinetta accanto all’ingresso del gate pur di restare a guardare il fiume da un lato e la strada dall’altro.

Fissare l’asfalto fino a farmelo entrare negli occhi e bucarmeli per non vedere la via di casa: questo dovrebbe accadere affinché io vada via da qui e mi rassegni alle tue parole. Credevo di non essere capace di rimanere in silenzio a guardare. Sono solito pensare di me cose molto positive: grande cuore, grande testa, spirito d’iniziativa, forte indipendenza; pensavo di non essere capace di restare a guardare inerme.

È una di quelle circostanze che non si addicono agli spiriti vincenti. È come ammettere di avere un buco scoperto e lasciare che qualcuno ci infili un dito dentro, stracciando carne e tessuti, graffiando vasi, fino a tingere di rosso i vestiti e non poter, così, celare l’affanno.

Eppure io sono un tipo sveglio, non mi lascio abbindolare facilmente; ho sempre saputo tenerle a distanza e prosciugarne il necessario. Ecco, sì: non sono mai andato al di là del necessario con quasi nulla. Solo di foglie d’albero ne ho troppe, perché ne faccio collezione.

Ne ho mangiate molte di merendine della macchinetta ma adesso, alla guida, con le mani poco convinte e smaniose, non ne ricordo il sapore singolo e anche gli incartamenti mi paiono tutti uguali. Non posso distinguere il caramello dal fiordilatte e questi dal cioccolato: ho un solo amalgama appiccicaticcio nella bocca.

Mi sembra strano sentirmi così sopra le righe. Mi sembra strano, ancora, sentire quegli occhi addosso. I tuoi e i miei insieme, che erano altro, lo sono stato lo so, lungo il fiume e poi sono irrimediabilmente scomparsi dopo un battito di ciglia. Un movimento fisiologico ne ha decretato la fine ed io lo vado cercando, adesso, mentre mi dirigo verso casa, seguo la scia per provare a seguirti.

Che pena. Sperare, intendo. È la pena di chi non sa rinunciare.

Non so raccontare una volta in cui tu mi avevi detto di essere felice, in effetti. E nemmeno una volta in cui te l’ho detto io, d’altronde. Non credo minimamente di esserti venuto incontro per davvero, con foga ed eccitazione, per abbracciarti di sorpresa.

Non mi viene in mente la prima volta che t’ho visto. So quand’è, con precisione, perché io ero al bancone di un bar con una ragazza che mi piaceva molto. E che ho abbracciato con slancio e voluto tante di quelle volte da essermene invaghito e addirittura innamorato a un certo punto.

Ricordo d’averti preso in consegna nella mia mente, ma non d’averti visto. Non so nemmeno com’eri vestita. So solo che ti sei passata una mano tra i capelli, il gesto più comune che si possa recuperare nella memoria. Eppure io l’ho registrato. In realtà potrebbe essere falso. Potrei aver traslato la mano di un altro sulla tua e adesso cucirti addosso un movimento che non t’è appartenuto.

Avevi un braccialetto che si compra al mare, di quelli di cotone colorato, che dicono porti fortuna e poi, un giorno, si spezzi per far avverare un desiderio. Di quelli che hanno tutti, eccetto me, poiché io non li sopporto: rimangono bagnati per ore, dopo la doccia, ed umidi sulla pelle.

Mi sono chiesto quale potesse essere il tuo desiderio. È la prima cosa su cui mi sono interrogato guardandoti quella volta e pensandoti i giorni successivi. Se tu avessi un desiderio sopra tutti, se fosse legato a quel braccialetto o a un sentimento. Ho sentito il bisogno di saperlo, come se fosse il tuo nome.

Avevi anche un anello costoso. Sottile, ma prezioso. Un anello facile, che non sorprende se lo regali. Non so perché l’avessi notato. Niente a che vedere coi tuoi occhi, mi rendo conto. A chiunque avessi chiesto di te nei giorni seguenti, continuavo a dire di non avere in mente i tuoi occhi: eppure sono meravigliosi. Non mi viene un’altra parola in mente. Dovrei inventarla ma non sono capace, tu lo sai. Posso fartelo intuire ma non so spiegarlo.

Non capisco perché non me li sono incollati addosso. Avevo notato di te solo i dettagli peggiori fra tutti gli altri; ciononostante ti cercavo già il giorno dopo. Mentre passeggiavo sotto casa tua, nelle sere a seguire, speravo di notare i tuoi movimenti alla finestra oppure con chi saresti uscita. Desideravo vederti da sola, che, una volta sull’uscio, ti guardassi intorno e vedendomi rimanessi piacevolmente compiaciuta.

Avrei voluto essere io nei tuoi sogni, a ispirare i tuoi sonni e farti felice. Ma lo so di non potere. Eppure questa consapevolezza non m’ha fatto smettere di volerti portare via con me.

