7 agosto 2017

Pandaro. Da Omero, Iliade - Alessandro Baricco

da Omero, Iliade - Alessandro Baricco

Pandaro
Fuggivamo, e fuggendo trovavamo la morte. Il peggio arrivò quando apparve Diomede, il figlio di Tìdeo, proprio in mezzo alla mischia. Diomede, valoroso principe acheo: le armi gli risplendevano sulle spalle e sulla testa, brillava come l'astro d'autunno brilla sorgendo dall'Oceano. Era sceso dal carro e infuriava nella pianura come un torrente in piena, gonfiato dalle piogge. Neanche si capiva se stava in mezzo agli Achei o a noi Troiani: era un fiume che aveva rotto gli argini e correva veloce distruggendo tutto intorno a sé. Nulla sembrava poterlo fermare: lo vedevo combattere ed era come se un dio avesse deciso di combattere al suo fianco. Allora io presi il mio arco, ancora una volta. Tesi il nervo di bue, con tutta la mia forza, e
scoccai. Lo colpii alla spalla destra, sulla piastra della corazza. La freccia entrò nella carne e la Passò da parte a parte. La sua corazza si macchiò di sangue. Io gridai "All'attacco, Troiani, Diomede è ferito, io l'ho colpito! ". Ma vidi che non si piegava, che non cadeva. Si fece strappare da un suo compagno la freccia dalla spalla: il sangue schizzò sulla corazza e intorno. E poi lo vidi tornare nella mischia, a cercarmi, come un leone che, ferito, non muore ma anzi triplica il suo furore. Balzò sui Troiani come su un gregge di pecore terrorizzate. Lo vidi uccidere Astìnoo e Ipeirone: il primo lo colpì al petto, con la lancia, al secondo staccò un braccio, con la spada. Neanche si fermò a prendere le loro armi e si mise a inseguire Abante e Poliido. Erano i due figli di Euridamante, un vecchio che sapeva interpretare i sogni: ma non seppe leggere quelli dei suoi figli, il giorno che partirono, e Diomede entrambi li uccise. Lo vidi correre contro Xanto e Toone, i soli figli che avesse il vecchio Fınope: Diomede glieli tolse, lasciandolo solo con le sue lacrime e il suo lutto. Lo vidi abbattere Echımone e Cromıo, figli di Priamo. Balzò sul loro carro come i leoni si avventano sui tori per spezzargli il collo, e li uccise.
Fu a quel punto che Enea venne a cercarmi. "Pandaro", mi disse, "dov'è finito il tuo arco?, e le tue frecce alate e la tua fama? L'hai visto quell'uomo che infuria nella mischia, uccidendo tutti i nostri eroi? Forse è un dio adirato con noi. Prendi una freccia e colpiscilo come solo tu sei capace." "Non so se sia un dio", gli risposi, "Ma io quell'elmo chiomato, e lo scudo, e quei cavalli, li conosco, sono del figlio di Tideo, Diomede. Gliel'ho tirata una freccia, ma l'ha colpito alla spalla e lui è tornato a combattere. Credevo di averlo ammazzato e invece... Questo mio dannato arco fa scorrere il sangue degli Achei ma non li uccide. E io non ho cavalli, né carro su cui salire a combattere." Allora Enea mi disse "Combattiamo insieme, sali sul mio carro, tieni le redini e la frusta e portami vicino a Diomede: io scenderò dal carro per battermi con lui". "Tieni tu le redini", gli risposi: "Se mai saremo costretti a fuggire, i cavalli ci porteranno via più veloci se sarà la tua voce a guidarli. Conduci tu il carro e lascia a me e alla mia lancia il compito di combattere." così salimmo sul carro splendente e pieni di furore lanciammo i cavalli veloci contro Diomede. Erano i cavalli migliori che mai si fossero visti sotto la luce del sole: venivano da una stirpe che lo stesso Zeus aveva creato per farne dono a Troo. Erano terrorizzanti, in battaglia. Ma non si spaventı, Diomede. Ci vide arrivare e non scappò. Quando gli fummo davanti io gli urlai "Diomede, figlio di Tideo, non ti ha piegato la mia freccia veloce, il mio dardo amaro. Allora ti piegherò la mia lancia". E tirai. Vidi la punta di bronzo trapassargli lo scudo e colpire la sua corazza. Allora gridai ancora. "Ho vinto, Diomede, ti ho colpito al ventre, ti ho passato da parte a parte." Ma lui, senza paura, "Credi di avermi colpito", mi disse, "Ma hai fallito il bersaglio. E ora non uscirai vivo da qui". alzò la sua lancia e la scagliò. La punta di bronzo entrò vicino all'occhio, Passò attraverso i denti candidi, tagliò la lingua di netto, alla base, e uscì dal collo. E io caddi dal carro e risuonarono su di me le armi scintillanti, lucenti. L'ultima cosa di cui ho ricordo sono i cavalli veloci, terribili, che scartano di lato, nervosi. Poi la forza mi abbandonò, e, con lei, la vita.
 

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