Rubens il partigiano e altri racconti – Enzo Montano
da “La rivista”
Al terzo rintocco sordo incrocio una conoscente, una signora bella come la Primavera rappresentata nei dipinti del Rinascimento, che lo saluto con un elegante movimento della testa e un accenno di sorriso capace di rapire.
... Quattro, cinque...
Mentre la donna attraversava la piazza nel senso opposto a quello di Giuseppe, sul suo leggero ancheggiare, avvolto da un abitino blu che aderiva alla sua prorompenza, erano sincronizzati gli occhi dei presenti di tutte le età rapiti da quella oscillazione naturalmente sensuale non ostentata, ma evidente come la luna piena in una notte d’estate. Era come se tutti la accompagnassero nel suo cammino. E lo fecero finché la bella signora non svoltò dietro l’angolo della chiesa. Ma gli occhi continuarono a guardare in quella direzione nella speranza che lo svolgersi degli eventi contemplasse un rapido ritorno della bella donna fasciata dall’aderente vestito blu.
... Sei, sette...
Un signore, forse il più avanti di età, continuo a seguirla anche quando non era più possibile scorgerla. Dietro l’ancheggiare delle forme degne di una scultura neoclassica incedeva, forse, il giovane uomo che era stato, con i desideri pruriginosi che neanche adesso erano spenti. Nella mente Dell’anziano balenavano pensieri e supposizioni oppure esili ricordi di momenti persi nelle sedimentazioni del tempo vissuti con una donna che le somigliava. Tracce di appuntamenti e momenti felici, di gelosie e litigi, di affanni e rimostranze, di ammiccamenti e complicità. Chissà quanti accadimenti erano custoditi nella memoria del vecchio dal viso solcato dalle rughe e dagli occhi limpidi come una sorgente.
... Otto...
Incrociò una ragazzina, figlia di un caro amico, bellissima come una cascata di petali di rose, dallo sguardo luminoso da far invidia al sole. Un saluto affettuoso.
«Come stai, Giuseppe» sapeva dei recenti problemi di salute «come sta Marta?».
«Va bene, anche Marta. Una di queste sere veniamo a trovarvi. Salutami mamma e papa. Ciao Elena.»
«Ciao Giuseppe.»
... Nove.
I rintocchi sembravano stendere una invisibile coperta sotto la quale scomparivano le voci delle persone e il rumore delle rare automobili in transito nella strada adiacente alla piazza.
Si chiese se esistevano ancora i campanari e se le campane delle chiese fossero anch’esse mosse da meccanismi elettronici oppure se la chiamata a raccolta dei fedeli o l’annuncio delle liturgie non fossero delle semplici e fredde registrazioni.
Cessati i rintocchi della campana grande, mentre ancora non si era completamente disperso il suono del nono rintocco, fu la campana più piccola a esordire con un rintocco meno forte ma sordo, come se la campana su cui batteva il martello avesse una piccolissima incrinatura, invisibile, che sfuggiva a chi era incaricato della manutenzione.
Tre colpi sordi delle frazioni delle ore stabilirono che erano le nove e tre quarti. Il giorno doveva ancora dire molto.
Alzò gli occhi verso il cielo limpido di un azzurro vivace e uniforme. Che sciocco!
Per un attimo aveva pensato di vedere contro l’azzurro le onde sonore che si allontanavano dalla torre e si allargavano verso l’orizzonte, fino a sovrapporsi; quasi come se ogni rintocco fosse stato un sasso lanciato in uno stagno.
Entro in edicola.
«Buongiorno.»
«Buongiorno Giuseppe» rispose la giovane edicolante.
Si avvicinò al banco dove notò che i giornali esposti erano ancora meno di quelli dell’ultima volta, non solo per numero di copie, ma anche per numero di testate. Oramai pochissimi lettori compravano la forma cartacea. I giornali chiudevano, anche le testate più gloriose come “l’Unita”, altri, ne era convinto, avrebbero chiuso a breve, proprio come chiudevano le edicole in tutte le città.
