René Magritte – La lunette d’approche (Il telescopio), 1963
Festa - e.m.
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Ha bevuto ancora un bicchiere di vino rosso forte,
forse il terzo
o il quarto
o il quinto.
Legge “il Manifesto”,
gli occhiali da vicino
sovrapposti alla benda bianca sull’occhio
gli conferiscono un aspetto comico e sinistro insieme
ma guardarlo bene si nota serenità dello sguardo
e il sorriso a sottolineare le notizie lette sul giornale:
un ceto politico imbelle senza idee e senza coraggio,
senza dignità.
Posa il quotidiano per accendersi una sigaretta di cannabis,
ha ripreso a fumare dopo venti anni
ma solo per combattere il dolore,
ne fuma due o tre al giorno;
da qualche tempo ha ripreso a comprare anche le Camel
forse per nostalgia dei tempi lontani.
Rigira il pacchetto tra le mani,
non è più come quello che ricordava,
“Il fumo uccide - smetti subito”
legge sul pacchetto
“Il fumo del tabacco contiene oltre 70 sostanze cancerogene”;
un riso amaro si fa strada a fatica
sul viso deturpato dal cancro.
Osserva il fumo bianco uscire dalla bocca e dal naso,
“É l’aria che dà forma al fumo
oppure è il fumo a imprigionare l’aria e darle una forma?”
si chiede. Si guarda intorno nella penombra della stanza,
“É la solitudine che dà forma alla libertà?
e se non c’è libertà senza solitudine tutto il resto è tradimento?
è finzione? è necessaria allucinazione?
Sono allora i sogni a dare forma ai giorni
e i giorni sono solo frutto dell’immaginazione?”.
Ama il cinema perché sullo schermo vanno in scena i sogni
e lui è un sognatore, un amante delle illusioni,
ancora crede nell’assalto al cielo.
Rincorre i pensieri osservando le lente volute del fumo,
non sa distinguere se i rumori vengono da fuori
o sono nella sua testa,
sente poco e anche gli occhi lo hanno tradito.
Si avvicina alla finestra con passi malfermi
scosta le tenda
scosta il torpore che l’avvolge
scosta la nebbia dalla mente
scosta il dolore degli ultimi mesi
scosta l’idea del pensiero corto poiché la prospettiva
ormai gli è negata dai responsi
e sente l’orizzonte farsi sempre più prossimo,
scosta la malinconia degli ultimi anni
scosta le delusioni di una vita intera
scosta il velo che gli offusca la vista
scosta la tenda profumata di bucato
e finalmente attraverso la stanchezza
vede al di là del vetro nitido
la festa nella piazza.
Bella poesia che si pone tanti quesiti dolorosi di pertinenza di un'anima nobile e disillusa (" se non c'è libertà nella solitudine, tutto il resto è tradimento?" ), ma che termina con una nota di speranza " attraverso la stanchezza, vede al di là del vetro, la festa nella piazza " )
RispondiEliminagrazie sempre. Questa è solo la prima parte di una sorta di percorso tra solitudine (culturale?), speranze, sogni, delusioni e tradimenti. Un viaggio che fa della festa una metafora. Un pò come (mi scuso per il paragone) "Il funambolo e la luna" di Ritsos.
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