15 marzo 2019

La Vergine delle rocce

Leonardo da Vinci, La Vergine delle rocce, 1483 circa, olio su tavola trasportato su tela, cm 199 X 122. Parigi, Musée du Louvre
La Vergine delle rocce
La notte dei ciechi è gremita di sguardi sbarrati,
o meglio deviati verso le mani.
J. Starobinski
La Vergine delle rocce del Louvre] (una tela originariamente su tavola), dipinta da Leonardo nel periodo milanese (datata infatti 1483-1486), era, verosimilmente, destinata alla Cappella della Concezione nella chiesa di San Francesco Grande a Milano. Chiesa soppressa nel 1798 e demolita nel 1806. Secondo le ricostruzioni il dipinto avrebbe dovuto costituire la tavola centrale di un trittico collocato nell’ordine inferiore di una grande ancona composta, anche, da rocce in rilievo (lignee e dorate). Committente: la Confraternita della Concezione.
Genesi e vicenda dell’opera sono complicate e non del tutto chiarite, però sappiamo cosa avrebbe dovuto raffigurare nelle intenzioni dei committenti: una Madonna col Bambino attorniata da angeli e da profeti (sulle tavole laterali angeli musicanti: «due che canteno e due che soneno» per parte). L’opera conservata al Louvre, ovviamente, non corrisponde a quanto previsto dal contratto. Così come non corrisponde l’altra versione – posseduta dalla National Gallery di Londra ed effettivamente proveniente dalla chiesa di San Francesco Grande - che fu però considerata meno ambigua nel suo significato dogmatico.
Le letture dedicate all’opera conservata al Louvre sono numerose e per lo più si soffermano su aspetti tecnico-formali, ma certo non mancano quelle “esoteriche” che, anzi, sembrano ricevere continua linfa dalla oscurità criptica di questo dipinto nel quale, in modo particolare, pare trovare conferma l’eresia di Leonardo. Un approccio all’opera del vinciano che viene da lontano, autorevolmente incoraggiato dallo stesso Vasari il quale, nella prima stesura de Le Vite (1550), descrive il pittore come «circondato da un alone ambiguo di potenza magica, di incantamenti, di non naturali seduzioni».
Sebbene la questione relativa alle convinzioni filosofico-religiose di Leonardo rappresenti un nodo, la porremo sullo sfondo, privilegiando in questa sede un obiettivo limitato: la parziale dipanatura dell’opera considerata «come un messaggio composto di segnali iconici generatori di senso e dunque appartenenti a un definito sistema culturale». E che la via maestra debba essere quella dell’iconismo, trova parziale conferma nella biografia di Leonardo e nel fatto che la sua cultura letteraria - una delle possibili fonti da indagare ai fini della comprensione del testo visivo - non risulterebbe fruttuosa:
Il terreno neutro sul quale a Firenze artisti e letterati potevano facilmente incontrarsi e divagarsi nel decennio 1470-1480, non era quello dell’Umanesimo ellenizzante e neoplatonico, né quello dello stil nuovo umanistico e toscano insieme, inaugurato proprio allora dal Poliziano. Era il terreno trito e spianato di una letteratura popolareggiante che si alimentava della conversazione, improvvisazione e declamazione da taverna e di piazza: novelle, facezie, proverbi, indovinelli, rime equivoche e sentenziose, canzoni a ballo e sirventesi, romanzi e cantari; quella letteratura insomma onde usciva in quegli anni stessi il Morgante, onde erano usciti nell’età di Cosimo i sonetti del Burchiello, e che tuttavia era dominata […] dalla grande ombra, solenne e domestica, della Commedia di Dante. Quel tipo di letteratura per l’appunto, di cui […] una qualche traccia è rimasta, unica traccia letteraria, nei manoscritti di Leonardo.
Nonostante l’opera porti con sé numerosi interrogativi, l’identità dei personaggi raffigurati non ha mai destato veri problemi. Si tratta, nell’ordine, del San Giovannino, della Madonna, di un angelo (secondo la gran parte degli esegeti) e del Gesù bambino. L’imbarazzo sorge, semmai, se ci s’interroga sul significato di questo «dipinto fantastico, quasi gotico» e sui motivi che hanno indotto l’autore a scelte in buona sostanza percepite come enigmatiche.
Per venire a capo di alcune delle “oscurità” sembrerebbe allora opportuno affrontare il dipinto “facendolo a pezzi”, non nel tentativo di isolarne i singoli costituenti, ma per scoprire - o più realisticamente evidenziare - cosa in esso si trovi implicato simultaneamente.
