28 giugno 2020

Ode alla nascita di un cervo - Pablo Neruda



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Ode alla nascita di un cervo - Pablo Neruda

Si adagiò la cerva
dietro
la recinzione di filo spinato.
I suoi occhi erano
due scure mandorle.
Il gran cervo vegliava
e a mezzogiorno
la sua corona di corna
brillava
come
un altare incendiato.

Sangue e acqua,
una borsa turgida,
palpitante
e in essa
un nuovo cervo
inerme, informe.

Lì rimase nei suoi torbidi
involucri
sopra il pascolo macchiato.
La cerva lo leccava
con la sua lingua d’argento.
Non poteva muoversi,
ma
da quel confuso,
vaporoso involucro,
sudicio, bagnato, inerte,
si affacciò
la forma,
il musetto acuto
della reale
stirpe,
gli occhi più ovali
della terra,
le fini
gambe,
frecce
naturali del bosco.
Lo leccava la cerva
senza smettere, lo ripuliva
dall’oscurità, e ripulito
lo consegnava alla vita.

Così si alzò,
fragile, ma perfetto,
e cominciò a muoversi,
a dirigersi, a essere,
a scoprire le acque sul monte.
Guardò il mondo raggiante.

Il cielo sopra
la sua piccola testa
era come un’uva
trasparente,
e si attaccò alle mammelle della cerva
rabbrividendo come se ricevesse
scosse di luce del firmamento.

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