Non capisco. Non capisco cosa vuoi dire. Mi pare assurdo che tu pensi di poter amarmi. Quanto abbiamo passato insieme? Non capisco perché tu voglia portarmi con te. Non sai nulla.

Ti ho rubato anche un sorriso triste quella sera. È andata così: io ti ho guardata per un momento, mentre ti passavi le mani nei capelli, e stavi sorridendo, ma non alla persona con cui parlavi. Sorridevi, rivolta verso il basso come per un pensiero veloce da far svanire. E, rivolto di nuovo il tuo volto verso l’alto, ti ho sorpresa triste, come se quel pensiero felice andasse celato.

Sorridi solo quando qualcuno o qualcosa ti fa ridere, ma non dovresti. A me piace, ma non dovresti. La felicità pare si auguri a tinte pastello e così mi tocca fare, con te, adesso: cercare di farti togliere dal viso i tuoi sorrisi tristi, come ho sempre fatto, d’altronde.

Potremmo essere in giro a passeggiare in una città qualunque, col caldo, mano nella mano e io dovrei accorgermi del tuo sorriso triste e allora darti un bacio o prenderti il viso e farti fare una smorfia che mimi la gioia. Sorrideresti e il mio desiderio di felicità per te sarebbe compiuto. La verità è che i tuoi sorrisi tristi a me piacciono, perché a te stanno bene, perché li sai trattare, li sai adoperare e mettere in fila senza che rompano le righe. Se lo facessi io sarei penoso.

Questo è il punto: faccio pensieri e desidero cose nuove. Non importa cosa so. Per la prima volta, non importa.

Non so da dove vengono o come si chiamino e non potrei spiegarle a nessuno eccetto te, con un po’ di tempo, con un po’ di pause, con quei silenzi che non saprei riempire, all’inizio. Ma potrei imparare.

Sono un pessimo romantico, lo ammetto. È per questo che non sono riuscito a farti innamorare. Lo so che è così. Ho immaginato che potessi bastare io, con i miei modi normali e l’aria spavalda. Fintamente sicura. E del tempo, per spiegarti quello che manca, per farti vedere che ne sarebbe valsa la pena, alla fine.

Ho provato, che dire, a farmi scegliere. Ho sperato. Dovevo. Era una possibilità, capisci? Come fare a metterla via, a dimenticarla. Forse aspettando, forse non era il momento. Forse io e te abbiamo un altro tempo. Sono sicuro che con qualche giorno in più, ora in più, ti avrei portato via con me. È l’idea che almeno una volta succeda, no? Hai presente? Quell’idea invasiva e sotterranea che si inabissa o si palesa e lo fa una volta sola per tutte e se l’avverti non puoi far finta di niente se hai un po’ di senno.

Come un sibilo fluttuante e sinuoso.

A me è successo questo: non sono riuscito a fare finta di niente, non volevo, in fondo. Non potevo far altro che cercare di portarti con me, dal profondo, per egoismo quasi, per farmi stare bene. Anche se sapevo di non potere. Anche se era rischioso. Anche se tu non vuoi, anche se, infine, la tua felicità non dipende da me.

E non posso fare a meno di chiedertelo di nuovo. Solo per essere sicuro.

Verresti?

 

 


 

Bonaccia – Ernest Hemingway

dipinto di Joaquin Sorolla

Bonaccia – Ernest Hemingway

Il mare desidera scafi profondi…
Si gonfia e s’inarca.
L’elica pulsa e lo fa ribollire…
Spinge, vibra, s’avvita.
Il mare trabocca di passione,
Fluttuante, carezzevole,
Dimenando il gran ventre amoroso.
Antico e grande è il mare…
Le navi martellanti non ricambiano il suo amore.

 

Parigi, circa 1922


 

Spiegazione necessaria – Ghiannis Ritsos

dipinto di Henry Asencio

Spiegazione necessaria – Ghiannis Ritsos

 

Ci sono versi – a volte poesie intere –

che neanch’io so cosa voglion dire.

Quello che non so mi trattiene ancora. 

E tu hai ragione a chiedere.

Ma non chiedere a me.

Ti ho detto che non so.

Due luci parallele

dallo stesso centro. Il rumore dell’acqua

che cade, d’inverno, dalla grondaia colma

o il rumore di una goccia che stilla

da una rosa nel giardino annaffiato

lentamente, lentamente, una sera primaverile

come il singhiozzo di un uccello.

Non so cosa vuol dire questo rumore; e tuttavia l’accetto.

Le cose che so te le spiego. Non mi dimentico.

Ma anche queste cose aggiungono qualcosa

alla nostra vita. La guardavo

mentre dormiva, il ginocchio piegato ad angolo

sul lenzuolo –

Non era solo l’amore. Questo angolo

era il crinale della tenerezza, e il profumo

del lenzuolo, di pulito e di primavera completavano

quell’inspiegabile che ho tentato, ancora

inutilmente, di spiegarti. 


