14 agosto 2017

Fenice. Da Omero, Iliade - Alessandro Baricco

Da Omero, Iliade - Alessandro Baricco
Fenice
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Piombammo sui Troiani all'improvviso, come uno sciame di vespe inferocito. Intorno a noi gli scafi neri delle navi rimbombavano delle nostre urla. Gridava, Patroclo, davanti a tutti, splendente nelle armi di Achille. E i Troiani lo videro. Scintillante, sul carro, al fianco di Automedonte. Achille, pensarono. E d'improvviso lo scompiglio si impadronì del loro esercito, e il turbamento si divorò la loro anima. L'abisso della morte si spalancò sotto i loro piedi che cercavano di scappare. La prima lancia a volare fu quella di Patroclo, scagliata proprio nel cuore del tumulto: colpì Pirecme, il capo dei Pèoni, lo colpì alla spalla destra, crollò con un grido, scomparvero i Pèoni presi dalla paura, abbandonando la nave su cui già erano saliti e che già avevano bruciata a metà. Fece spegnere il fuoco, Patroclo, e poi si lanciò verso le altre navi. I Troiani non mollavano, indietreggiavano, ma non volevano allontanarsi dalle navi, fu scontro brutale, e durissimo. Uno dopo l'altro tutti i nostri eroi dovettero combattere e piegare il nemico, uno dopo l'altro cadevano i Troiani fino a quando fu troppo, anche per loro, e incominciarono a sbandare e a fuggire, come agnelli inseguiti da un branco di lupi feroci. Gli zoccoli dei cavalli alzarono una nube di polvere contro il cielo quando si misero a galoppare. Fuggivano, tra le urla e il tumulto, coprendo ogni via all'orizzonte. E dove più folta era la loro fuga, lì piombava Patroclo, gridando e ammazzando, molti uomini caddero sotto le sue mani, molti carri si rovesciarono con fragore. Ma la verità è che lui voleva Ettore: in cuor suo, segretamente, cercava Ettore, per il proprio onore e la propria gloria. E lo vide, a un certo punto, in mezzo ai Troiani che fuggendo tentavano di riattraversare il fossato, lo vide e si mise a inseguirlo, intorno a lui c'erano guerrieri in fuga, ovunque, il fossato frenava la corsa, rendeva difficile tutto, saltavano i timoni dei carri dei Troiani e i cavalli se ne galoppavano via, come fiumi in piena, ma Ettore, lui, lui aveva l'abilità dei grandi guerrieri, si muoveva nella battaglia spiando il suono delle lance, e il sibilare dei dardi, sapeva dove andare, come muoversi, sapeva quando stare con i suoi compagni e quando abbandonarli, sapeva come nascondersi e come farsi vedere: lo portarono via, veloci come il vento, i suoi cavalli e Patroclo si voltò allora e iniziò a ricacciare i Troiani verso le navi, gli tagliava la fuga e li spingeva di nuovo sotto le navi, era lì che li voleva chiudere e sterminare colpì Prìnoo al petto che lo scudo lasciava scoperto, vide Tèstore rannicchiato nel carro, come instupidito, e lo infilzò con la lancia, proprio qui alla mascella, la punta di bronzo attraversò il cranio, Patroclo alzò la lancia, come se avesse pescato un pesce, il corpo di Tèstore si alzò fin sopra il bordo del carro, a bocca aperta è e con un sasso Patroclo colpì in mezzo agli occhi Erìlao, dentro all'elmo la testa si spaccò in due, cadde a terra l'eroe e su di lui discese la morte che divora la vita, e si divorò ancora quella di Erimante, Anfìtero, Epalte, Tlepèlemo, Echio, Piri, Ifeo, Euippo, Polimelo, tutti per mano di Patroclo e "Vergogna! ", si sentì la voce di Sarpedonte, figlio di Zeus e capo dei Lici, "Vergogna!, fuggire davanti a quest'uomo, io lo affronterò quest'uomo, io voglio sapere chi è." E scese dal carro. Patroclo lo vide, e scese anch'egli. Stavano uno di fronte all'altro come due avvoltoi che si battono su un'alta roccia, il becco ricurvo, gli artigli acuminati. Lentamente camminarono uno incontro all'altro. La lancia di Sarpedonte volò alta sulla spalla sinistra di Patroclo, ma quella di Patroclo colpì dritta al petto, dov'è chiuso il cuore. Sarpedonte cadde come una grande quercia abbattuta dalle asce degli uomini per diventare chiglia di nave. Ai piedi del suo carro rimase disteso, rantolando e graffiando con le mani la polvere insanguinata. Agonizzava come un animale. Con la vita che gli era rimasta iniziò a invocare il suo amico Glauco, lo chiamava e lo supplicava, "Glauco, non lasciare che mi tolgano le armi, raduna i guerrieri lici, venite a difendermi, sarà il vostro disonore per sempre se permetterete che Patroclo si porti via le mie armi, Glauco! ". Patroclo si avvicinò, gli posò il piede sul petto e strappò via la lancia, tirandosi dietro le viscere e il cuore. così, in un solo gesto, portò via da quel corpo la punta di bronzo e la vita. Intanto, correndo da una parte all'altra, Glauco, pazzo di dolore, chiamava tutti i capi lici e gli eroi troiani, "Sarpedonte è morto, Patroclo l'ha ucciso, correte a difendere le sue armi!", e quelli accorsero, colpiti dalla morte di quell'uomo che era uno dei più forti e amati difensori di Troia, accorsero e si schierarono intorno al suo corpo, Ettore in testa, e tutti gli altri, per difenderlo. Li vide arrivare, Patroclo, e ci radunò tutti, allora, e ci schierò di fronte a loro, urlando che, se davvero eravamo di tutti più forti, quello era il momento per dimostrarlo. C'era il corpo di Sarpedonte, là in mezzo. Troiani e Lici da una parte. Noi Mirmidoni dall'altra. E fu battaglia, per quel corpo e per quelle armi.
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