29 settembre 2014

Ottobre - Enzo Montano



Ottobre - Enzo Montano

Attendo l’attimo del distacco doloroso
nel brivido della crudeltà meravigliosa
della luce luminosa del pomeriggio limpido.

In questo oceano di dolcezza annego e
attendo il refolo che dona la morte:
mi espunge dal ramo di una vita.

Per voi versi cesellati da poeti per me la fine,

per voi la vita è anni e somma di decenni;
per me solo incompleta evoluzione.

Il vento mi sostiene in giravolte tra le rose,
i raggi di luce esaltano riflessi d’oro,
pencolo leggera nell’ultimo respiro.

Vivo l’attimo di festanti bimbi:
dal portone della scuola gioiosi,
lungo la via dell’esistenza intera.

Amori nuovi di giovani fanciulle in fiore,
raggi delicati accarezzano lievi
ansanti membra abbronzate ancora.

Verde intenso poi giallo quasi oro: 

è questo il mio inverno, per voi ancor lontano.
Non bianco e alberi spogli ma tripudio di colori.

Inno possente della primavera,
ornamento fresco degli orpelli estivi.
Foglia calpestata e morta al termine del viale.

28 settembre 2014

Autunno romantico - Giosuè Carducci

Autunno romantico - Giosuè Carducci


Di sereno adamàntino su ’l vasto
Squallor d’autunno il cielo azzurro brilla,
Come di sua beltà nel conscio fasto
La tua fredda pupilla.

Come a te velo tenüe le membra
Nel risorger del tuo bel giorno a l’opre,
Nebbia la terra, che addormita sembra,
Argentëa ricopre.

Ed immoti per essa ergon le cime
Irte e umide i grigi alberi muti,
Quai nel pensier cui la memoria opprime
I dolci anni perduti.

E via sovr’ essi indifferente il sole,
Che al bel maggio rideva entro la folta
Fronda, ora fulge e non riscalda. O Jole,
Amiam l’ultima volta.

27 settembre 2014

Precoce autunno - Antonia Pozzi

 Precoce autunno - Antonia Pozzi

La nebbia è d'argento, cancella
le ombre dei pini:
sono più grandi i giardini
nell'alba.
Al pioppo una foglia è ingiallita,
un ramo è morto al castano
sul monte.
Spaventi che non sanno se stessi
dormendo nell'aria celeste:
questa fine che torna ogni anno,
che è nuova ogni anno.
Come l'ultimo albero del bosco,
l'ultimo uomo ha contato le morti:
pur la sua morte lo coglie
ancora stupito.
 

L'autunno - Umberto Saba


  Frederick Frieseke: Autunno

 L'autunno - Umberto Saba

Che succede di te, della tua vita,

mio solo amico, mia pallida sposa?
La tua bellezza si fa dolorosa,
e più non assomigli a Carmencita.
Dici: « È l’autunno, è la stagione in vista
sí ridente, che fa male al mio cuore ».
Dici – e ad un noto incanto mi conquista
la tua yoce – : « Non vedi là in giardino
quell`albero che tutto ancor non muore,
dove ogni foglia che resta è un rubino?
Per una donna, amico mio, che schianto
l'autunno! Ad ogni suo ritorno sai
che sempre, fino da bambina, ho pianto ».
Altro non dici a chi ti vive accanto,
a chi vive di te, del tuo .dolore
che gli ascondi.; e si chiede se più mai,
anima, e dove e a che, rifiorirai.

26 settembre 2014

Ma la tua voce - Edna St. Vincent Millay

Ma la tua voce - Edna St. Vincent Millay 

Ma la tua voce: non il mormorio
d'un ruscello che scorre sotterraneo,
non tra gli alberi il fremito del vento
che preannuncia la pioggia,
né il querulo vocìo della beccaccia,
né le note che emette il biancogola,
né i passi di bambini che trascinano
gialle foglie a ridosso dei sentieri
nell'azzurra amarezza dell'autunno,
placheranno la mente innamorata
della sola bellezza di quel suono
che in nessun modo più
potrà sentire.