Dal punto di vista della descrizione meramente fenomenica, Maria è il centro pittorico e funge da ponte10 tra la parte sinistra del quadro e la destra (i veri centri tematici), e al di là delle evidenze formali la cosa diventa manifesta se solo si traccia una linea verticale che divida il quadro a metà. La parte sinistra si direbbe il lato terreno, non a caso Maria tocca, stabilendo una complicità fisica, il San Giovannino che come lei è figura eminentemente umana. Mentre il lato destro è quello soprannaturale della fede, occupato da un dio che si è fatto uomo, e che manifesta la sua doppia natura toccando la terra con la mano sinistra e mantenendo la contiguità fisico-spaziale con una Entità (angelo?) dalla quale sembra ricevere addirittura sostegno. Nonostante la netta divisione tutto e tutti sono in relazione tra loro grazie a un dialogo muto fatto di direttrici dello sguardo, elementi del paesaggio, “toccamenti” e gesti mimici. Su questi ultimi, in particolare, risulta opportuno soffermarsi alla luce della lucida tassonomia formalizzata dall’Arnheim:
Più genericamente, potremmo distinguere sei tipi di comportamento che le mani possono rappresentare: […] 2) comunicativo, per esempio additare o far cenno; 3) simbolico, per esempio giungere le mani per la preghiera, dare la benedizione […]; 6) segnico, per esempio un certo numero di dita alzate ad indicare quantità. Con questo immenso repertorio le mani sono eminentemente atte ad inscenare “microtemi”, vale a dire rappresentazioni simboliche del soggetto generale di un’opera accanto al centro della rappresentazione. Come rappresentanti semplificate della figura umana, esse inscenano simbolici spettacoli di marionette che riflettono con sorprendente immediatezza la storia dell’opera.
E proprio gli acentrati “simbolici spettacoli di marionette” del lato destro, che tanta parte hanno nel dipinto costituendone il nodo eloquente, sembrerebbero poter fornire una chiave importante. La Madonna, infatti, pur partecipe di entrambe le dimensioni - aspetto ampiamente giustificato dal ruolo avuto nella venuta al mondo del dio incarnato - si limita a fare da “garante” (testimone e tramite) del “discorso” che viene articolato sotto la sua mano-cupola sinistra; come già ammoniva Sant’Ambrogio: «Maria è il tempio di Dio, non il Dio del tempio» . Il Gesù bambino, invece, alza la mano destra col gesto allocutorio di chi parlaal San Giovannino, mentre la mano sollevata dell’Entità (la destra), apparentemente, si limita a indicare il santo.
Ferme restando le raccomandazioni rivolte a chi si avventura nella lettura di un opera dal punto di vista dei movimenti espressivi: «ci sono almeno due esigenze da rispettare. I movimenti devono organizzarsi in configurazioni che possano essere facilmente intese, e devono trovarsi in contesti che siano abbastanza univoci per essere interpretati», non si può non notare che il gesto dell’Entità - così come quello del bambin Gesù, già allocutorio e benedicente insieme - sembrerebbe avere una valenza assai più articolata di quella immediatamente percepibile. Non v’è dubbio che con il suo gesto “assegni” il ruolo chiave al futuro Battista, richiamando su di lui la nostra attenzione; ma, e contemporaneamente, con l’indice forma un “1”, che potrebbe denotare lo Spirito Santo (il «dito di Dio, […] cooperante col Padre e il Figlio nell’unità della loro azione», sempre secondo il dottore della Chiesa Sant’Ambrogio), e cioè l’elemento che se sommato al “2” (io sono Padre e Figlio) - il numero facilmente evincibile dal gesto del Cristo - comporrebbe la Santissima Trinità.
Come è scritto nel Vangelo, e riscontrabile nella tradizione illustrata da innumerevoli esempi pittorici, la seconda manifestazione trinitaria ha luogo sulle rive del Giordano, quando lo Spirito Santo giunge dall’alto sotto forma di colomba all’atto del battesimo di Cristo a opera, appunto, del Battista. Di fatto la mano dell’Entità non si limita a sovrastare leggera come una colomba (sensazione alla quale non è estranea la scelta di usare un tessuto serico per ricoprire braccia e polso) la testa del pargolo, è esattamente sull’orizzontale che la collega a quella del San Giovannino in una verosimile relazione di causa-effetto, individuabile come allusione prolettica, e cioè come anticipazione di un evento successivo al tempo della storia in cui ci si trova. Al di sopra, quasi fosse un tetto, la mano-domuncula, la piccola casa di Maria a ricordare il momento e il luogo in cui la Trinità si è manifestata sulla terra per la prima volta in occasione dell’”Annunciazione”. Annunciazione che non è solo il momento dell’attribuzione a Maria di un ruolo di primo piano, ma anche il discorso in cui Gesù e Giovanni Battista si trovano virtualmente insieme, entrambi prefigurati dalle parole dell’arcangelo Gabriele.
