24 gennaio 2016

Dialoghi con Leucò. Gli argonauti - Cesare Pavese

Eracle al raduno con gli altri Argonauti. Cratere attico a figure rosse da Orvieto. Pittore dei Niobidi, 460-450 a.C. (Louvre)
Dialoghi con Leucò. Gli argonauti - Cesare Pavese


Il tempio sull’Acrocorinto, officiato da Ierodule, ci è ricordato anche da Pindaro. Che i giovani uccisori di mostri – compreso Teseo di Atene – abbiano tutti avuto guai da donne, si potrebbe supporlo se già la tradizione non lo suggerisse concorde.
Di una delle più atroci, Medea – maga e gelosa e infanticida – ci parla a lungo e con calore Euripide in una cara tragedia.
 (Parlano Iasone e Mélita).

IASONE Spalanca pure la cortina, Mélita; sento la brezza che la gonfia. In un mattino come questo anche Iasone vuol vedere il cielo. Dimmi il mare com’è; dimmi che accade sull’acqua del porto.
MÉLITA O re Iasone, com’è bello di quassù. Le banchine sono fitte di gente: una nave s’allontana in mezzo alle barche. È cosi limpido che si riflette capovolta. Tu vedessi le bandiere e le corone; quanta gente. Stanno perfino arrampicati sulle statue. Ho il sole negli occhi.
IASONE Saran venute anche le tue compagne, a salutarli. Le vedi, Mélita?
MÉLITA Non so, vedo tanti. E i marinai che ci salutano, piccini, attaccati alle funi.
IASONE Salutali, Mélita, dev’essere la nave di Cipro. Passeranno dalle tue isole. E con la fama di Corinto e del suo tempio, parleranno anche di te.
MÉLITA Che vuoi che dicano di me, signore? Chi vuoi che nelle isole si ricordi di me?
IASONE I giovani hanno sempre chi li ricorda. Si ripensa volentieri a chi è giovane. E gli dèi, non sono giovani? Per questo tutti li ricordiamo e li invidiamo.
MÉLITA Li serviamo, re Iasone. E anch’io servo la dea.
IASONE Ci sarà pure qualcuno, Mélita, un ospite, un marinaio, che sale al tempio per giacersi con te, non con altre. Qualcuno che parte del dono lo lascia a te sola. Io sono vecchio, Mélita, e non posso salire lassù, ma un tempo in Iolco – tu non eri ancor nata – avrei salito altro che un monte per trovarmi con te.
MÉLITA Tu comandi e noialtre ubbidiamo… Oh, la nave apre le vele. È tutta bianca. Vieni a vederla, re Iasone.
IASONE Resta tu alla finestra, Mélita. Io ti guardo mentre guardi la nave. È come se vi vedessi prendere il vento insieme. Io tremerei nella mattina. Sono vecchio. Vedrei troppe cose se guardassi laggiù.
MÉLITA La nave si piega nel sole. Come vola adesso! pare un colombo.
IASONE E va soltanto fino a Cipro. Da Corinto, dalle isole, ora salpano navi che solcano il mare. C’era un tempo che questo mare era tutto deserto. Noi per primi l’abbiamo violato. Tu non eri ancora nata. Quanto sembra lontano.
MÉLITA Ma è credibile, signore, che nessuno avesse osato attraversarlo?
IASONE C’è una verginità delle cose, Mélita, che fa paura più del rischio. Pensa all’orrore delle vette dei monti, pensa all’eco.
MÉLITA Non andrò mai sulle montagne. Ma non ci credo che il mare facesse paura a qualcuno.
IASONE Non ce la fece, infatti. Noi partimmo da Iolco una mattina come questa, ed eravamo tutti giovani e avevamo gli dèi dalla nostra. Era bello varcare, senza pensare all’indomani. Poi cominciarono i prodigi. Era un mondo più giovane, Mélita, i giorni come chiare mattine, le notti di tenebra spessa – dove tutto poteva succedere. Di volta in volta i prodigi erano fonti, erano mostri, eran uomini o rupi. Di noi ne scomparvero, qualcuno morì. Ogni approdo era un lutto. Ogni mattina il mare era più bello, più vergine. La giornata passava nell’attesa. Poi vennero piogge, vennero nebbie e schiume nere.
MÉLITA Queste cose si sanno.
IASONE Non era il mare il rischio. Noi s’era capito, d’approdo in approdo, che quel lungo cammino ci aveva cresciuti. Eravamo più forti e staccati da tutto – eravamo come dèi, Mélita – ma appunto questo ci attirava a far cose mortali. Sbarcammo al Fasi, su prati di còlchici. Ah ero giovane allora, e guardavo la sorte.