 

La disperazione di Penelope – Ghiannis Ritsos

Bela Kadar - Nudes

La disperazione di Penelope – Ghiannis Ritsos

Non è che non lo riconobbe alla luce del focolare;
non erano
gli stracci da mendicante, il travestimento – no;
segni evidenti:
la cicatrice sul ginocchio, il vigore, l’astuzia nello
sguardo. Spaventata,
la schiena appoggiata alla parete, cercava una scusa,
un rinvio, ancora un po’ di tempo, per non rispondere,
per non tradirsi. Per lui, dunque, aveva speso vent’anni,
vent’anni di attesa e di sogni, per questo miserabile
lordo di sangue e dalla barba bianca? Si accasciò muta
su una sedia,
guardò lentamente i pretendenti uccisi al suolo, come
se guardasse
morti i suoi stessi desideri. E “Benvenuto” disse,
sentendo estranea, lontana la propria voce. Nell’angolo
il suo telaio
proiettava ombre di sbarre sul soffitto; e tutti gli uccelli
che aveva tessuto
con fili vermigli tra il fogliame verde, a un tratto,
in quella notte del ritorno, diventarono grigi e neri
e volarono bassi sul cielo piatto della sua ultima pazienza.


 

25 luglio 2021

Da Parola carnale – Ghiannis Ritsos

dipinto di Henry Asencio

Da Parola carnale – Ghiannis Ritsos

 

Sei tornata ridendo dal mercato, carica

di pane, frutta e un’infinità di fiori. Sui tuoi capelli, vedo,

ha passato le dita il vento. Non lo amo il vento;

te lo ripeto. E poi, che te ne fai di tanti fiori? Quali fra tutti,

tra l’altro, ti regalò il fiorista? E magari nello specchio

del suo negozio è rimasta la tua immagine illuminata di lato

con una macchia blu sul mento. Non li amo i fiori. Sul tuo seno

un fiore grande quanto un giorno intero. Siedi dunque di fronte a me;

voglio guardare tutto solo come pieghi il ginocchio, e star lì a fumare

Finché cada la notte misteriosa e s’alzi magnetica sul nostro letto

una luna popolare da sabato sera, col violino, il salterio e un clarinetto.


 

Non avevo da aggiungere - Ghiannis Ritsos

dipinto di Henry Asencio

Non avevo da aggiungere - Ghiannis Ritsos


Non avevo da aggiungere

altro verso,

altra parola.

Nel tuo corpo vivevo

tutta la poesia

 


 

Parola Carnale 10 – Ghiannis Ritsos

dipinto di Henry Asencio

Parola Carnale – Ghiannis Ritsos

10

Tutti i corpi che ho toccato, che ho visto, che ho preso, che ho sognato, tutti
sono addensati nel tuo corpo. O, tu carnale Diotima
nel gran simposio dei Greci. Se ne sono andate le flautiste,
se ne sono andati filosofi e poeti. I begli efebi dormono già
lontano, nei dormitori della luna. Tu sei sola
nella preghiera che levo. Un sandalo bianco
dai lunghi lacci bianchi è legato alla gamba della sedia. Sei l’oblio assoluto;
sei il ricordo assoluto. Sei la non incrinata fragilità. Fa giorno.
Fichi d’India carnosi scagliati dalle rocce. Un sole rosa
immobile sul mare di Monemvasià. La nostra duplice ombra
si dissolve alla luce sul pavimento di marmo pieno di sigarette calpestate,
coi mazzetti di gelsomini infilati negli aghi di pino. O, carnale Diotima,
tu che mi hai partorito e che ho partorito, è ora
che partoriamo azioni e poesie, che usciamo nel mondo. Davvero, non scordare
quando vai al mercato di comprare mele in abbondanza,
non quelle d’oro delle Esperidi, ma quelle grosse e rosse, che quando affondi
nella polpa croccante i tuoi splendidi denti resta impresso,
come un’eternità sui libri, pieno di vita il tuo sorriso.

 Trad. Nicola Crocetti


 

13 luglio 2021

La porta - Enzo Montano

Edward Hopper - Stanze sul mare, 1951, olio su tela cm 73 x 102, Yale University Art Gallery, New Haven 
La porta - Enzo Montano 

Mille volte bussa il sogno alla tua porta  
e tu mille volte non lo riconosci

Sordo batte il pugno contro il legno duro
sordo tu non ascolti la sua armonia

chi all’amore chiede il compimento 
è anch’esso sordo se non ne coglie la voce

Virtù dell’ostinazione tu detti la regola
altrove libere con l’aria volano le virtù

Il tempo e la sua opera nulla cancellano
amore passione e voluttà intatti li restituisce

Quella porta lei varca e si materializza il sogno dolce della notte
uguale a quello delle mille notti precedenti 

il gallo canta e alla porta bussa il sogno 
si apre l'uscio al profumo del limone 

Il sole inonda la stanza di colori e luce
il mattino diventa giorno in danza con il sogno