9 agosto 2017

da Cent’anni di solitudine – Gabriel Garcìa Màrquez

opera di Fernando Botero
da Cent’anni di solitudine  – Gabriel Garcìa Màrquez
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Coloro che conoscevano il segreto della sua filiazione pensarono da quella risposta che ne fosse al corrente anche lui, ma in realtà non lo fu mai. Pilar Ternera, sua madre, che gli aveva fatto ribollire il sangue nel gabinetto di dagherrotipia, fu per lui un'ossessione tanto irresistibile quanto lo fu prima per José Arcadio e poi per Aureliano. Nonostante avesse perduto le sue attrattive e lo splendore della sua risata, lui la cercava e la trovava nella scia del suo odore di fumo.
Poco prima della guerra, un mezzogiorno in cui lei andò più tardi del solito a prendere suo figlio minore a scuola, Arcadio la stava aspettando nella stanza dove usava fare la siesta, e che più tardi diventò prigione. Mentre il bambino giocava nel cortile, lui attese nell'amaca, tremando di ansietà, sapendo che Pilar Ternera doveva passare di li. Arrivò. Arcadio la afferrò per il polso e cercò di tirarla nell'amaca. "Non posso, non posso," disse Pilar Ternera inorridita. "Non ti immagini come vorrei accontentarti, ma Dio è testimone che non posso." Arcadio la afferrò per la vita con la sua tremenda forza ereditaria, e sentì che il mondo svaniva al contatto della sua pelle. "Non fare la santarellina," diceva. "In fondo, tutti sanno che sei una puttana." Pilar dominò il ribrezzo che le ispirava il suo miserevole destino.
"I bambini si accorgeranno," mormorò. "È meglio che questa notte tu non sbarri la porta."
Arcadio l'aspettò quella notte rabbrividendo di febbre nell'amaca. Aspettò senza dormire, ascoltando i grilli confusionari dell'alba interminabile e le ore scandite implacabilmente dagli aironi, sempre più convinto di essere stato abbindolato. Improvvisamente, quando l'ansia si era corrotta in rabbia, la porta si apri. Pochi mesi dopo, davanti al plotone di esecuzione, Arcadio avrebbe rivissuto i passi perduti nell'aula, le inciampate negli sgabelli, e alla fine la densità di un corpo nelle tenebre della stanza e i battiti dell'aria pulsata da un cuore che non era il suo. Stese la mano e trovò un'altra mano che aveva due anelli su uno stesso dito e quasi naufragava nel buio. Sentì la nervatura delle sue vene, il suo polso di sventura, e senti il palmo umido con la linea della vita troncata alla base del pollice dall'unghiata della morte. Allora capì che non era quella la donna che aspettava, perché non odorava di fumo ma di brillantina di fior di campo, e aveva i seni gonfi e ciechi con capezzoli di uomo, e il sesso petroso e rotondo come una noce, e la tenerezza caotica della inesperienza esaltata. Era vergine e aveva il nome inverosimile di Santa Sofia de la Piedad. Pilar Ternera le aveva pagato cinquanta pesos, la metà delle sue economie di tutta la vita, perché facesse quello che stava facendo. Arcadio l'aveva vista molte volte, dietro il banco della botteguccia di viveri dei suoi genitori, e non si era mai accorto di lei, perché aveva la rara
virtù di non esistere completamente se non nel momento opportuno. Ma da quel giorno si raggomitolò come un gatto al calore della sua ascella. Lei andava alla scuola nell'ora della siesta, col consenso dei suoi genitori, a cui Pilar Ternera aveva pagato l'altra metà dei suoi risparmi. Più tardi, quando le truppe del governo li sloggiarono dal locale, si amavano tra le latte di strutto e i sacchi di mais del retrobottega. Verso l'epoca in cui Arcadio fu nominato capo civile e militare, ebbero una figlia.
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