26 febbraio 2018

Gabriel Garcia Marquez - da Cent’anni di solitudine

opera di Ira Tsantekidou
Gabriel Garcia Marquez - da Cent’anni di solitudine

Rimase immobile per un lungo momento, chiedendosi meravigliato come aveva fatto ad arrivare in quell’abisso di abbandono, quando una mano con tutte le dita tese, che tastava nelle tenbre, gli sfiorò il viso. Non si sorprese, perché senza saperlo se lo aspettava. Allora si affidò a quella mano, e in un terribile stato di spossatezza si lasciò portare in un luogo senza forma dove lo svestirono e lo sballottarono come un sacco di patate e lo girarono per il diritto e per il rovescio, in una oscurità insondabile dove le braccia gli erano di troppo, dove non si sentiva più odore di donna, ma di ammoniaca, e dove cercava di ricordarsi il viso di lei e si trovava davanti il viso di Ursula, confusamente cosciente che stava facendo qualcosa che da molto tempo desiderava si potesse fare, senza sapere come lo stava facendo perché non sapeva dove erano i piedi e dove la testa, né i piedi di chi né la testa di chi, e sentendo di non poter sopportare oltre il fruscio glaciale delle sue reni e l’aria delle sue viscere, e la paura, e l’ansia stupefatta di fuggire e nello stesso tempo di rimanere per sempre in quel silenzio esasperato e in quella solitudine spaventosa.

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