14 dicembre 2014

Io so la scienza dei commiati ...

Opera di Omar Ortiz



Tristia - Osip Mandel’štam

1
Io so la scienza dei commiati, appresa
fra lamenti notturni a chiome sciolte.
Stan ruminando i buoi, dura l’attesa:
ultim’ora di veglia delle scolte
cittadine. E mi piego al rito della notte
del gallo, quando – in spalla il carico di strazio
del viaggio – guardavano lontano umidi occhi,
e pianger di donne al canto si univa delle muse.

2
Chi alla parola “commiato”, sa quale
distacco giungerà per noi fra poco,
che cosa presagisce lo strepito del gallo
mentre la fiamma arde arde sull’acropoli,
e perché all’alba di una vita nuova,
mentre il bue rumina pigro nell’andito,
il gallo, araldo della vita nuova,
sulla cinta muraria le ali sbatte?

3
E amo il filato, amo la tessitura:
il fuso ronza, va su e giù la spola.
Guarda: scalza, leggera come fosse peluria
di cigno, Delia già incontro mi vola!
O gramo ordito del vivere nostro,
che povera è la lingua della gioia!
Tutto fu in altri tempi. Tutto sarà di nuovo.
Solo ci è dolce l’attimo del riconoscimento.

4
Ma così sia: giace in un terso piatto
d’argilla una traslucida figura,
come una pelle stesa di scoiattolo,
e a scrutare la cera è una ragazza curva.
Non sta a noi trarre auspici sul greco Erebo:
la cera è per le donne ciò ch’è il bronzo per l’uomo.
Noi sfidiamo la sorte da guerrieri;
destino è ch’esse traendo auspici muoiano.

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