23 settembre 2014

Ulisse - Enzo Montano

 Testa di Ulisse - Gruppo di Polifemo a Sperlonga
Ulisse - Enzo Montano 

l’ignoto è il mio tormento!
il limite mio non ancora tracciato è calcolo
ponderazione del mare e delle angolazioni astrali.
Io sono io, Nessuno e tutti; e insieme
i nervi del cervello fino al cuore,
catturare la vista di orizzonti nuovi
dopo l’orizzonte conosciuto là dove affonda il sole,
una danza di gioia sul riflesso
inafferrabile del raggio verde fugace:
questo il mio sogno!

Non m’interessa scalare l’olimpo
della cui inesistenza ho certezza;
d’altra parte cosa sono gli dei se non riflesso
illusorio di balli mascherati sortilegi vendette
nostre meschinità e paure?
Non sono stati forse dieci anni con noi tra i clangori,
ad aizzare senza fatica gli eroi
tra lo Scamandro e le mura di Ilio?
Elena l'alibi di un groviglio di capricci nati tra i nembi.

Io sono il dubbio
mosso dalla sfida perenne
quante volte sarà ribadito!

Penelope mia bianca Penelope
mio intenso profumo di menta selvatica
potrò mai ripagare pazienza, saggezza
e la tela di cristalli di lacrime divenute stelle?
Ti restituisco la vita
a Telemaco Itaca che fu di Laerte.

La guerra il lungo viaggio la sfida agli dei
Polifemo l'ira di Achille e la sua morte
mostri marini onde inaudite Lestrigoni;
della mia vita i Feaci ne fanno leggenda da raccontarmi.
Dopo i vent'anni cantati dal cieco
vissuti ogni giorno,
potevo fare teatro dei miei ultimi giorni,
un fazzoletto di terra rocciosa
con ulivi nespoli vigna e qualche mandorlo amaro,
nello specchio dello stesso cielo
testimonio del mio ardire perenne,
e ignorare il richiamo urlante
delle onde spumeggianti?

Verso altri mari mi condanna il ricordo insopportabile
dei troppi compagni caduti in ogni tappa,
ognuno di loro un punto iridescente dritto a prua,
dirige le mie nere vele in orizzonti proibiti.
Egoismo
o sete di luce rubata agli abissi dell'ignoranza?
La conoscenza è l'aria dei cervelli,
oltre ogni profumo di sale di mirto
... e anche di menta
che sento ancora ogni giorno in ogni respiro
e tutti i giorni mi perdo nei profumi del mondo,
ad ogni alba piango ogni volta il miracolo
della rugiada sull'erba nuova della primavera.
Ma io sono Ulisse di Itaca,
ed ognuno di voi!
E Gibilterra è uno stretto tra Spagna e Marocco
una porta sull'immensità dell'oceano azzurro
aperta sull’immensità del sapere
sola utile arma per ogni cassandra:
spostare oltre l'inimmaginabile le colonne
opprimenti della superstizione, la vera sfida.

E il la conoscenza si è aperta a tanti altri Odissei
affascinati dall'ignoto ogni volta con diverso nome
Fenici prima
poi Vichinghi Normanni
Magellano Colombo ... Amerigo...

Dante lo nega per rispetto al suo dio
ma la mia nave è passata

… ed è andata oltre.

La morte di Ulisse - Nikos Kazantzakis


Anonimo Fiorentino, Naufragio della nave di Ulisse, 1390 circa
La morte di Ulisse - Nikos Kazantzakis

Ritto sull’albero di mezzo, tra grappoli d’uva riccia,
il grande Viaggiatore ascoltava il canto del ritorno;
chiare e vuote le sue pupille, il cuore più leggero –
la vita e la morte un canto, e l’uccello è la nostra mente.
Si guarda intorno, muove le mani, stringe piano i denti,
affonda le mani tra i fichi, le melagrane e l’uva,
e intorno ai suoi lombi si rinfrescano i dodici dèi.
Il corpo intero del grande Giramondo si trasforma in bruma,
la sua goletta di neve, gli amici, i frutti e la memoria
oscillano lentamente come nebbia sul mare, svaniscono come rugiada.
Si dissolve la carne, si offusca lo sguardo, più non batte il cuore;
e la grande mente balza sulla vetta del suo sacro riscatto,
un palpito di ali vuote, e Odisseo, eretto nel vento,
si leva in volo, libero dall’ultima gabbia: la sua libertà.
Come nebbia ogni cosa si dissolve, e solamente un grido
sulle acque calme color notte sta sospeso per un istante:
“Forza, ragazzi, a prora soffia la dolce brezza della morte!”.