MÉLITA Quando si parla di voialtri, dentro il tempio, si abbassa la voce.
IASONE Qualche volta si ride, lo so, Mélita. Corinto è un’allegra città. E si dice, lo so: «Quando quel vecchio smetterà di chiacchierare dei suoi dèi? Tanto son morti come gli altri». E Corinto vuol vivere.
MÉLITA Noi si parla della maga, re Iasone, di quella donna che qualcuno ha conosciuto. Oh dimmi com’era.
IASONE Tutti conoscono una maga, Mélita, tranne a Corinto dove il tempio insegna a ridere. Tutti noialtri, vecchi o morti, conoscemmo una maga.
MÉLITA Ma la tua, re Iasone?
IASONE Violammo il mare, distruggemmo mostri, mettemmo piede sui prati del còlchico – una nube d’oro sfavillava nella selva – eppure morimmo ciascuno di un’arte di maga, ciascuno per l’incanto o la passione di una maga. La testa di uno di noialtri finì lacerata e stroncata in un fiume. E qualcuno ora è vecchio – e ti parla – che vide i suoi figli sacrificati dalla madre furente.
MÉLITA Dicono che non è morta, signore, che i suoi incanti hanno vinto la morte.
IASONE È il suo destino, e non l’invidio. Respirava la morte e la spargeva. Forse è tornata alle sue case.
MÉLITA Ma come ha potuto toccare i suoi figli? Deve aver pianto molto…
IASONE Non l’ho mai vista piangere. Medea non piangeva. E sorrise soltanto quel giorno quando disse che mi avrebbe seguito.
MÉLITA Eppure ti ha seguito, re Iasone, ha lasciato la patria e le case, e accettato la sorte. Fosti crudele come un giovane, anche tu.
IASONE Ero giovane, Mélita. E a quei tempi nessuno rideva di me. Ma ancora non sapevo che la saggezza è la vostra, quella del tempio, e chiedevo alla dea le cose impossibili. E cos’era impossibile per noi, distruttori del drago, signori della nuvola d’oro? Si fa il male per essere grandi, per essere dèi.
MÉLITA E perché vostra vittima è sempre una donna?
IASONE Piccola Mélita, tu sei del tempio. E non sapete che nel tempio – nel vostro – l’uomo sale per essere dio almeno un giorno, almeno un’ora, per giacere con voi come foste la dea? Sempre l’uomo pretende di giacere con lei – poi s’accorge che aveva a che fare con carne mortale, con la povera donna che voi siete e che son tutte. E allora infuria – cerca altrove di esser dio.
MÉLITA Eppure c’è chi si contenta, signore.
IASONE Si, chi è vecchio anzitempo o chi sale da voi. Ma non prima di aver tutto tentato. Non chi ha visto altri giorni. Hai sentito parlare del figlio d’Egeo, che discese nell’Ade a rapir Persefòne – il re d’Atene che morì scagliato in mare?
MÉLITA Ne parlano quelli del Fàlero. Fu anche lui navigatore come te.
IASONE Piccola Mélita, fu quasi un dio. E trovò la sua donna oltremare, una donna che – come la maga – l’aiutò nell’impresa mortale. L’abbandonò su un’isola, un mattino. Poi vinse altre imprese e altri cicli, ed ebbe Antiope, la lunare, un’amazzone indocile. E poi Fedra, luce del giorno, e anche questa si uccise. E poi Elena, figlia di Leda. E altre ancora. Fin che tentò di conquistare Persefòne dalle fauci dell’Ade. Una soltanto non ne volle, che fuggì da Corinto – l’assassina dei figli – la maga, lo sai.
MÉLITA Ma tu, signore, la ricordi. Tu sei più buono di quel re. Tu da allora non hai più fatto piangere.
IASONE Ho imparato a Corinto, a non essere un dio. E conosco te, Mélita.
MÉLITA O Iasone, che cosa son io?
IASONE Una piccola donna marina, che discende dal tempio quando il vecchio la chiama. E anche tu sei la dea.
MÉLITA Io la servo.
IASONE L’isola del tuo nome, in occidente, è un gran santuario della dea. Tu lo sai?
MÉLITA È un nome piccolo, signore, che mi han dato per gioco. A volte penso a quei bei nomi delle maghe, delle donne infelici che han pianto per voi…
IASONE Megàra Iole Auge Ippòlita Onfàle Deiàneira… Sai chi fecero piangere?
MÉLITA Oh ma quello fu un dio. E adesso vive fra gli dèi.
IASONE Cosi si racconta. Povero Eracle. Era anche lui con noi. Non lo invidio.

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