Dipinto di Felix Revello de Toro
Di se stesso. Sonetto II – Ugo Foscolo
Non son
chi fui; perì di noi gran parte:
questo che avvanza è sol languore e pianto.
E secco è il mirto, e son le foglie sparte
del lauro, speme al giovenil mio canto.
Perché dal dì ch'empia licenza e Marte
vestivan me del lor sanguineo manto,
cieca e la mente e guasto il core, ed arte
la fame d'oro, arte e in me fatta, e vanto.
Che se pur sorge di morir consiglio,
a mia fiera ragion chiudon le porte
furor di gloria, e carità di figlio.
questo che avvanza è sol languore e pianto.
E secco è il mirto, e son le foglie sparte
del lauro, speme al giovenil mio canto.
Perché dal dì ch'empia licenza e Marte
vestivan me del lor sanguineo manto,
cieca e la mente e guasto il core, ed arte
la fame d'oro, arte e in me fatta, e vanto.
Che se pur sorge di morir consiglio,
a mia fiera ragion chiudon le porte
furor di gloria, e carità di figlio.
Tal di
me schiavo, e d'altri, e della sorte,
conosco il meglio ed al peggior mi appiglio,
e so invocare e non darmi la morte.
conosco il meglio ed al peggior mi appiglio,
e so invocare e non darmi la morte.
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