Da “Odissea”
Nikos Kazantzakis

17 settembre 2014

Don Chisciotte - Enzo Montano


Don Juan and Sancho Panza - Gely Korzhev-Chuvelyov
Don Chisciotte - Enzo Montano

                                                 “lo spavento e la paura;
                                                             fu per lui la gran ventura
                                                             morir savio e viver matto”


Chi l’avrebbe detto Sancio…

ossa rotte e bastonate a cominciare dai mulini
(ma che belle le carezze delle pale al bianco delle nubi)
assaliti dai pastori inferociti tra pascoli e ginestre
(ma la fame annebbia la mente, il cuore già lo era)
odo gli schiamazzi dell’assalto ai burattini
(semplice contesa tra diversi sogni per saggiare le armi)
botte da orbi anche da quei frati bui
(quanto fascino la dama di Siviglia nella sua organza frusciante).
Come spiegare al mondo intero mio scudiero che
barbieri funerali pecore e mulini
sono simboli reali di questa dura e cinica realtà nemica
tra tutti questi specchi deformanti che ottundono il cervello
ma
è vero fallimento la sconfitta di uno slancio generoso?
E quanto vile il riso di signori e duchi dietro un folle?

Derisi canzonati sbeffeggiati
difficile comprendere il volteggiare sul confine
di una realtà dalla saggezza piatta mai vissuta come mia,
troppo piccola la mia Mancia (e ogni altra) per l’immaginazione
chiamata a ponderare voli tra ideali sottaciuti
fastidiosi i doveri della noia del rosario quotidiano.
Sarei viaggiatore altrove già da tempo senza i libri
e i loro mondi alternativi assenti di confini
capaci di innalzare sentieri verso gli astri
altro che sbarre di una gabbia in cui mi sarei rinserrato
altre sono le prigioni costruite dal vero dimenticando il dubbio…
poi dei tomi ne hanno fatto un rogo, quale onta,
il mio tempo adesso ha scadenza
sono gli ultimi granelli della sabbia che fluisce nell’inverno
la supremazia sullo scirocco della fredda tramontana si realizza
ultimo baluardo contro i predatori dei mondi incantati.

Allora…
Adelante adelante Ronzinante via per la spenta Spagna
Adelante adelante sulle tracce del basilico pungente
l’investitura in osteria un rito necessario
alla dispensa delle parole colorate per i cuori
pennellate al nuovo mondo della mia dolce Dulcinea
questa l’impresa del cavaliere dalla trista figura!

… mio caro amico al fin l’impresa è riuscita
Il mondo l’abbiamo cambiato per davvero
io cavaliere dei leoni tu padrone di maniero e Barattaria
in questa nuova dimensione perfino Clavilegno assale il cielo
osserva amico mio:
il mondo si è fermato e siamo scesi
per contemplare quel sole che non tramonta mai
ecco il regno vero, orizzonte infinito della luce
vascelli volanti, isole scomparse e ritrovate
schiere di poeti sognatori saltimbanchi ballerine e nani imbellettati
con la forza inarrestabile di sogni straordinari
la vera leva su cui il mondo poggia il suo girare.

Ci ha deriso il mondo intero
di paradossi ne abbiamo fatto leggende
di oscure bettole castelli veri di sguattere gran dame
e Dulcinea da contadina rozza, soave Signora del Toboso.

Alla fin della tenzone
pronto per il luogo del non dove
perpetua tu la battaglia contro il fato
mio compagno di avventure sgangherate
con gli altri sbrindellati sotto l’egida di Bacco
levate all’azzurro dell’eterno calici colori e fiori.

Ti saluto caro Sancio affidandoti il mio motto

“por la libertad, así como por la honra, se puede y debe aventurar la vida.”

… sono a tua disposizione fido scudiero
prendimi nella tua schiera mio gran cavaliere sarò tuo servitore
raccoglitore instancabile di gioielli in purezza cesellati
in cristalli di grandine e neve.

14 settembre 2014

Viaggio di ritorno – Enzo Montano

Perseo e Andromeda - Pierre Mignard 
Viaggio di Ritorno - Enzo Montano

 Fatica immane trascina il carro verso Cassiopea,

insegne luminose tracciano il presente lacerato,
da colme mani a conca cadono sogni spenti,
lungo è il cammino e si allontana la stella del mattino.