Effettivamente la questione dell’“uno e trino” meriterebbe ben altro approfondimento ma, dato l’obbiettivo limitato del nostro testo, si può fare tesoro di una considerazione di Claudio Bottini:
I Padri della Chiesa Orientale, per esempio, considerando le operazioni delle Persone divine parlano del Padre come del soggetto agente, del Figlio come della sua potenza operativa e dello Spirito come dell’azione che ne risulta. Nello Spirito infatti il Padre tocca il mondo. Lo Spirito Santo procede dalla natura del Padre, di cui è l’effetto agente. Procede anche dal Figlio perché l’azione risulta dalla potenza; procede inoltre dal Padre attraverso il Figlio, perché il Padre porta ad esecuzione l’azione attraverso la potenza. Lo Spirito rivela la Trinità in quanto è l’azione divina che comunica al mondo le grazie di Dio [il corsivo è nostro].
Che l’Entità non si limiti a indicare, ma sia in diretta relazione con l’idea di “Uno”, sembra trovare ulteriore conferma nella linea verticale che la collega alla svettante roccia-pinnacolo, ben visibile sul fondo grazie a una spaccatura della caverna. Questo dettaglio - esterno alla grotta ma da essa addirittura incorniciato - richiama almeno un po’, con la sua forma fortemente verticalizzata e le accennate scanalature alla base, una colonna. È una semplice ipotesi, però in veste di colonna la roccia contribuirebbe a corroborare e unificare l’impostazione teologica generale se, con Daniel Arasse, si considera che: «figure tout à la fois de l’humanitas et de la divinitas du Christ, la colonne, accompagnée ou non de la colombe et de la figure de Dieu le Père, donne à voir l’infigurable et l’invisible».
Se realmente così fosse, sarebbe la dimostrazione dell’impegno profuso da Leonardo per dare figura e visibilità (dicibilità) a un “mistero” cristiano senza fare ricorso a semplici escamotage o soluzioni stereotipate. Insomma da par suo, seppur influenzato dalla pervasiva religiosità milanese plasmata dalla figura di Sant’Ambrogio.
Sempre a proposito della particolare gesticolazione è interessante notare come il Gesù bambino configuri un E in quest’opera non solo si ritrovano riuniti i due cuginetti, ma si ripresenta anche il gesto dell’indice, sebbene rivolto verso l’alto e affidato a Sant’Anna. La madre della Madonna che in questo lavoro preparatorio presenta, secondo Kenneth Clark, significative affinità proprio con l’angelo della Vergine delle Rocce del Louvre.
Che l’intera opera sia configurata come una fitta rete di relazioni, trova ennesimo avallo nella corrispondenza “terrena” (seppur camuffata) individuabile nelle rocce che mimano e richiamano il movimento della mano della Madonna (in questo caso la mano-cupola sovrasta Maria e il battista bambino) e del San Giovannino (mani giunte). L’espediente, oltre a ribadire il ruolo chiave assegnato dall’artista alle mani, si direbbe l’ulteriore esemplificazione dell’intenzionale divisone ideologica del quadro a metà - trovandosi entrambe le formazioni rocciose mimetiche sulla sinistra, dove anche il paesaggio si apre acquistando profondità - nonché della sostanziale affinità tra l’uomo e la natura: un aspetto animista presente nel pensiero di Leonardo e documentato da un frammento del Codice Leicester.
In definitiva Leonardo, credente o no che fosse, era senza dubbio un comunicatore, seppur inconsuetamente creativo per i tempi, e mentre spiega e illustra il mistero del “dogma trinitario” e l’importanza del battesimo al San Giovannino (il quale implora a mani giunte alla volta di Gesù), nel medesimo tempo spiega agli spettatori (anche loro a mani giunte, possiamo supporre, data l’originaria destinazione della tavola) inequivocabilmente implicati dallo sguardo e dal sorriso - segni narrativi di reazione a una presenza esterna al quadro - dell’Entità.
Tutto sembrerebbe convergere verso una strategia narrativa unitaria resa coerente dalla organizzazione della comunicazione deittica, la quale assume però l’andamento circolare di un loop: andata (dal terreno al divino, da sinistra verso destra) e ritorno (svelamento di ruolo e dogma a destra e, tramite sguardo e gesto dell’angelo, nuovamente a sinistra passando per lo spettatore). Non a caso il San Giovannino è isolato sulla sinistra del quadro, mentre la gesticolazione chiarificatrice è concentrata sul lato destro e stratificata lungo una verticale in asse con la testa di Gesù. Almeno in questo Leonardo si attiene alla tradizione: «nell’arte cristiana l’orientamento del tempo è indicato da sinistra a destra per chi guarda il quadro». In realtà Leonardo si attiene alla tradizione anche nella concezione del battesimo - interpretandolo come un rito di passaggio, dalla terra al cielo, dalla materia allo spirito - o per lo meno è quanto si potrebbe affermare se ci si soffermasse solo sulla prima fase della drammatizzazione (l’andata). Mentre, come crediamo di aver illustrato, non si limita a questo andando ben oltre i limiti stabiliti dalle consuetudini.
