12 settembre 2018

da “Diavoleide” - Michail Bulgakov

da “Diavoleide”  - Michail Bulgakov

Mentre tutti galoppavano da un ufficio all’altro il compagno Korotkòv si teneva saldo in servizio al Bascentrprimatfiamm (Base centrale principale materiali per fiammiferi) con la qualifica di protocollista di ruolo e ci rimase ben undici mesi.
Una volta che si fu ben riscaldato al Matfiamm, il tenero e silenzioso biondino, Korotkòv, sterminò nell’animo suo il pensiero delle cosiddette contrarietà della sorte che esistono nel mondo e al suo posto si inculcò la certezza che egli, Korotkòv, sarebbe restato in servizio alla Base fino alla fine della sua vita sulla terra. Ma, ahimè, le cose andarono ben diversamente…
Il venti settembre del millenovecentoventuno il cassiere del Matfiamm si calcò in testa il suo disgustoso berretto di pelo con il paraorecchi, ripose nella cartella l’assegno a strisce e se ne andò. Questo accadde alle undici dopo mezzanotte.
Il cassiere poi tornò alle quattro e mezza dopo il mezzogiorno, completamente bagnato. Dopo essere arrivato, scosse via l’acqua dal berretto, pose il berretto sul tavolo, sul berretto mise la cartella e disse:
«Non insistete, signori».
Poi, chissà perché, rovistò nel tavolo, uscì dalla stanza e ritornò un quarto d’ora dopo con una grossa gallina morta dal collo storto. Mise la gallina sulla cartella, sulla gallina la sua mano destra e proferì:
«Niente soldi».
«Domani?» gridarono in coro le donne.
«No», il cassiere prese a scrollare la testa, «neanche domani e neppure dopodomani. Non vi accalcate, signori, altrimenti, compagni, mi rovesciate il tavolo.»
«Come?», gridarono tutti, ivi compreso l’ingenuo Korotkòv.
«Cittadini!», intonò con voce lamentosa il cassiere e con il gomito respinse Korotkòv, «vi prego!»
«Ma come?», gridavano tutti e più forte degli altri quello spasso di Korotkòv.
«Beh, per favore», borbottò rauco il cassiere e, tratto fuori dalla cartella l’assegno, lo mostrò a Korotkòv.
Proprio sul punto indicato dalla sporca unghia del cassiere, era scritto di traverso in inchiostro rosso:
«Pagare. Per il compagno Subbòtnikov, Senat».
Più sotto, in inchiostro violetto c’era scritto:
«Non ci sono soldi. Per il compagno Ivanòv, Smirnòv».
«Come?», gridò, solo Korotkòv, e gli altri, ansando, si rovesciarono sul cassiere.
«Ah, Signore!» prese a lagnarsi quello, smarrito «Che c’entro io? Dio mio!»
Ficcato in fretta l’assegno nella cartella, egli si calcò in testa il berretto, la cartella se la infilò sotto il braccio, sventolò la gallina e gridò: «Lasciatemi passare, per favore! » e, apertasi una breccia in quella muraglia vivente, scomparve oltre la porta.
Con uno squittio gli corse dietro una pallida archivista con i tacchi alti e sottili, il tacco sinistro proprio vicino alla porta si staccò con uno scrocco, l’archivista barcollò, alzò un piede e si tolse la scarpa.
E nella stanza restò lei, con un piede scalzo, con tutti gli altri, ivi compreso Korotkòv.
(…)

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