Irridono i fantasmi sui contorni di un sorriso:
chi ha ucciso e uccide, danza! Uno ieri beffardo
enigmatico volteggia nel chiaro fascio notturno,
si imprime con incastri d’acciaio a monte dell’oblio.

La notte improvvisa sbianca sul mare e i suoi riflessi,
in lontananza appaiono schegge di sogni e di futuro
disperse nel blu dell’infinito assieme alle certezze
con i pensieri di lei nella speranza di un colore solo.

Il buio diventa immobile e la luce della gioia di stelle tante
scopre i calanchi ed esalta forme goticobarocche
la Dea pur nella lontananza abita luoghi stanze della vita mia…
e una volta ancora dannato e consegnato a notti insonni.

Non solo in dicembre quando eridano segna il natale
il paniere è colmo della sola desolazione.

11 settembre 2014

Bellimbusto. Una riflessione su Majakovskij di Enzo Montano di Claudia Formiconi



Enzo Montano, in un atto di sentita stima nei confronti di Vladimir Majakovskij, poeta-uomo, in un momento di mera confidenzialità, lo definisce “Bellimbusto”, un amichevole vezzeggiativo dalle mille accezioni cromatiche e lessicali che è anche il titolo alla poesia a lui dedicata. E’ un affresco, un breve poema dai toni alti, politici, sociali, austeri, malinconici, che si staglia come saetta di fuoco nei cieli della storia, mantenendo inalterata tutta la musicalità del lirismo più autentico.
 Majakovskij è tutto questo, genialità fatta di suoni aulici e convulsi, nel pieno rispetto della regola della storia del Novecento e delle sue contraddizioni. Enzo Montano si è fatto portavoce di quest’anima inquieta, empaticamente, ripercorrendo, pedissequamente, il vissuto rivoluzionario di questo 'mostro sacro' della Letteratura mondiale.
(…)“raccoglievi/grezze parole dalla miniera dell’alfabeto/deposte sulla tavolozza divennero inni di fuoco/
schiaffi decisi alle ataviche gabbie del conformismo borghese./Majakovskij, io ti conosco da sempre” (…)
Claudia Formiconi

Bellimbusto – Enzo Montano
La gialla tua blusa indicava l’imponente presenza
del credo rivoluzionario al lavoro, raccoglievi
grezze parole dalla miniera dell’alfabeto
deposte sulla tavolozza divennero inni di fuoco,
schiaffi decisi alle ataviche gabbie del conformismo borghese.
Majakovskij, io ti conosco da sempre
bellimbusto adorabile, fabbricante di
sfaccettati diamanti su rossi vessilli alla testa di
Centocinquanta milioni di volti tirati dalla rivolta.
I tuoi versi come tanti tamburi scandivano il tumulto degli ultimi
vera valanga di carne sulle strade che salivano al cielo
contro il potere tra l’Arbat e i palazzi dell’ingiustizia dei secoli.
Il potere in ogni sua forma fagocita qualsiasi ideale,
abbatte i colori delle prospettive ma nessun’ ombra metallica
può uccidere i sogni, volano oltre ogni Nuvola,
danzano al suono dolce del Flauto di un concerto per Lili,
rubano luce alle stelle memori di ogni brandello di cuore.
Vladimir, la ricerca di Utopia non è cessata
quel giorno di Aprile in cui la farfalla è svanita.
Le strade del mondo urlano ancora l’esplosione di quelle
parole raccolte nella miniera del sogno,
l’amore profondo per la rivoluzione è sedimentato
in gocce di lacrime sgorgate dalle emozioni
impresse sui muri, tra i vicoli e nei nervi...
“E tu, Orsa maggiore, pretendi / che vivi ci assumano in cielo!”

10 settembre 2014

Sonetti a Orfeo – Rainer Maria Rilke 1, 1

Parco del Pollino - Pino loricato
Sonetti a Orfeo – Rainer Maria Rilke 1,1


Lì sorse un albero. Oh puro trascendere!
Orfeo canta! Oh alto albero nell'orecchio!
E tutto tacque. Ma anche in quel tacere
avvenne un nuovo inizio, cenno e mutamento.

Animali di silenzio emersero dal bosco
disciolto di chiarore, dai covi e dalle tane;
e allora si comprese che non era la paura,
non l'astuzia a trattenerli in quella quiete:

era l'ascolto. Ruggito, bramito, grido
parve piccolo in loro. E dove prima
era appena una capanna per rifugio,

un nascondiglio di oscure brame,
la soglia sorretta da stipiti tremanti,
lì tu fondasti un tempio nell'udito.

