22 gennaio 2016

Forse un Mattino - Eugenio Montale

Il sorpasso - Ettore Scola
Forse un Mattino - Eugenio Montale

Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
«La ricostruzione del mondo avviene “come s’uno schermo” e qui la metafora non può che richiamare il cinema. La nostra tradizione poetica ha abitualmente usato la parola “schermo” nel significato di “riparo – occultamento” o di “diaframma”, e se volessimo azzarderei ad affermare che questa è la prima volta che un poeta italiano usa “schermo” nel senso di superficie su cui si proiettano immagini, credo che il rischio d’errare non sarebbe molto alto. Questa poesia (datata fra il 1921 e il 1925) appartiene chiaramente all’era del cinema, in cui il mondo corre davanti a noi come ombre d’una pellicola, alberi, case e colli si stendono su una tela di fondo bidimensionale, la rapidità del loro apparire (“di gitto”) e l’enumerazione evocano una successione di immagini in movimento. Che siano immagini proiettate non è detto, il loro “accamparsi” (mettersi in campo, occupare un campo, ecco il campo visivo chiamato direttamente in causa) potrebbe anche non rimandare a una fonte a matrice dell’immagine, scaturire direttamente dallo schermo (come abbiamo visto avvenire nello specchi), ma anche l’illusione dello spettatore al cinema è che le immagini vengano dallo schermo.
L’illusione del mondo veniva tradizionalmente resa da poeti e drammaturghi con metafore teatrali, il nostro secolo sostituisce al mondo come teatro il mondo come cinematografo, vorticare di immagini su una tela bianca.»
Italo Calvino

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