In conclusione l’aspetto più irrituale di quest’opera - ciò che a quanto pare la rende ambigua - sembrerebbe consistere nell’abilità con la quale viene costruito un universo di senso dall’andamento narrativo verosimile in cui, tuttavia, la sceneggiatura manifesta qualcosa d’incompatibile con l’enciclopedia religiosa presupposta dall’opera stessa e dalla sua destinazione. E cioè, nello specifico, l’insistito invito a guardare alla dimensione terrena, in particolare all’uomo rappresentato sia dal santo, sia dagli spettatori all’esterno dell’opera. Al dunque un testo visivo il cui senso è idealmente e concettualmente acentrato rispetto al centro geometrico di superficie, che pure è e resta formalmente occupato dall’immagine della Vergine. Insomma, osservando questa Vergine delle Rocce, così intellettuale e “indipendente” da regole rigidamente poste, pur tra i tanti dubbi non si può non condividere almeno la pacata considerazione di Gigetta Dalli Regoli: «Il Libro della pittura di Leonardo, […], se considerato in rapporto all’attività concreta dell’artista, dalla giovinezza alla maturità, rivela che l’apparato teorico, complessivamente incline alla moderazione, non corrisponde del tutto agli interventi innovativi del pittore»
Ebbene, stando così le cose, come rendere meno problematico il messaggio e rientrare in un alveo dogmaticamente più consono all’incarico ricevuto? Probabilmente fornendo un’altra versione (terminata a ridosso del 1506) come quella visibile alla National Gallery di Londra. L’impianto generale sembra lo stesso (non entreremo in questioni di carattere attribuzionistico), ma il messaggio è profondamente cambiato. Qui alcuni dettagli sono enfatizzati e altri letteralmente scomparsi o, con leggere modifiche, depotenziati se non mutati nel significato. La mano sollevata della Vergine, a esempio, prima così simile a una cupola, appare ora decontratta, spianata, e così riconducibile a quello che Baxandall considera un gesto di «invito ed espressione di benvenuto». Per non correre inutili rischi, ed eliminare al contempo un rimando che non troverebbe più il proprio corrispettivo, anche la grande mano di roccia (dissimulata in alto sul lato sinistro della grotta) si dissolve e lascia spazio a inoffensivi elementi vegetali.
Non basta, per soffocare ogni velleità terrena il San Giovannino esibisce una vistosa croce di canna (il bastone di canna è notoriamente attributo iconografico del Battista). Il suo ridimensionamento al ruolo di non protagonista è completo. In questa nuova veste sa già tutto quel che deve sapere, non ha più bisogno di interpretare i segni, la sua figura si è trasformata in quella di un araldo. Ma la rimozione più clamorosa è relativa alla mano dell’Entità: semplicemente non esiste più, cancellata per sempre (insieme alle vaporose maniche seriche) con il suo carico di significati; così come la “colonna” sul fondo si frastaglia assomigliando ancor più a quel che sembra essere: una semplice roccia erosa.
E l’osservatore all’esterno del quadro? Non è più implicato dallo sguardo di quello che ora potrebbe essere effettivamente considerato un semplice angelo, ha subito una sorte simile a quella del Battista. In questa Vergine delle rocce, infatti, l’angelo conserva la postura originaria ma perde il sorriso e i suoi occhi, adesso chiari, fissano il vuoto “interno”. Lo spettatore è quindi divenuto un ospite totalmente estraneo al quale viene soltanto richiesto di osservare una scena che non necessita del suo contributo attivo.
 
Tutto si attenua, compresi i colori delle vesti e dell’incarnato dei protagonisti. L’anomalia è rientrata, il “mistero” - che prima sembrava non poter fare a meno dell’essere umano - non ha più bisogno del mistero figurato dagli elaborati movimenti deittici dello sguardo e delle mani che segnalavano il percorso narrativo. Né, tantomeno, delle capacità di interpretazione e indagine dell’uomo.
Tale tecnica si distingue dalla prospettiva esatta e geometrica e fu ideata dallo stesso Leonardo da Vinci : è nota col nome di prospettiva aerea.

Fonte: foglidarte.it

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