8 settembre 2014

Terza Elegia – Rainer Maria Rilke

Antonio Balestra -  La Virtù difende il Giudizio dall'Ignoranza e dal Vizio (1690-1710)













Terza Elegia – Rainer Maria Rilke 


Una cosa è cantare l'amata. Tutt'altra,
quel segreto colpevole dio fiume del sangue.
Cosa ne sa il suo giovane, che lei riconosce da lontano,
del signore del piacere, lui che tante volte dalla sua solitudine,
prima ancora che lei lo placasse, e spesso anche come se lei
non ci fosse,
grondante di irriconoscibile, sollevò il capo divino
incitando la notte a infinito tumulto.
Oh Nettuno del sangue, oh suo tridente spaventoso.
Oh il vento scuro del suo petto dalla conchiglia contorta.
Ascolta come la notte sprofonda e s'infossa. Voi stelle,
non viene forse da voi il desiderio dell'innamorato per il volto
della tua amata? E l'intima conoscenza
di quelle pure sembianze, non gli viene forse dalla purezza
degli astri?

Non fosti tu, e neppure sua madre
a tendere l'arco delle sue sopracciglia, in tale anticipazione.
Non su di te, che ne sei innamorata, non su di te
si curvò il suo labbro a più feconda espressione.
Credi veramente che l'avesse scosso il tuo apparire leggero,
tu che ti muovi come il vento mattutino?

E' vero che gli hai spaventato il cuore; eppure terrori più
antichi
si abbattono su di lui al tuo tocco improvviso.
Chiamalo... la tua voce non basta a richiamarlo da quel buio.
Certamente lui vuole, si butta avanti; sollevato, si ritrova
a casa nel tuo cuore, e prende e comincia se stesso.
Ma si è mai dato principio?
Madre, tu lo hai fatto piccolo, cominciarlo:
a te era nuovo, tu hai piegato su quegli occhi nuovi
il mondo antico e li hai difesi da quello estraneo.
Dove sono andati gli anni, quando semplicemente
con la tua forma slanciata placavi per lui il tumulto del caos?
Tante cose gli hai nascosto così; gli rendevi benevola
la stanza ogni notte sospetta, dal tuo cuore pieno di
protezione
mescolavi al suo spazio notturno uno spazio più umano.
Nel buio, no, ma nella tua più vicina presenza
mettesti il lume notturno, e brillava come per amicizia.
Non ci fu mai fruscio che tu non gli chiarissi con un sorriso,
come se tu avessi sempre saputo il quando degli scricchiolii...
E lui ascoltava e si placava. Il tuo levarti
aveva un tale tenero potere; il suo destino alto nel suo
mantello,
si ritirava dietro l'armadio, e il suo inquieto futuro,
muovendosi leggermente, si sistemava tra le pieghe della
tenda.

E lui stesso, con che sollievo aveva coricato, dissolvendo
sotto le palpebre assonnate la dolcezza della tua lieve figura
nell'assaporato principio del sonno -:
sembrava protetto... Ma dentro: chi lottava,
arginando dentro di lui la marea ancestrale?
No, non vi era cautela nel nel dormiente; che dormiva,
però sognando, però febbrile: come si lasciava andare.
Lui, così nuovo, intimorito, come si era impigliato
nei grovigli incalzanti degli eventi interiori
già inviluppato in un disegno, in una crescita soffocante, in
forme
che davano la caccia come animali. Come si abbandonava.
Amava.
Amava il proprio intimo, la sua giungla interiore,
questa foresta vergine dentro di lui, sui cui muti tronchi
caduti
stava ritto, verde chiaro, il suo cuore. Amava. E lo lasciò, si
lanciò
oltre le sue stesse radici dentro origini immense,
dove la sua piccola nascita era già stata vissuta. Amando,
discese in un sangue più antico, nei burroni
ove giaceva l'orrido, ancora sazio dei padri. E ogni cosa
tremenda
lo conobbe, ammiccò, come in un'intesa.
Sì, l'atroce sorrise... Di rado
hai sorriso così teneramente, madre. Come avrebbe potuto
non amarlo, dal momento che gli sorrideva? Prima di te
lo ha amato, poiché già quando tu lo portavi in seno,
esso era disciolto nell'acqua che rende leggero l'embrione.