Non tantissimi anni prima i giornali erano quaranta o cinquanta volte di più. Ricordava la folla che si accalcava in quella stessa edicola,soprattutto nelle ore di punta, adesso era quasi sempre deserta fatta eccezione della domenica mattina quando gruppi numerosi di ragazzini entravano per comprare le figurine.
I rari giornali rimanevano malinconicamente esposti, traccia di un passato già lontano.
Comprò la sua rivista.
«Arrivederci» disse prima di uscire.
da “La rivista”
Al terzo rintocco sordo incrocio una conoscente, una signora bella come la Primavera rappresentata nei dipinti del Rinascimento, che lo saluto con un elegante movimento della testa e un accenno di sorriso capace di rapire.
... Quattro, cinque...
Mentre la donna attraversava la piazza nel senso opposto a quello di Giuseppe, sul suo leggero ancheggiare, avvolto da un abitino blu che aderiva alla sua prorompenza, erano sincronizzati gli occhi dei presenti di tutte le età rapiti da quella oscillazione naturalmente sensuale non ostentata, ma evidente come la luna piena in una notte d’estate. Era come se tutti la accompagnassero nel suo cammino. E lo fecero finché la bella signora non svoltò dietro l’angolo della chiesa. Ma gli occhi continuarono a guardare in quella direzione nella speranza che lo svolgersi degli eventi contemplasse un rapido ritorno della bella donna fasciata dall’aderente vestito blu.
... Sei, sette...
Un signore, forse il più avanti di età, continuo a seguirla anche quando non era più possibile scorgerla. Dietro l’ancheggiare delle forme degne di una scultura neoclassica incedeva, forse, il giovane uomo che era stato, con i desideri pruriginosi che neanche adesso erano spenti. Nella mente Dell’anziano balenavano pensieri e supposizioni oppure esili ricordi di momenti persi nelle sedimentazioni del tempo vissuti con una donna che le somigliava. Tracce di appuntamenti e momenti felici, di gelosie e litigi, di affanni e rimostranze, di ammiccamenti e complicità. Chissà quanti accadimenti erano custoditi nella memoria del vecchio dal viso solcato dalle rughe e dagli occhi limpidi come una sorgente.
... Otto...
Incrociò una ragazzina, figlia di un caro amico, bellissima come una cascata di petali di rose, dallo sguardo luminoso da far invidia al sole. Un saluto affettuoso.
«Come stai, Giuseppe» sapeva dei recenti problemi di salute «come sta Marta?».
«Va bene, anche Marta. Una di queste sere veniamo a trovarvi. Salutami mamma e papa. Ciao Elena.»
«Ciao Giuseppe.»
... Nove.
I rintocchi sembravano stendere una invisibile coperta sotto la quale scomparivano le voci delle persone e il rumore delle rare automobili in transito nella strada adiacente alla piazza.
Si chiese se esistevano ancora i campanari e se le campane delle chiese fossero anch’esse mosse da meccanismi elettronici oppure se la chiamata a raccolta dei fedeli o l’annuncio delle liturgie non fossero delle semplici e fredde registrazioni.
Cessati i rintocchi della campana grande, mentre ancora non si era completamente disperso il suono del nono rintocco, fu la campana più piccola a esordire con un rintocco meno forte ma sordo, come se la campana su cui batteva il martello avesse una piccolissima incrinatura, invisibile, che sfuggiva a chi era incaricato della manutenzione.
Tre colpi sordi delle frazioni delle ore stabilirono che erano le nove e tre quarti. Il giorno doveva ancora dire molto.
Alzò gli occhi verso il cielo limpido di un azzurro vivace e uniforme. Che sciocco!
Per un attimo aveva pensato di vedere contro l’azzurro le onde sonore che si allontanavano dalla torre e si allargavano verso l’orizzonte, fino a sovrapporsi; quasi come se ogni rintocco fosse stato un sasso lanciato in uno stagno.
Entro in edicola.
«Buongiorno.»
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I rari giornali rimanevano malinconicamente esposti, traccia di un passato già lontano.
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c 2019 Edigrafema – Soc. coop. editoriale
Sede legale via F. Fellini snc – 75025 Policoro (Mt)
Sede operativa Via Gen. Lazazzera, 24/bis – 75100 Matera
www.edigrafema.it
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