Vedi, noi non amiamo, come i fiori, per una
stagione sola. Dove amiamo, una linfa immemorabile
ci sale nelle braccia. Questo, fanciulla:
noi amammo dentro di noi, non una cosa sola, un unico
futuro, ma
l'innumerevole fermento; non un singolo figlio,
ma i padri che ci fondano nel terreno
come rovine di montagne; ma il disseccato letto del fiume
delle madri precedenti - ; ma l'intero
muto paesaggio sotto un destino nuvoloso
o sereno -: questo, fanciulla, ti precedette.
E tu stessa, che ne sai -, tu risvegliasti
il passato nell'innamorato. Quali passioni
emersero da esistenze trapassate. Quali
donne ti odiarono laggiù. Che sorta di uomini sinistri
suscitasti nelle vene del giovane? Bambini
morti ti vollero raggiungere... Oh piano, piano,
fa qualcosa di affettuoso davanti a lui, un lavoro
quotidiano fidato -,
guidalo verso il giardino, dagli delle notti
il maggior peso...
Trattienilo...

7 settembre 2014

Il Volo interrotto - Vladimir Vysotsky

nella foto: Pisticci - da provincia.matera.it












Il Volo interrotto - Vladimir Vysotsky

Qualcuno scorse un frutto maturo,
Scossero il tronco e il frutto cadde.
Ed ecco a voi la canzone di chi non cantò,
Di chi non sapeva avere una voce.

Forse non era in sintonia col destino
E con il caso -brutti affari-
E la corda tesa per gli accordi
Si tendeva con un difetto impercettibile.

Lui iniziò timidamente con un "do"
Ma non finì di cantarlo...

Il suo accordo non risuonò
E non ispirò nessuno.
Un cane abbaiava e un gatto
Acchiappava i topi.

È buffo, vero? È buffo!
E lui scherzava, ma non finì di scherzare,
Non assaggiò il vino fino in fondo,
E non lo portò neppure alle labbra.

Stava per attaccar briga,
Ma incerto e senza alcuna fretta,
Come goccioline di sudore dai porti
L'anima trasudava sotto la pelle.

Aveva appena iniziato il duello sul tappeto
Ebbe giusto il tempo di iniziare,
Di orientarsi solo un po' nel gioco,
Ma l'arbitro non dava il via.

Lui voleva conoscere tutto dall'A alla Z
Ma non raggiunse...

Né il mistero, né il fondo,
Non scavò fino alle viscere,
E lei, che fun l'unica,
Non la amò fino in fondo!

È buffo, vero? È buffo!
Lui si affrettò, ma non abbastanza,
Lasciò irrisolto
Tutto quel che non aveva risolto.

Non mento neppure di una virgola,
Lui era schiavo di uno stile puro,
Lui scriveva dei versi sulla neve,
Ma, ahimè! Le nevi si sciolgono.

A quel tempo la neve continuava a cadere
E si era liberi di scrivere sulla neve.
Lui afferrava con le sue labbra, correndo,
I grandi fiocchi di neve e la grandine.

Andando verso di lei in un landò d'argento,
Non la raggiunse...

Il fuggiasco, l'evaso non corse,
Non volò, non saltò abbastanza,
E il suo segno zodiacale -il Toro-
Bevve la fredda Via Lattea.

È buffo, vero? È buffo!
Per una manciata di secondi,
Per un anello mancante,
Un volo interrotto!

È buffo, vero? È buffo!
È buffo per voi e persino per me.
Un cavallo al galoppo e il volo di un uccello, -
Ma di chi è la colpa?


(…)
Vladimir Vysotsky era un grande, leggendario attore di teatro e in misura minore anche di cinema, ma era anche uno scrittore, uno che parlava in prima persona e non solo attraverso i personaggi che interpretava (spesso comunque aggiungendo cose di suo pugno al testo originale); scriveva di tutto, poesie, poemi, drammi, e soprattutto era un prolifico e inesauribile cantautore e per questo era amato da milioni di cittadini sovietici. (…). Tra i tanti paradossi che riguardano la sua storia, c’è quello della sua enorme popolarità in patria, ottenuta senza mai il più piccolo riconoscimento ufficiale, ma proprio per questo più solida, granitica, assolutamente indistruttibile. Tranne alcuni singoli, la Melodia, unica casa abilitata alla diffusione dei dischi in Unione Sovietica, non aveva mai voluto pubblicare le centinaia di canzoni che Vysotsky scriveva e cantava. Ma questo non fermò il processo di diffusione. Grazie all’umile e privato uso della riproduzione domestica in cassetta, limpido e folgorante esempio di uso democratico, contro culturale, della tecnologia, le canzoni di Vysotsky cominciarono a girare per tutta l’Unione Sovietica a decine e decine di migliaia di copie. Alla fine non c’era chi non le avesse mai ascoltate. Perfino i dirigenti politici che lo boicottavano ne subivano segretamente il fascino, al punto da chiedergli spesso dei concerti privati che Vysotsky puntualmente rifiutava. Era amato dagli intellettuali, dagli artisti, ma anche dal popolo, dagli operai più umili e decentrati nell’immenso territorio delle Repubbliche Sovietiche. (…)
(Gino Castaldo)




6 settembre 2014

Maddalena - Enzo Montano

Maria Maddalena nella grotta- Jules Joseph Lefebvre (1876), Museo dell'Hermitage, San Pietroburgo.
 
Maddalena - Enzo Montano

(…) Quante gioie ci crea la giovane beltà
e quante amare versiamo lacrime:
quante Maddalene vede lo sguardo

ma nessuno scorge un Cristo (...)
Zante Stefanos Martzokis


Peccatrice discepola prima testimone
di miracolosa resurrezione del Rabbunì
addirittura sua sposa a Canaan dice qualcuno
eventualità sconvolgente solo nella sua apparenza
ma i labirinti delle liturgie sono grovigli inestricabili
cosmogonie complesse affollate di possibilità.
Maria Maddalena di Magdala
una delle tre sotto la croce del Golgota
prostituta al pubblico ludibrio consegnata
oppure pia in quale recesso della storia
trovare la risposta e quante verità
nascoste sul grande giudeo fanno compagnia.

Maria Maddalena o di Betania o forse ambedue
e insieme santa e puttana miserevole.
E l’intero popolo di Gerusalemme interrogato
che sceglie Barabba al quesito di Pilato
una folla di giusti o di puttane urlanti in aramaico?
Giuda solo traditore o meretrice da trenta monete?

Pietro solo un pusillanime al canto del gallo?
Ed è un caso l’inesistenza di una parola
in aramaico greco o turcomanno per definire
un maschio della stessa condizione di peccato?
Aprire le gambe è veramente solo un
mero disdicevole fisico movimento?

Donna solo donna eppure controversa
tra gli studi postumi di studiosi litigiosi
come se peccato santità passione e amore
potessero modificarsi lungo gli anni e i giorni
dall’uno all’altro vangelo da questo a quel concilio.
Maddalena tra Costantinopoli e Efeso
infaticabile missione è regalare convinzioni e credi
nella grotta dei sette Dormienti forse dormi
Apostola degli Apostoli tra oriente ed occidente
l’uovo rosso al banchetto di Tiberio
solo un dettaglio per ricominciare.

Maddalena solo Maddalena per me cara
solo perché donna libera non omologata
e iconografia leggera della nudità.

3 settembre 2014

Di settembre


Il Ciclo dei Mesi è un gruppo di affreschi nella Torre dell’Aquila nel Castello del Buonconsiglio di Trento, attribuiti al boemo maestro Venceslao  (documentato in città nel 1397). Risalgono alla fine del XIV secolo-inizio del XV e sono il migliore esempio di  Gotico Internazionale in Trentino  e uno dei più significativi dell'Italia settentrionale. (Wikipedia)
Sonetti de’ mesi XXX secolo – Folgore da San Giminiano
Di Settembre
Di settembre vi do diletti tanti:
falconi, astori, smerletti, sparvieri;
lunghe, gherbegli, geti con carnieri,
brachette con sonagli, pasto e guanti;
bolz’ e balestre dritt’ e ben portanti,
archi, strali, ballotte e ballottieri;
síanvi mudati guilfanghi ed astieri
nidaci e di tutt’ altri uccel volanti,
che fosser buoni da snidar e prendere:
e l’un a l’altro tuttavia donando,
e possasi rubar, e non contendere,
quando con altra gente rincontrando;
la vostra borsa si’ acconcia a spendere,
e tutti abbiate l’avarizia in bando.